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Giuseppe Giacosa
Una partita a scacchi

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  • ATTO UNICO
    • Scena seconda - Oliviero conte di Fombrone, Fernando e detti.
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Scena seconda - Oliviero conte di Fombrone, Fernando e detti.

 

Renato:    (a Fombrone)

Oliviero, ben giunto, nobile e vecchio amico,

Questo è un giorno di festa pel mio castello antico.

 

Oliviero:

L'amicizia è l'altrice delle gioie più sante

E non l'ho mai provata siccome in questo istante.

 

Renato:

La mia figlia Iolanda.

 

Oliviero:

Dio lega opposte cose,

Il rigor delle nevi, la beltà delle rose.

 

Renato:    (a Iolanda, indicando Fombrone)

Tu conosci il suo nome, fummo compagni, quando

Le braccia eran robuste ed era aguzzo il brando,

Corremmo insiem le corti e guerreggiammo allato,

E se lo seppe il vinto signor di Monferrato.

 

Oliviero:     (indicando Fernando)

Il mio paggio Fernando.

 

Renato:

Cresciuto alla tua scuola

Avrà pronta la mano e lenta la parola.

Il sangue assiderato vivo al fuoco discorra,

Son pungenti le brezze che soffia questa forra.

Mescete il Mommeliano.

 

(I servi eseguono)

 

Oliviero:   (sedendo accanto al fuoco)

Per Dio, ti giuro il vero,

La tua figliuola è bella, e forte è il tuo maniero.

 

Renato:

Dimmi di te, Oliviero, rechi in fronte dipinto

Che lottasti cogli anni e, sempre, hai vinto.

 

Oliviero:

È passato il bel tempo.

 

Renato:

La quercia il gel non teme.

Chi direbbe a vederci che siam cresciuti insieme!

Non ti dieder disagio queste brevi giornate?

Le strade sono lunghe, Fombrone, e mal fidate;

Odo narrar sovente di violenze e rapine.

Non t'insorse disgrazia?

 

Oliviero:

Per poco in sul confine

Della montagna, dove la valle si disfalda

Non uscivo malconcio.

 

Renato:

Come! Narra.

 

Oliviero:

La salda

Spada, e l'animo ardito del mio paggio Fernando

Mi tolsero di briga. Venivam cavalcando

Il mio paggio e due bravi, quando dalla foresta

Uscì un sibilo acuto: sollevammo la testa,

E ci apparve sbucata sul margin della strada

Di dieci malandrini armati una masnada;

Stemmo, e il maggior di quelli fattosi a noi dinante

C'impose di seguirlo con un piglio arrogante.

Fernando a lenti passi gli si mosse vicino:

- Forse ti seguiremo, ma insegnane il cammino: -

Gli disse, e con un colpo lo stese a terra. Tosto

Minacciosi i rimasi ci furono daccosto,

Meno per trar vendetta del capo insanguinato

Che per far bella ruba del bottino agognato.

Eran nove gagliardi, armati e risoluti,

Noi quattro, io vecchio, i luoghi minacciosi e sconosciuti.

Il mio paggio mi guarda, poi mi s'accosta, in atto

Di chi voglia ricevere qualcosa di soppiatto,

Indi a furia di spronate, lancia il cavallo a volo.

Subito alle calcagna gli si muove uno stuolo

Di cinque masnadieri; e a noi priva di gloria,

Ma sicura ed agevole rimase la vittoria.

 

Iolanda:

Fu raggiunto dai cinque?

 

Oliviero:

Poco tratto di via

Percorso egli si volse, e al branco che venia,

Sorridendo con volto nobilmente sdegnoso,

Volse dell'armi audaci lo slancio impetuoso.

Era solo, piantato come un Centauro antico,

Sul dorso flessuoso del corsiero. Il nemico

Gli facea ressa intorno urlando a tutta possa.

Ei pronto alla parata, tremendo alla percossa,

Tenea con lenti giri quanto è larga la strada.

Già nei cozzi continui aveva rotta la spada,

Quando sbrigati i quattro che ci stavano di fronte

Noi giungemmo ed i ladri preser la via del monte

Lasciando di tre morti le spoglie il sul terreno.

 

Iolanda.

E non foste ferito?

 

Oliviero:

Io no, Fernando al seno

Ebbe una scalfitura ch'oggi è saldata, è vero?

 

Fernando:

Sì, conte.

 

Renato:

La tua mano, o giovine guerriero.

Sei un prode, in te il senno è pari all'ardimento.

Tuo padre nel ritorno t'abbraccerà contento.

 

Fernando:

Non ho padre, signore.

