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Renato Fucini Le veglie di Neri IntraText CT - Lettura del testo |
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Primavera
Folta delle sue nuove foglie, una vecchia querce gode la vita slanciando al sole di maggio le braccia robuste, e il vento canta alla primavera tra le sue fronde sonore. Canta alla primavera che ride intorno odorata, e nuota voluttuosa sull'onda delle verdi mèssi e tra i pampani e tra i fiori ondeggianti a un limpido sole, cullando ne' loro aperti calici l'amore di mille insetti felici; e il polline giallo, commosso da tante ebbrezze, vola col vento a preparare altri profumi, altri fiori alla eterna giovinezza dei campi. In mezzo a tanto lusso di vita, stanchi nelle membra e freddi nel core, una bianca vecchierella e un magro vecchietto, seduti uno accanto all'altro all'ombra della querce, godono tranquilli il riposo del meriggio. «Fa caldo oggi, sapete? fa caldo.» E così dicendo, la giovereccia vecchierella si allenta il busto, si scioglie il nodo alla pezzuola che le fascia la testa, e facendosi vento con quella, si abbandona resupina col capo fra i fiori rossi del suo fascio di lupinella. Il vecchio la guarda distratto; una folla di nebbiose reminiscenze gli corre alla memoria, e appoggiandosi anch'egli al suo fascio di trifoglio, ripesca un frammento d'ottava da lui improvvisata sessanta anni or sono, una notte d'agosto, sotto la finestra della sua Gioconda; e guardando smemorato all'aria, pensa e canta a bassa voce:
Se ancor, dolcezza mia, non lo sapete Dove per me s'è aperto il paradiso, Guardatevi allo specchio e lo vedrete Tutto dinanzi a voi nel vostro viso...
Oh! com'era bella, com'era bella Gioconda a sedici anni! Nella sua bianca casetta accucciata all'ombra d'un noce e di due giovani gelsi, stava sempre la gioia, e Gioconda era l'idolo di tutti, perché anche le sue compagne, buttato da parte ogni piccolo sentimento d'invidia, se la guardavano compiacendosene e le volevano bene. La stanza del suo telaio situata a terreno dava sulla via; lì era il ritrovo favorito delle sue liete vicine, e fra i discorsi, i canti e le cordiali risate, moveva sempre di là un festoso baccano che riempiva di buon umore il viso delle povere nonne, sedute lì presso sulle porte a filare, le quali si beavano in quelle risa e in quei canti come in un ritorno soave alle gioie perdute dei loro giovani anni. I giovanotti che passavano gettando la grassa arguzia in quel crocchio di spensierate, o che si fermavano sulla porta ad agognare, erano le loro vittime predilette; Cecco aveva le gambe torte; Pippo si struggeva de' baffi e s'insegava e si martirizzava continuamente quelle quattro setole che non volevano allungare; lo Spagnolino buttava i piedi a gallo, e Rocco, povero Rocco! aveva la lisca. E lo strapazzavano e gli facevano il verso tutte le volte che timido timido si affacciava a tartagliare qualche goffa galanteria; e allora ridi pure, amore mio! ed erano tali risate che quelle monelle duravano, a volte, a sganasciarsi per una ventina di minuti senza aver tempo né discrezione di chetarsi neanche per un momento a ripigliar fiato. E Rocco si allontanava afflitto, colla coda fra le gambe, pensando alle trecce della sua Gioconda, e sospirava più fitto dei colpi del telaio che lo accompagnavano insieme con gli scoppi di risa, finché, rintanato nel fondo della stalla, si sfogava a dar pedate nella pancia del suo povero ciuco, e a palpare le cosce delle sue giovenche, orgoglio della casata, invidia dei contadini dei dintorni e ghiottoneria troppo preziosa per Simone macellaro. Ma quelle risa e quei canti a volte cessavano ad un tratto; e allora le bianche nonne del vicinato, capito subito di che si trattava, alzavano gli occhi dal fuso e voltandosi verso la porta del telaio vedevano Maso, che, appoggiato con artistica posa allo stipite di quella, girava su quel gruppo di fresche