Folta delle sue nuove foglie, una
vecchia querce gode la vita slanciando al sole di maggio le braccia robuste, e
il vento canta alla primavera tra le sue fronde sonore.
Canta alla primavera che ride
intorno odorata, e nuota voluttuosa sull'onda delle verdi mèssi e tra i pampani
e tra i fiori ondeggianti a un limpido sole, cullando ne' loro aperti calici
l'amore di mille insetti felici; e il polline giallo, commosso da tante
ebbrezze, vola col vento a preparare altri profumi, altri fiori alla eterna
giovinezza dei campi.
In mezzo a tanto lusso di vita,
stanchi nelle membra e freddi nel core, una bianca vecchierella e un magro
vecchietto, seduti uno accanto all'altro all'ombra della querce, godono
tranquilli il riposo del meriggio.
«Fa caldo oggi, sapete? fa
caldo.» E così dicendo, la giovereccia vecchierella si allenta il busto, si scioglie
il nodo alla pezzuola che le fascia la testa, e facendosi vento con quella, si
abbandona resupina col capo fra i fiori rossi del suo fascio di lupinella.
Il vecchio la guarda distratto;
una folla di nebbiose reminiscenze gli corre alla memoria, e appoggiandosi
anch'egli al suo fascio di trifoglio, ripesca un frammento d'ottava da lui
improvvisata sessanta anni or sono, una notte d'agosto, sotto la finestra della
sua Gioconda; e guardando smemorato all'aria, pensa e canta a bassa voce:
Se ancor, dolcezza mia, non lo sapete
Dove per me s'è aperto il paradiso,
Guardatevi allo specchio e lo vedrete
Tutto dinanzi a voi nel vostro viso...
Oh! com'era bella, com'era bella
Gioconda a sedici anni! Nella sua bianca casetta accucciata all'ombra d'un noce
e di due giovani gelsi, stava sempre la gioia, e Gioconda era l'idolo di tutti,
perché anche le sue compagne, buttato da parte ogni piccolo sentimento
d'invidia, se la guardavano compiacendosene e le volevano bene.
La stanza del suo telaio situata
a terreno dava sulla via; lì era il ritrovo favorito delle sue liete vicine, e
fra i discorsi, i canti e le cordiali risate, moveva sempre di là un festoso
baccano che riempiva di buon umore il viso delle povere nonne, sedute lì presso
sulle porte a filare, le quali si beavano in quelle risa e in quei canti come
in un ritorno soave alle gioie perdute dei loro giovani anni.
I giovanotti che passavano
gettando la grassa arguzia in quel crocchio di spensierate, o che si fermavano
sulla porta ad agognare, erano le loro vittime predilette; Cecco aveva le gambe
torte; Pippo si struggeva de' baffi e s'insegava e si martirizzava
continuamente quelle quattro setole che non volevano allungare; lo Spagnolino
buttava i piedi a gallo, e Rocco, povero Rocco! aveva la lisca. E lo strapazzavano
e gli facevano il verso tutte le volte che timido timido si affacciava a
tartagliare qualche goffa galanteria; e allora ridi pure, amore mio! ed erano
tali risate che quelle monelle duravano, a volte, a sganasciarsi per una
ventina di minuti senza aver tempo né discrezione di chetarsi neanche per un
momento a ripigliar fiato.
E Rocco si allontanava afflitto,
colla coda fra le gambe, pensando alle trecce della sua Gioconda, e sospirava
più fitto dei colpi del telaio che lo accompagnavano insieme con gli scoppi di
risa, finché, rintanato nel fondo della stalla, si sfogava a dar pedate nella
pancia del suo povero ciuco, e a palpare le cosce delle sue giovenche, orgoglio
della casata, invidia dei contadini dei dintorni e ghiottoneria troppo preziosa
per Simone macellaro.
Ma quelle risa e quei canti a
volte cessavano ad un tratto; e allora le bianche nonne del vicinato, capito
subito di che si trattava, alzavano gli occhi dal fuso e voltandosi verso la
porta del telaio vedevano Maso, che, appoggiato con artistica posa allo stipite
di quella, girava su quel gruppo di fresche giovinotte i suoi fieri occhi
innamorati per incontrarsi con quelli dolci e sereni della sua Gioconda, la
quale, fatto un languido saluto, arrossendo li abbassava sulla spola che allora
cominciava a correre più agile e più umorosa attraverso all'ordito della sua
tela.
