Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Renato Fucini
Le veglie di Neri

IntraText CT - Lettura del testo

  • Sereno e nuvolo
Precedente - Successivo

Clicca qui per attivare i link alle concordanze

Sereno e nuvolo

 

Il primo sole del novembre si affaccia malinconico alle ultime cime della montagna, già biancheggianti per la neve caduta di fresco e, mandando i suoi languidi raggi attraverso ai rami brulli dei castagneti, tinge di rosa la croce di ferro del campanile e l'asta della bandiera fitta sulla vecchia torre del castello.

Qualche nuvola bianca sta fissa sui monti più lontani, uno strato bigio di nebbia allaga la pianura, e il villaggio dorme ancora sotto un freddo e splendido sereno d'autunno.

I cacciatori sono già tutti partiti, dopo che Doro ha sonato la campana dell'alba; vi è stato allora un breve segno di vita, qualche latrato, qualche fischio, qualche colpo alle porte per destare i compagni addormentati, eppoi deserto e silenzio turbato soltanto ad intervalli dal fruscìo delle foglie secche dei platani della piazzetta, che bisbigliano lievi lievi, menate in giro sul lastrico da radi sbuffi di tramontana.

Ma stamani l'aspetto della piazzetta non è quello degli altri giorni. Quintilio, per il solito, a quell'ora aveva già aperto e spazzato la bottega; Graziano era già comparso in maniche di camicia ad attaccar fuori dell'uscio il solito coscio di vitella al solito gancio, e il barbiere, che viene tutte le mattine a lavarsi il viso in mezzo di strada, aveva già mandato du' altri accidenti al cane della signora Giuseppa, che appena aprono va abitualmente a pisciargli sull'uscio. Le altre mattine a quell'ora tutti i «buon giorno» erano stati scambiati, i prognostici sul tempo erano stati fatti, e ciascuno aveva già ripreso le sue stracche occupazioni fumando, bestemmiando e dicendo male del prossimo fra uno sbadiglio e l'altro.

Ma stamani è silenzio. Dormono sempre per rimettere il sonno perduto, perché dalla mezzanotte, quando sono stati destati da quel casa del diavolo, nessuno fino alle tre ha potuto più chiudere occhio.

Ecco come sta la faccenda. Da varî giorni v'erano state delle cose brutte e che minacciavano di farsi anche peggiori, fra Pierone e Cecco del Birindi. Ma ieri, che era domenica, ci entrò finalmente di mezzo il Priore, e le cose furono appianate con soddisfazione di tutti. Pierone dette parola a Cecco che ormai, avendo tirato su basso e dovendo andar via chi sa per quanto tempo, alla ragazza non ci avrebbe più pensato, e gli promise che lui non avrebbe più messo difficoltà. Cecco lo voleva abbracciare, ma Pierone si tirò indietro e non ne volle sapere, dicendo che quelle eran ragazzate. Soltanto accettò di trovarsi la sera a cena all'osteria di Giannaccio per bere il bicchiere dell'addio e per fare du' salti di trescone, se fossero venuti anche que' giovanotti di Vallicella con la chitarra e l'organino.

Alle tre famiglie interessate nella faccenda parve di sognare e fu per loro una giornata di vera baldoria. Polli e vino a cascare, e un viavai continuo d'amici e di conoscenti a rallegrarsi e a bere, nel tempo che le donne erano tutte sottosopra in cucina a friggere di gran padellate di frittelle di riso, che appena portate di là in larghi vassoi ricolmi sparivano prima d'aver finito il giro della comitiva. La mamma di Chiarastella stette tutto il giorno a ridere, a levar l'olio a' fiaschi e a piangere di consolazione. I vecchi babbi poi non si lasciarono mai un momento; e anche al vespro, dove andarono a braccetto, tutti e tre avvinati che era un desìo a vederli, si misero accanto a berciare come calandre, per mostrare a San Vitale martire, protettore della cura, la loro riconoscenza per la grazia ricevuta.

Fu insomma un'allegrezza generale, non tanto per veder felice e contento il povero Cecco e quella bona figliola della su' ragazza, quanto per sapere che presto, se Dio vòle, si levava di torno, e per un pezzo, quell'altro birbaccione, che anche giovedì passato tirò una pedata, pezzo di figuro, al su' vecchio, perché quel pover'uomo s'era azzardato a dirgli che mettesse giudizio!

«Basta. Anche questa è fatta», diceva il Priore compiacendosene, «e, per grazia di Dio, non ci si pensa più.»

Que' giovanotti di Vallicella, che avevan risaputo l'affare, non mancarono di comparire verso l'un'ora coi loro arnesi musicali; anzi l'orchestra era più numerosa del solito, perché per la strada avevan raccattato due altri compagni, uno con lo scacciapensieri e l'altro col treppiede, che lo sonava che pareva impossibile.

Andarono a prender Cecco a casa, e sonando allegramente attraversarono spavaldi il paese, con gran sigaroni accesi e cappelli sbertucciati, per andarsene all'osteria di Giannaccio, dove trovarono anche Pierone che in compagnia di altri amici stava sull'uscio ad aspettarli.