giovinotte i suoi fieri occhi innamorati per incontrarsi con quelli dolci e sereni della sua Gioconda, la quale, fatto un languido saluto, arrossendo li abbassava sulla spola che allora cominciava a correre più agile e più umorosa attraverso all'ordito della sua tela. Oh! che bei tempi erano quelli! Quanti ricordi amaramente soavi scendono al core dalle mura di quella bianca casetta! Quante confuse memorie sotto l'ombra di quel noce e di quei gelsi, sempre verdi e frondosi come a quei giorni tanto lontani! E nulla par cambiato là intorno. Quelle siepi cariche di fiori di biancospino, quegli argini smaltati di rosolacci e di pratoline che fiancheggiano la via che mena alla chiesa, pare che aspettino sempre le limpide domeniche di maggio, quando Gioconda, in mezzo a una corona di giovani amiche che godevano al riflesso della sua bellezza, passava fresca e profumata come una rosa, con gli sguardi a terra fra le occhiate di fuoco dei giovanotti che l'aspettavano sparsi qua e là in piccoli gruppi lungo la via. E fra quei giovanotti c'era anche Maso, ravviato, lindo, con la barba fatta d'allora, con la sua bella giacchetta di frustagno turchino, cappello nero di felpa e garofano rosso dentro al nastro di quello. E a lui toccava un'occhiata e un lieve sorriso che lo spingeva a stendere affettuoso un braccio sul collo dell'amico più vicino, ed a correre subito in fondo di chiesa accanto all'altare, per chiedere, in tempo della messa, un altro sorriso almeno e un'altra occhiata alla sua Gioconda, che tutta rossa e confusa gliene dava mille pur non volendogliene dare nemmeno una. Dio avrà perdonato a Maso la profanazione, perché anche il povero priore morto non credeva di far male quando voltandosi al Dominus vobiscum , guardava il cielo, il viso di Gioconda, e riportava puri i suoi occhi sulla mistica mensa. E Gioconda e Maso non poterono mai essere sposi. Si amarono lungamente, si amarono molto, si amarono forse troppo... ma il destino non li volle uniti. Quando lui tornò da fare il soldato, dove stette diciotto anni, la trovò sposa e madre di quattro bambini. Rocco, quello della lisca, delle pedate al ciuco e delle grasse giovenche, l'aveva sposata già da dodici anni. Rocco ebbe da quel tempo fino alla morte tutto l'affetto della sua Gioconda: a Maso, restò sempre l'amore. «E ora è tardi!», pensò Maso, alzando adagio adagio il capo dal suo fascio di trifoglio. «È tardi!» e si mise a guardare il viso della sua Gioconda mezza addormentata col capo tra i fiori di lupinella, per cercarvi almeno una ultima traccia della perduta bellezza. La pelle floscia e lentigginosa di quel collo la vide a poco a poco ritornar bianca e levigata; sparirono ad una ad una le mille rughe di quelle gote vizze che gli apparvero fresche e piene di giovane sangue: al terreo colore di quelle subentrò l'incarnato della rosa; i radi e bianchi capelli ritornarono biondi e raccolti in trecce abbondanti, e dopo sessant'anni la rivide giovane e bella, e riamò, giovane anch'egli, quella che soleva chiamare la passione dell'anima sua. La primavera intanto sospirava calda pei campi, rubando odori e gorgheggi ai fiori sbocciati con l'erba e alle cinciallegre in amore. Maso si spenzolò col suo sul viso della sua Gioconda per deporvi un bacio, ma Gioconda, sentendo un alito caldo sulla faccia, aprì gli occhi, colse il pensiero del vecchio nel sorriso che gli brillava negli occhi imbambolati, e guardandolo fisso e sorridendo anch'essa: «E ora che avete? vecchio pazzo!», gli disse. Il vecchio non rispose, ma accostandosi agli orecchi di lei, vi sussurrò qualche parola che provocando in ambedue uno scoppio di omeriche risa, li ributtò supini tra i fiori dell'erba a mostrare al cielo ridente le loro povere bocche larghe e sdentate. Il vento prese quelle voci, e portandole a volo aggiunse anche quella rauca nota alle misteriose armonie del creato.
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