Oh! che bei tempi erano quelli!
Quanti ricordi amaramente soavi scendono al core dalle mura di quella bianca
casetta! Quante confuse memorie sotto l'ombra di quel noce e di quei gelsi,
sempre verdi e frondosi come a quei giorni tanto lontani!
E nulla par cambiato là intorno.
Quelle siepi cariche di fiori di biancospino, quegli argini smaltati di
rosolacci e di pratoline che fiancheggiano la via che mena alla chiesa, pare
che aspettino sempre le limpide domeniche di maggio, quando Gioconda, in mezzo
a una corona di giovani amiche che godevano al riflesso della sua bellezza,
passava fresca e profumata come una rosa, con gli sguardi a terra fra le
occhiate di fuoco dei giovanotti che l'aspettavano sparsi qua e là in piccoli
gruppi lungo la via. E fra quei giovanotti c'era anche Maso, ravviato, lindo,
con la barba fatta d'allora, con la sua bella giacchetta di frustagno turchino,
cappello nero di felpa e garofano rosso dentro al nastro di quello. E a lui
toccava un'occhiata e un lieve sorriso che lo spingeva a stendere affettuoso un
braccio sul collo dell'amico più vicino, ed a correre subito in fondo di chiesa
accanto all'altare, per chiedere, in tempo della messa, un altro sorriso almeno
e un'altra occhiata alla sua Gioconda, che tutta rossa e confusa gliene dava
mille pur non volendogliene dare nemmeno una.
Dio avrà perdonato a Maso la
profanazione, perché anche il povero priore morto non credeva di far male
quando voltandosi al Dominus vobiscum , guardava il cielo, il viso di Gioconda,
e riportava puri i suoi occhi sulla mistica mensa.
E Gioconda e Maso non poterono
mai essere sposi. Si amarono lungamente, si amarono molto, si amarono forse
troppo... ma il destino non li volle uniti.
Quando lui tornò da fare il
soldato, dove stette diciotto anni, la trovò sposa e madre di quattro bambini.
Rocco, quello della lisca, delle pedate al ciuco e delle grasse giovenche,
l'aveva sposata già da dodici anni. Rocco ebbe da quel tempo fino alla morte
tutto l'affetto della sua Gioconda: a Maso, restò sempre l'amore.
«E ora è tardi!», pensò Maso,
alzando adagio adagio il capo dal suo fascio di trifoglio. «È tardi!» e si mise
a guardare il viso della sua Gioconda mezza addormentata col capo tra i fiori
di lupinella, per cercarvi almeno una ultima traccia della perduta bellezza.
La pelle floscia e lentigginosa
di quel collo la vide a poco a poco ritornar bianca e levigata; sparirono ad
una ad una le mille rughe di quelle gote vizze che gli apparvero fresche e
piene di giovane sangue: al terreo colore di quelle subentrò l'incarnato della
rosa; i radi e bianchi capelli ritornarono biondi e raccolti in trecce
abbondanti, e dopo sessant'anni la rivide giovane e bella, e riamò, giovane anch'egli,
quella che soleva chiamare la passione dell'anima sua.
La primavera intanto sospirava
calda pei campi, rubando odori e gorgheggi ai fiori sbocciati con l'erba e alle
cinciallegre in amore.
Maso si spenzolò col suo sul viso
della sua Gioconda per deporvi un bacio, ma Gioconda, sentendo un alito caldo
sulla faccia, aprì gli occhi, colse il pensiero del vecchio nel sorriso che gli
brillava negli occhi imbambolati, e guardandolo fisso e sorridendo anch'essa:
«E ora che avete? vecchio pazzo!», gli disse.
Il vecchio non rispose, ma
accostandosi agli orecchi di lei, vi sussurrò qualche parola che provocando in
ambedue uno scoppio di omeriche risa, li ributtò supini tra i fiori dell'erba a
mostrare al cielo ridente le loro povere bocche larghe e sdentate.
Il vento prese quelle voci, e
portandole a volo aggiunse anche quella rauca nota alle misteriose armonie del
creato.
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