 

Renato:

Così giovane? Avrai

Una madre.

 

Fernando:

Neppure, e non li ebbi mai.

 

Renato:

Il tuo nome?

 

Fernando:

Fernando. La mia sorte è severa.

Se mi farò uno stemma, avrà la sbarra nera.

 

Renato:

Tu sei sangue di principi!

 

Fernando:

Se mi vita Iddio,

Farò diventi gloria l'esser sangue mio.

 

Renato:

Fiere parole!

 

Fernando:

Il vanto vuol essermi concesso,

Dacché tutto che sono, nol debbo che a me stesso.

 

Renato:

Sei giovane e fidente, l'anima hai franca e ardita,

Apprenderai cogli anni la scienza della vita;

Ma ti darò un consiglio, io che ho vissuto tanto:

L'opera è più gloriosa scompagnata dal vanto.

 

Fernando:

Io penso che su giovane bocca il vanto non convenga,

Se il labbro non promette più che il braccio mantenga.

 

Renato:

Non ti dolga, Fombrone, s'io biasimo le sue mende,

Amo in lui la prodezza, ma l'orgoglio m'offende.

 

Fernando:

Rispetto in voi l'antico coraggio e il  nome antico,

E del mio buon signore il più fidato amico;

Ma portare dimessa la fronte io mai non soglio,

È fra le mie virtudi, prima virtù, l'orgoglio.

 

Renato:

Che sai tu della vita, fanciul, chi te l'apprese?

Perché la guancia hai bella e le pupille accese,

Perché il vigor degli anni ai perigli t'indura,

Perché tutta al tuo sguardo sorride la natura,

Perché fissando intrepido il destin che s'avanza,

Senti un nervo nel braccio, nel cuore una speranza,

Perché non ha che stelle la tua notte serena.

Perché se il labbro ha sete sempre la coppa hai piena,

Perfin contro il futuro spingi il folle ardimento?

E gridi alla tua sorte: Io voglio e non pavento?

Ma non lo sai, fanciullo, non te l'han detto ancora

Che assai lungo è il cammino, che la vita è di un'ora?

E che prima di giungere al culmine agognato

Avrai le mani lacere e il viso insanguinato?

Che dovrai divorarti il sopruso e l'affronto?

Che oggi ti chiami aurora, e domani tramonto?

Ero ancor piena l'anima di splendide chiemere,

Se volavano al vento le guerresche bandiere,

Sentivo ancora i fremiti generosi e la sete

Dei perigli, e correvano le mani irrequiete,

Correvano a brandir l'asta; al nome di gloria

Mi luceva negli occhi l'ardor della vittoria;

E un giorno all'opra usata cesse il vigor, mi parve

Un peso insopportabile la mia spada. Le larve

Svaniron tutte, i moti del mio cuor furon muti,

E i miei sogni di gloria, non erano compiuti!

 

Fernando:

Vecchio, sei grande  e nobile, come nessun fu mai;

Dirò superbo un giorno: lo vidi e gli parlai.

La tua grave parola fu quella di un veggente.

Sì, le tue sagge norme le terrò fisse in mente.

Però la mia fortuna alla tua non somiglia,

Tu avesti in sorte un nome, un tetto, una famiglia.

Fu la scuola di un padre che t'educò alla vita,

E sprone alle grandi opere fu la grandezza avita.

L'armi pria che un cimento ti furono un trastullo.

Io crebbi solo, un orfano no, non è mai fanciullo.

Nell'età dei sorrisi, dei baci e degli incanti

Non conobbi che l'ire, non conobbi che i pianti.

Io non avevo un nome, che per sacro legato

Dovessi far più illustre o serbare onorato,

Io non avevo un padre, che premio al mio valore,

Baciasse in sulla fronte il giovin vincitore.

Di ritorno dal campo, triste conforto m'era

La venale larghezza di una soglia straniera.

Quanto le glorie illustri di tanti avi ti fenno,

Guadagnarlo dovetti coll'opera e col senno;

Nessun l'onor m'apprese, nessun m'apprese Iddio;

L'onor, l'armi, la fede sono retaggio mio.

Lasciai lembi di carne in più di una tenzone,

Lasciai lembi di cuore al piè d'ogni blasone.

Fidente nel mio fato, invido mai non fui,

Sotto l'acerbo insulto della grandezza altrui.

Superando gli ostacoli che incontravo per via,

M'era fonte di orgoglio la solitudin mia

Ed or che, me volente, s'appiana il mio sentiero,

Or che son fatto paggio e diverrò scudiero,

Or che, mercé maggiore d'ogni maggior tesoro,

Son presso al battesimo degli speroni d'oro,

Vuoi ch'io sappia frenarmi e rimanermi muto?