Fu lieto l'incontro delle due comitive: abbracci, evviva, strette di mano cordialissime, e poi tutti a tavola, dove Giannaccio aveva già preparato un catino di vermicelli al sugo e un diluvio di braciole di maiale in gratella, che furono spolverate in un baleno dalla chiassosa brigata. Finita la cena, comparvero le figliole di Giannaccio per salutare la conversazione; alcuni della comitiva andarono a far ragazze nelle case vicine; le tavole furono tutte portate in corte, meno quella sulla quale montarono i sonatori, e cominciò la festa.

Il vino lavorava; ma lavorava bene, perché tutti erano sempre nel periodo della tenerezza; e giù, baci a iosa e strizzoni e carezze e pizzicotti e risate da strapparsi la pancia. E la festa non era soltanto dentro, perché con l'uscio di strada aperto s'era formato lì davanti un capannello di gente del vicinato e di contadini, sulle cui facce estatiche, illuminate dalle tre candele di sego che Giannaccio aveva attaccato con de' chiodi alle pareti, si rifletteva in boccacce, contorsioni e smanacciate il movimento della stanza. Ed anche per loro erano risate da crepare tutte le volte che una coppia delle più sfrenate, presa dal capogiro, andava giù a rotoloni menando altre coppie nella rovina a fare un monte di vestiti e di ciccia sudata fra le gore del vino versato e gli ossi delle braciole seminati per la stanza.

Da un paio d'ore si deliziavano in quel baccano, quando una voce propose d'andare a far la serenata sotto le finestre di Chiarastella. La proposta fu accolta con urli di acclamazione, i sonatori saltaron giù dalla tavola, e via, con un lume di luna magnifico, a casa della ragazza.

Pierone, quando fu alla svoltata che menava a casa sua, voleva andarsene, ma i compagni lo costrinsero a seguirli. Cecco che era stato tanto allegro alla veglia, per la strada si cambiò a un tratto, non fece più una parola e andò avanti solo, col cappello sugli occhi e mordendosi i baffi distratto. Forse in quel momento ciascuno si pentì dell'idea della serenata, perché il silenzio si fece generale, ma nessuno ebbe il coraggio di proporre di tornarsene indietro. Sarà quel che sarà.

Chiarastella dopo le commozioni della giornata, stanca era andata a letto prestissimo, e quando giunsero i sonatori sotto la finestra della sua camera, dormiva. E forse sognava la sua felicità allorché fu dolcemente svegliata dal suono degli strumenti. Si mise in orecchi, ascoltò tremando la musica gradita, finché, cessati i primi accordi, sentì bisbigliare e riconobbe la voce di alcuni della comitiva che si davano la parola per improvvisare ottave o rispetti e per trovarsi d'accordo col passagallo. Si alzò allora sopra un gomito e stette più attenta ad ascoltare.

«L'ottava.» «Lo stornello.» «Il rispetto.» «Sì, sì, il rispetto.» «Lo canti te?» «No, non sono in vena.» «Allora, te!» «No, no!» «Sì, sì, lui, lo canta lui!»

Vi fu una breve disputa, e finalmente toccò a Cecco a cantare. Rimase qualche momento col capo basso a pensare, alzò dopo gli occhi al vaso di geranio che era sulla finestra della sua ragazza, e con voce da prima tremante ma poi sicura, cantò:

 

 Sulla finestra tua c'è nato un fiore.

 C'è nato un fior che non si cambia mai...

 

E i sonatori dettero nel passagallo.

 

 Verde la foglia speranza d'amore

 E quando nacque, bella, tu lo sai...

 

Qui di nuovo il passagallo: ma Cecco l'interruppe e andò in fondo ispirato:

 

 E quando nacque lo sapesti, o bella,

 C'innamorammo al lume d'una stella;

 E quando morirà, speranza cara,

 La croce avanti e noi dentr'alla bara.

 

Gli applausi furono pochi e stanchi, perché se il rispetto era molto piaciuto, altrettanto aveva rattristato gli amici. E già uno de' più accorti si preparava ad interrompere con un allegro stornello il tono troppo malinconico che aveva preso la serenata, quando la finestra fece spiraglio all'improvviso e comparve una mano bianca che strappata una foglia di geranio, la tirò sul gruppo dei giovanotti e disparve.

Tutte le braccia si stesero verso la foglia che calava lenta girando per l'aria; ma, nella confusione, nessuno fu buono d'afferrarla. Allora accadde una specie di zuffa e si buttarono tutti, fra manate e spintoni, a cercare la foglia che era caduta per terra. Pierone ebbe la sorte di trovarla. Cecco, che se n'avvide, diventato pallido, come la morte, tentò di strappargliela: ma non bastandogli la forza, si avventò carponi fra i piedi de' compagni a mordergli a sangue la mano. La foglia l'ebbe Cecco, ma in quel momento balenò sinistro il lampo d'un coltello.

«Ah! cane vigliacco! Chi è stato l'assassino che ha tirato fòri il coltello?!»

