Con la sua voce d'argento chiamò:
«Bianchina, Bianchina» e rimase attenta ad ascoltare... Un merlo, spaurito,
fuggì chioccolando da un cespuglio prossimo alla rupe, in vetta alla quale
stava Lucia chiamando la sua capretta, ma la capretta non rispose. «O Dio! chi
mi rende la mia Bianchina? Chi mi rende la Bianchina mia?» e ponendosi afflitta
a sedere, col mento appoggiato ad una mano, tende l'occhio addolorato alle
pendici del colle e tristamente si abbandona ai suoi pensieri.
Il sole bacia le sue spalle nude,
e la brezza della sera la investe fasciandole i panni alla persona elegante e
le assalta briosa la chioma, come se volesse rubarle quel fiore dei campi che
agitato rosseggia fra le sue lucide trecce.
Come sei bella in mezzo alla
primavera, o fresca Lucia! e sei sola sulla terra, povera Lucia!
Il padre suo morì di febbre in
Maremma: la madre è lontana, ha la sua casetta su quelle montagne azzurre
laggiù in fondo in fondo, ed è vecchia per gli stenti ed inferma... se a
quest'ora non è già a riposarsi nel cimitero di fianco alla chiesa. E il
fratello? Chi sa! Andò soldato; lo mandarono di là dal mare; e non ha scritto
più nulla da due anni... dove sarà?
Cacciata dal bisogno, dopo aver
abbracciato i suoi cari, scese dalle montagne natie, ed ora, garzona di un
contadino delle valli, fila, guarda quei monti lontani e guida le capre alla
pastura.
La madre ed il fratello erano
così da lei chiamati, ma non erano tali. L'avevano allevata e tenuta cara
finché l'Ospizio dei Trovatelli passò loro quindici lire al mese; dopo, con un
tozzo di pane ed un paio di scarpe nuove, le insegnarono la strada, e
serrandole dietro la porta: «Dio t'accompagni, bambina mia!» e Lucia scese al
piano ed ora fila, guida le capre alla pastura e guarda quei monti lontani.
«Se ritorni senza la capra,
pover'a te!», le ha detto dianzi Rosalba cacciandola a spintoni fuori della
stalla. E Lucia lo sa che cosa l'aspetta se la capretta fosse smarrita per
sempre; lo sa, e col mento appoggiato sopra una mano tende l'occhio addolorato
alle pendici del colle e pensa e singhiozza.
«Se non ritrovo la mia capretta,
stasera non mi daranno da cena e Rosalba mi picchierà come l'altra volta... mi
fece tanto male al petto! O Dio, Dio!»
Un ramarro, verde come le foglie
del fico selvatico sul quale si era arrampicato per cercare gli ultimi raggi
del sole cadente, vibrando la lingua veloce, la fissava, non visto, coi suoi
occhi d'ebano, e Lucia singhiozzando pensava:
«Mi manderanno via... domani!
forse stasera! e non ci ho colpa. Le ho munte stamani alle sei, le ho contate e
c'erano tutte... Dodici lire! e dove le trovo per dire a Rosalba: «Tenete; la
capra è smarrita e queste sono le dodici lire che costava?». Non mi daranno da
cena; Rosalba mi picchierà e mi chiameranno... O Dio, Dio!».
Una folata di vento più forte le
portò via il fiore dai capelli; si alzò lesta per riprenderlo e il core le fece
un balzo d'allegrezza al rapido fruscio che sentì tra le foglie a pochi passi
da lei e credé ritrovata la sua capretta. Il ramarro, spaventato dal movimento
di Lucia, s'era lasciato cadere dal ramo del fico selvatico, e, strisciando
come una saetta, era corso a rifugiarsi nel cavo d'una ceppa di castagno.
Raccolse il fiore e se lo
accomodò più forte tra i capelli. A Lucia era caro quel fiore come tutti gli
altri che ogni mattina coglieva per adornarsene il capo e per offrirli la sera
alla Madonna che pendeva a capo del suo letticciuolo. Anche quella sera non
sarebbe mancato alla Vergine l'omaggio di quel povero fiore.
Lucia guardò il sole, e vedendo
il suo disco mezzo tuffato sotto l'orizzone lontano, sentì il proprio sgomento
farsi maggiore e disperata chiamò per l'ultima volta: «Bianchina, Bianchina
mia, teeeh!».
Un leggiero belato si udì ad un
trar di ramo da lei; un lampo di gioia le balenò nei limpidi occhi celesti e,
tra le spine, tra i sassi, attraverso ai rovi, ferendosi i piedi scalzi e
gridando allegramente: «Bianchina, Bianchina bella, Bianchina mia», corse
affannata verso il cespuglio dal quale era partito il belato, e, ficcandosi
smaniosa tra i suoi rami fronzuti, sparì fra quelli tutti lieta, e sorridente.
Lucia dall'alto della sua rupe
non aveva scorto due occhi umani che da un'ora lacrimavano di stanchezza,
avventando faville assetate agli occhi suoi, alle sue spalle, al suo colmo
seno, e credé messo dalla sua capretta il belato che il ruvido Tonio
scaltramente aveva imitato, ed era corsa... ed era corsa, povera Lucia! lieta e
sicura, come l'usignolo innocente corre gorgheggiando nella bocca del rospo che
digiuno lo guarda.
Il vento è cessato; di quel
ciuffo di frassini nessuna foglia si muove, e il sole già tramontato si tira
dietro gli ultimi lembi del suo manto di luce.
Appena scesa la notte, la capra
tornò belando alla casa in cerca delle sue compagne. Tutti le mossero lieti
incontro; Lucia sola non si mosse né si rallegrò. Aveva il viso acceso, un
livido in una gota e i capelli e le vesti in disordine... «Se ti senti male,
va' a letto», le disse Rosalba fattasi cortese dopo il ritorno della capra. E
Lucia s'avviò stanca alla sua cameretta... Cercò il fiore per offrirlo alla
Regina degli Angioli, ma l'aveva perduto! Sentì una stretta al core, dette in
uno scoppio di pianto e cadde sul suo letticciuolo dove aspettò il giorno
spasimando.
Tonio quella sera non aveva
sonno. Aguzzò tutti i pali per i gelsi della colmata; rifece la traversa
all'erpice vecchio e fino al tocco dopo la mezzanotte rimase a frescheggiare
sull'aia, cantando a gola spiegata.
Era uno stellato di paradiso.
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