No, no, no, nol posso, per tanti anni ho taciuto!

Son forte, la mia spada nessuno al mondo agguaglia,

E non è lieve impresa lo sfidarmi a battaglia.

Freccia non esce invano mai dalla mia faretra,

E nella più minuta delle mire pènetra.

S'io gli imposi il cappello, il falco mai non erra,

E torna colla preda vittorioso a terra.

Né dell'arti gentili la scienza obliai

E so dal mio liuto trarre sirvente e lai;

Di sonanti ballate so far velo al pensiero,

So raccontar d'amore al par d'ogni troviero;

Spezzai più d'una lancia correndo la gualdana,

Più d'uno sguardo ottenni di bella castellana.

 

Renato:

Per Dio, soverchio ardire sopportar non mi giova.

Bada non mi sovvenga di metterti alla prova,

Ché se falli!...

 

Fernando:

Signore, fate a vostro talento,

Accetterò con gioia qualunque esperimento:

Ma lasciate ch'io noveri tutte le mie virtù,

E poi venga la prova, non vi chieggo di più.

Per studiare a tentarli ed a schermir gli attacchi,

Appresi le difficili movenze degli scacchi,

E nessuno mi supera...

 

Renato:

Dacché ne porgi il destro,

Noi ti vedremo all'opera, o d'ogni arte maestro.

A te, figliuola, insegnagli, né sarà poca gloria,

Come si faccia a vincere, senza gridar vittoria.

Qui si porrà all'aperto la tua scienza nascosta.

Perderai, tel predico.

 

Fernando:

Lo vedremo... E la posta?

 

Renato:

La posta? Se tu vinci, io ti do per consorte

La mia figlia Iolanda.

 

Fernando:

E se perdo?

 

Renato:   (traendolo in disparte, sommesso)

La morte.

 

Fernando:

L'offerta è troppo bella per opporvi un rifiuto.

 

Renato:

Accetti?

 

Fernando:

Accetto, conte.

 

Renato:

Se perdi...

 

Fernando:

Avrò perduto.

E non mi sentirete lagnarmi o maledire;

Se non appresi a vivere, ho imparato a morire.

 

Renato:

A te, figlia.

 

(I due si apprestano a giuocare)

 

Fernando:    (a Renato)

Scusate il soverchio ardimento,

Ma un giuoco tal richiede un giuocatore attento.

Il conte di Fombrone presso il fuoco vi aspetta,

Direte insiem le gioie dell'età prediletta.

Qui si vuol esser soli.

 

(Il tavolino a cui stanno seduti i due che giuocano è vicino al proscenio, mentre invece il camino è in fondo alla scena. Olivero è presso il camino).

 

Oliviero:

Il mio paggio ha ragione.

 

Renato:

Ed eccomi a' suoi cenni. Mesci ancora, Fombrone.

 

Oliviero:

Fosti con lui severo.

 

Renato:

Troppo?

 

Olivero:

No. Anch'io soventi,

Ebbi a fargli rimbrotto, e con acerbi accenti;

Ma è così bello il roseo confidar nel futuro,

Chi ignora i disinganni! Renato, è così puro!

La gioia è così piena dentro quell'occhio nero!

Così lucente, sotto quel crin folto, il pensiero!

Ed io lo vidi all'opera, e lo so forte ed audace.

Quel suo animo baldo e leale mi piace,

E mi ricorda i giorni della mia giovinezza.

 

Renato:   (fra sé)

Come sfida la morte con eroica fermezza!

 

Oliviero:

Tu pensi?...

 

Renato:

Nulla.

 

Oliviero:

Eppur ti leggo nelle ciglia...

 

Renato:

Vorrei che avesse a vincere.

 

Oliviero:

Per sposare tua figlia.

 

Renato:

È vero!

 

Oliviero:

Convien dire ch'ella giuochi a pennello,

Se offristi al vincitore un premio come quello!

E tu che avrai, se perde, in cambio alla fanciulla?

 

Renato:   (esitando)

Nulla.

 

Oliviero:

Nulla? Davvero?

 

Renato:   (quasi parlando a sé stesso)

No, non voglio aver nulla,

Un tal patto non regge.

 

Oliviero:

E Renato pretende

Riprender la sua fede?

 

Renato:

E se egli me la rende?

 

(I due continuano a parlare sommesso).

 

Iolanda:

Che hai, paggio Fernando? Non giuochi e non favelli.

 

Fernando:

Ti guardavo negli occhi, che sono tanto belli.