«Nessuno!», gridò subito Cecco. «Era l'anello, era l'anello!» E alzò nell'aria la destra, nel cui indice luccicava un largo anello d'argento.

Pierone rimise in tasca il coltello e si allontanò succhiandosi il sangue al morso della mano.

La serenata non andò più avanti. I sonatori tiraron diritto per Vallicella, e gli altri tornarono verso il paese, affrettando il passo senza scambiare una parola. Alla svoltata che menava alla casa di Cecco si fermarono un momento per i saluti, e da qualcuno fu detto d'accompagnarlo, ma Cecco non volle e lì si lasciarono.

Appena solo, gli rincrebbe d'aver voluto fare troppo il bravo rifiutando la compagnia degli amici, e se n'andò innanzi adagio e circospetto, tenendosi in mezzo alla strada e guardandosi ora alle spalle e ora spingendo avanti lo sguardo fra le siepi e giù per la campagna lungo i filari degli olmi.

«Nessuno! meglio per me; meglio per tutti!»

L'orologio della torre sonò i tre quarti dell'undici, e Cecco, ormai rassicurato, si fermò a guardare e a rimettere il suo; poi tirò fuori la pipa, ci trinciò una spuntatura, e:

«Corpo di Dio! ci siamo!».

Fece qualche passo avanti per accertarsi meglio:

«Non c'è dubbio!».

Si fece animo sbacchiando in terra la pipa, e con voce abbastanza ferma:

«Chi c'è costà?», gridò. «Fòri, fòri dall'ombra.»

Nessuna risposta; ma una figura d'uomo si staccò di dietro un albero e venne a piantarsi in mezzo alla strada a gambe larghe e con le braccia incrociate sul petto.

«Non mi far del male, Pierone; t'ho conosciuto; hai famiglia anche te, non ci facciamo del male!»

E Pierone zitto e immobile.

«Non ci roviniamo, Pierone; pensaci; non mi ci mettere, fammi la carità, non mi ci mettere al cimento. Pierone; le braccia l'ho anch'io, e le tasche non l'ho vòte.»

Così dicendo, Cecco era andato sempre avanti nella fiducia di poter placare il suo nemico; ma quando gli fu a una diecina di passi, Pierone gli si avventò com'una bestia, menando coltellate a morte.

Cecco sopraffatto cominciò a dare indietro tenendoselo distante con pedate negli stinchi e colpi nello stomaco; ma non c'era riparo, e ad ogni scarica si sentiva toccato come dal fuoco, ora nelle mani, ora nelle braccia, dove il coltello di quel furibondo lo poteva arrivare.

L'orrore del pericolo dette a Cecco il sangue freddo. Stette un istante con l'occhio alla lama, prese il tempo e si avventò con le due mani al polso di Pierone, che se lo sentì serrato come in una morsa. Con la rapidità del gatto, Pierone corse con la sinistra al coltello per continuare a dare con quella; ma se la sentì abboccata da Cecco che in quello stato d'orgasmo disperato gli affondava i denti nella carne fino all'osso. Pierone si piegò su di lui e gli addentò l'orecchio.

Questi movimenti si successero con la rapidità del baleno e i contendenti rimasero li zitti a contorcersi soffiando e mugolando come bufali al laccio. Erano per cadere spossati, quando Cecco lasciò andare improvvisamente la presa. Pierone fece altrettanto per avventurarsi di nuovo; ma Cecco, agile come un tigrotto, gli scivolò via e si dette a correre verso il villaggio. Pierone lo raggiunse alle prime case e gli si avventò più furibondo che mai.

Cecco, difendendosi alla peggio e rinculando sempre dentro al caseggiato, incominciò allora a gridare aiuto con quella voce squarciata che ti dice tutto e ti ficca il gelo nell'anima e subito si vide qua e là comparir luce alle finestre, e poi lumi che correvano incerti per le stanze, e ombre umane che si allungavano fantastiche sulle case di faccia; ma nessuno ancora usciva nella via e la lotta continuava feroce tra gli urli fuochi di Cecco e quelli delle donne che spenzolate alle finestre gridavano: «Assassini! correte! s'ammazzano! s'ammazzano!».

A un tratto s'udì un «Aah» di rabbia disperata; uno dei contendenti cadde e l'altro si dette alla fuga fra le imprecazioni degli uomini che incominciarono allora a sbucare mezzi nudi dalle porte, armati di schioppi e di vanghe. Ma troppo tardi, perché Graziano macellaro, che fu il primo a correre gridando e scotendo all'aria la mannaia delle vitelle, quasi inciampò nel corpo di Pierone, che disteso attraverso alla strada mandava l'ultimo fiato.

Nessuno è comparso ancora sulla piazzetta. Su all'alto, dopo la levata del sole, s'è messo a nevicare, il vento è rinfrescato, e giù pei poggi si rincorrono le ombre delle nuvole ad investire il villaggio che ora brilla al sole e ora rimane bigio nella penombra, prendendo un'aria di freddo e di tristezza, che s'intona perfettamente coll'aspetto della piazzetta in fondo alla quale un cane della campagna passa arruffato dal vento e fiuta sospettoso il terreno.

 

 

 

 




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License