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Giuseppe Giacosa Una partita a scacchi IntraText CT - Lettura del testo |
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Scena prima - Renato e Iolanda
E la pioggia continua, fredda, incessante e greve!
Oggi pioggia, Iolanda, domani avrem la neve, Essa è già nell'aria che turbina; io la sento.
E sempre il vento!
L'ora?
La sedicesima, padre.
Povera mia fanciulla, va, la tua sorte è dura, Vivere prigioniera con un bianco guardiano In questa tetra valle, dimora all'uragano! Che nebbia fitta! Senti che fischi! La montagna Rompe il vecchio nemico e nell'urto si lagna. Che crepiti d'abeti! Quanti son stesi al suolo!
Una buona giornata doman pel boscaiuolo: Li vedrem cigolando solversi in fumo. - È bella Sul tizzo che s'imbruna quell'azzurra fiammella. Le buone piante! Quando ardono sull'alare, Io le guardo, le guardo, le ascolto sospirare Con quei lunghi sospiri e penso alla foresta, Dove un giorno levarono fieramente la testa. Quanti urti coll'aspre valanghe han sostenuti! Quante rigide nevi sovra i rami barbuti! Ne verranno dell'altre.
Venite, Padre, a sciogliere al fuoco le membra intirizzite. Mi direte le vostre gesta di cavaliero, Oppur la bella fiaba di Aroldo e il suo corsiero. Chiameremo compagni Cristoforo e Martino.
(seduto accanto al fuoco, nelle pareti del camino, e guardando la fiammata)
Ne ho visti dei folletti su pel camino! No, non chiamar nessuno, figlia, voglio te sola. Siedi, fatti più accosto, così; la mia parola Cerca la via più breve per arrivarti al cuore. Tu sei la mia figliuola, Iolanda, il solo amore Ch'io mi abbia in questa terra, il solo, e tu lo sai. Quando mi sei vicina, figlia, non penso mai Alle mie rughe antiche e ai miei capelli bianchi. Iolanda, io sono vecchio, solo se tu mi manchi. Una volta, perdonami, ti bramavo un fratello, Che, come tu lo sei, fosse nobile e bello, Che tramandasse ai figli, pura e intatta, come Io la tenni dai padri, la gloria del mio nome. Iddio non mel concesse. Savie leggi le sue! Nel mio cuore, Iolanda, non c'è posto per due. Ora se ci ripenso, sono meco adirato Per quel tanto di affetto che ti avrebbe rubato. Vieni qui, figlia, senti, tu sei bella, e sei buona, E sei casta, il tuo nome val più che una corona. Avrai dieci castella, e possenti domini, Sarai donna e signora ne' miei vasti confini, Ma...
Padre, ch'io continui? Se mi state a sentire, Io v'indovino tutto quello che vorreste dire.
Ebbene?...
A vostra figlia manca ancora uno sposo.
È vero. Un cavaliere nobile e generoso Che facendoti lieta faccia me pur felice. Io son presso al tramonto. Qualche cosa mi dice Che...
Non voglio sentirle queste brutte parole. Ritornerete giovane coll'anno e colle viole.
E poi questo castello ha troppi echi; le sale Così vuote e sonore mi fanno tanto male! Le vecchie travi han d'uopo di nidi e di canzoni, Han bisogno di strilli i monotoni androni. Mi mancano bambocci che mi turbino il sonno, Sai? Si diventa padre, per diventar poi nonno. I vecchi rimbambiscono ed amano i trastulli. Non fosse che a sgridarli, mi ci voglion fanciulli.
Voglio essere io sola ad amarvi.
Perché? Ne' tuoi figli, Iolanda, non amerei che te. Tu sei già troppo vecchia; tu sei seria e pensosa, Tu rifletti al da farsi, una gran brutta cosa! Ti sorprendo talvolta cogli occhi al cielo intenti, Tu non pensi a tuo padre, figliuola, in quei momenti. Insomma, tu sei donna; io, vecchio paladino, Anche quando ti abbraccio mi curvo ad un inchino; E poi, in questa valle maestosa ed oscura, C'è troppa solitudine, e c'è troppa paura. Tu non conosci i cieli aperti della piana, Né i rasati orizzonti dalla curva lontana. V'han paesi, ove i fiori ridono sempre ai miti Zefiri. I miei castelli sono tetri e romiti! La vastità del cielo allo sguardo è contesa, Questa brutta montagna più che gli anni ci pesa; Qui s'invecchia anzi tempo, se il soave liquore Degli affetti non mesci nella coppa d'amore. Io son mortale, o figlia, via provvedi a te stessa.
Sì, fonderò un convento per farmene badessa.
Ebbene, veniamo al serio. Anch'io, Quando mi trovo sola meco stessa e con Dio, Sogno talora i gaudi dell'amore, e mi sento Addormentarsi l'anima tutta in un rapimento, E fingo che il mio fato conduca un forte e bello A superar la fossa del mio patrio castello. Lo ascolto in ton sommesso mormorarmi parole Più ardenti e più feconde che la luce del sole; E lo guardo negli occhi, che divampano fuoco, E mi cullo in visioni celesti, e a poco a poco Mi risveglio, e le sale del mio patrio castello Non suonan mai dei passi di questo forte e bello.
Al marchese d'Andrate opponesti un rifiuto: Era un bel maritaggio.
Non l'avevo veduto!
E' sarà stato un forte, padre, ma bello, via!
L'animo generoso ogni bellezza avanza.
Sì, ma non veggo l'animo e veggo la sembianza. Se io mi fossi quale, voi dite, ch'io non sono, Avessi pure il cuore divinamente buono, Non troverei nessuno di virtù così sante Da sceverar dall'animo la causa del sembiante. La bellezza è l'impresa che i nostri sguardi arresta, Si cerca poi se al motto corrispondon le gesta.
E vuoi condur la vita in codesta maniera, Fra i trapunti ed il fuso, fra l'ago e la scacchiera?
Oh! La scacchiera, giusto men fate sovvenire,
Tanto non ci riesco; con te non sono destro, L'allieva ha superato di gran lunga il maestro. Tu sei come la rocca di Bard, la non si piglia: Aggiungo questa gloria a quelle di famiglia. Dunque, il duca di Rosalba?...
Se mal non mi sovviene, un dì mi avete detto, Che m'avreste lasciata assoluta padrona Nel dispor del mio cuore e della mia persona.
È vero, e, contro gli usi de' miei padri, ti voglio Signora più assoluta che una regina in soglio. So che più d'un mi biasima sommessamente, ed io, Che chiamo di mie gesta solo giudice Iddio, Pensa che la tua scelta sarebbe arra sicura Di nome senza macchia, di cuor senza paura. Ma fra tutt'i signori che alle mie corti aduno, Io non t'ho fatta libera di non sceglier nessuno.
No.
Altero sulla fronte salirebbe il tuo amore. Tu non sapresti infingerti.
Voglio farvi contento: Sceglietemi uno sposo voi stesso, io v'acconsento. La libertà vi rendo che m'avete largita,
Ho sentita
Un Landmanno, venuto A rendermi d'omaggio il debito tributo.
Son parecchi cavalli.
Un servo: Sollecita la vista del mio nobil padrone.
Il conte di Fombrone? Fategli tutti onore E sia sulle mie terre, più che ospite, signore.
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