 

Iolanda:

Ed io senza periglio decimo le tue schiere;

Già perdesti una Torre, e do scacco all'Alfiere,

Se non provvedi tosto a metterlo da banda.

Attento ai mali passi.

 

Fernando:

Grazie, bella Iolanda.

Pensavo a mille cose lontane, e stavo muto

Per la triste certezza che tanto avrei perduto.

Eccomi a tal ridotto che un sol passo non feci.

 

Iolanda:

Vuoi tu, paggio Fernando, che mutiamo le veci?

 

Fernando:

No, tienti la tua sorte e lasciami la mia.

 

Iolanda:

A te, non trovi nulla che t'ingombri la via?

Oh la sventata! Vedi che ho messo il piede in fallo.

Ti do scacco all'alfiere, e disarmo il Cavallo.

 

Fernando:   (prende il cavallo)

Non ardirei di prenderlo, l'accetto come un dono.

 

Iolanda:

Vedi l'avventurata giocatrice ch'io sono!

Neppur credi all'errore.

 

Renato:   (avvicinandosi)

Come sta la partita?

 

Fernando:

Io perdo.

 

Renato:   (contento)

Sì? Fanciullo, facciamola finita,

Smetti il giuoco, fu scherzo la scommessa.

 

Fernando:

Vi pare!

Con voi, nobil signore, non ardirei scherzare,

Né con veruno al mondo, intorno a un argomento...

 

Renato:

Tu perdi, me l'hai detto tu stesso.

 

Fernando:

E non consento

Perdente a grazia alcuna, ché vincitore, avrei

Altamente vantati tutti i diritti miei.

 

Renato:

Bada a tentar la sorte, paggio, bada!

 

Fernando:

La tento.

E data una parola, signor, non mi ripento.

 

Renato:

E tal sia     

 

(s'allontana e poi ritorna).

 

No, sei giovane, fanciullo, e ardimentoso

E d'una tua disgrazia non mi darei riposo.

Smetti quella fierezza, renditi al buon consiglio,

Io te ne prego, come si pregherebbe un figlio.

Sei in tempo, ritraggiti, tu sai quanto t'aspetta...

Iolanda, te ne prego, digli che mi dia retta.

 

Iolanda:

Perché mi dovrò esporre io pure ad un rifiuto?

Un istante può rendergli il terreno perduto.

 

Renato:

La vanità di vincere ti fa di questo avviso.

 

Iolanda:

O padre!

 

Renato:

Ma tu ignori che s'ei perde, è deciso.

 

Fernando:   (interrompendolo)

Conte... Fate opra inutile, nessuno mi cancella

Dal cuore una promessa.

 

Renato:

Ti lascio alla tua stella.

 

(Renato va di nuovo presso Fombrone, con cui conversa a bassa voce. Iolanda e Fernando giocano per alcuni istanti senza far motto).

 

Iolanda:

Che volle dir mio padre con quelle sue parole:

Se egli perde è deciso?...

 

Fernando:

Nulla ch'io sappia - fole...

 

Iolanda:

Eppure mi pareva che parlasse assennato,

E tu l'interrompesti tutto quanto turbato.

Che perdi tu, se perdi?

 

Fernando:

Nulla che mi stia a cuore.

 

Iolanda:

Mio padre più ti teme vinto che vincitore.

Non so perché, Fernando, son pensosa e afflitta.

 

Fernando:

Bella Iolanda, allegrati, sarà mia la sconfitta.

 

Iolanda:

Oh! Perché con sì tristi presagi ti martelli?

 

Fernando:

Io? Ti guardo negli occhi, che sono tanto belli!

 

Iolanda:

Sei mesto nel sembiante, perché? La tua ferita

Ti duole forse?

 

Fernando:

Punto... Com'è bella la vita!

 

Iolanda:

(Pausa).

Paggio Fernando, è molto lontano il tuo paese?

 

Fernando:

Io nacqui dove l'aria è tepida e cortese;

Dove la terra è piena di cantici e di fiori.

Dove in grembo alle Muse sorridono gli amori.

Dove nel mari si specchiano i pallidi oliveti,

Dove i colli son ricchi d'aranci e di palmeti,

Dove tutto è profumo, dove tutto è sorriso,

Dove non si vagheggia più bello il Paradiso,

Dove spiran le brezze del sonante Oceàno,

E quel vago paese è lontano, lontano.

 

Iolanda:

Le donne vi saranno leggiadre e amorose.

 

Fernando:

Sì, facili all'amore, ma folli e obliose;

Sì, il mio sole di fuoco nutre beltà procaci;

Sì, Quelle labbra ardenti sono fatte pei baci;

Ma noi cresciuti ai torridi meriggi, e in mezzo ai fiori

Inebrianti e pinti dei più vivi colori,

Amiamo i molli petali flessuosi e pallenti,

Amiamo le corolle bianche dei cieli algenti,

Ed una treccia bionda, e un occhio azzurro, e un bianco

Viso ed un abbandono soavemente stanco,

Ci suscitano le accese fantasie del pensiero

Più che una chioma bruna e più che un occhio nero.

Il mio mare lontano è azzurro, azzurri i monti

Che si veggon da lungi e son d'oro i tramonti.

(Pausa).

Tu sei bella, Iolanda.

 

Iolanda:

Com'è dolce il tuo dire!

 

Fernando:

Senti, hai tu mai pensato che si possa morire

Prima d'aver provato che cosa sia l'amore?

Prima che un sol fiorisca dei germogli del cuore?

Prima di bisbigliarsi le più ardenti parole?

Prima d'aver goduta la tua parte di sole?

 

Iolanda:

Oh no!

 

Fernando:

No, non è vero? Se non fosse che un'ora,

Un'ora dell'ebbrezza che ogni ebbrezza scolora,

Le mie pupille un'ora fissate nelle tue,

E poi venga il destino.

 

Iolanda:

Si morirebbe in due.

 

Fernando:

Che morbidi capelli!

 

Iolanda:

Perché parli di morte

Quasi che ti volessi doler della tua sorte?

 

Fernando:

Come hai dolce il sorriso!

 

Iolanda:

Perché, paggio Fernando,

Mi guardi così mesto mesto?

 

Fernando:   (ricomponendosi d'un tratto)

Nulla, andavo pensando

A speranze impossibili, a confusi desiri;

Giochiamo, ho fatto un sogno d'oro...

 

Iolanda:

Perché sospiri?

 

Fernando:

Sospiro... la mia pace, le mie terre lontane.

 

Iolanda:

E gli sguardi ottenuti di belle castellane.

 

Fernando:

Bada, or sei tu che perdi   (indicandole il giuoco).

 

Iolanda:

Me ne dai con premura

L'avviso, la vittoria par ti metta paura.

 

Fernando:

Oh! Ma non sai, Iolanda, che ho giocato la vita?

Non lo sai che se perdo questa volta è finita?

Non lo sai che sei bella, come nessuna al mondo?

Che amo il tuo fronte bianco ed il tuo crine biondo?

Che di mio non ho nulla che il sangue delle vene?

Che sono solo al mondo se tu non mi vuoi bene?

 

Iolanda:

E tu, cieco, non vedi che m'affanno da un'ora

Per goder quest'ebbrezza che ogni ebbrezza scolora?

 

Oliviero:   (a Renato)

Guarda com'è pensoso, colla testa china...

 

Renato:

Come va la partita?

 

Fernando:

Do scacco alla Regina.

 

Iolanda

Ascoltami, Fernando, questa è la prima volta

Che mi giunge una voce d'amore a me rivolta.

Se tu sapessi come li ho sognati soventi,

La tua maschia sembianza, i tuoi nobili accenti!

Quante volte, seduta sul verone, alla sera,

Invece del monotono ritmo della preghiera

Mormoravo parole febbrili ed interrotte,

Chiedendo al ciel benigno un raggio alla mia notte.

Se tu sapessi, come dietro le vetriate

Passavan lunghe e fredde le vedove giornate!

Se vedevo una donna con in braccio un bambino,

Se mi giungean le note di un nunzial festino,

Guardavo alle mie vesti, ai monili, alle anella,

E mi sentivo povera più che un'umile ancella.

Sentivo qui nel cuore uno sgomento arcano,

E nel paterno petto mi rifugiavo invano,

Venner marchesi e conti a cercarmi in isposa,

Ma tutti li respinsi per ripugnanza ascosa.

Tu giungesti, Fernando, tu che sei forte, e bello,

E una voce nell'anima mi gridò tosto: è quello.

 

Fernando:

La tua mano, Iolanda. Mano bianca, sottile,

Non avrai tu la sorte di un umil paggio a vile?

 

Iolanda:   (sorridendo)

È il destin che ci unisce nella sapienza sua;

Guarda, due mosse ancora e la vittoria è tua.

 

Renato:   (avvicinandosi)

A che ne siamo?

 

Iolanda:   (sorridendo)

Padre, la vostra figlia invitta

Medita il disonore di una prima sconfitta.

 

Renato:

Perdesti?

 

Iolanda:

Non ancora, ma perderò.

 

Renato:

Fernando,

Ascoltami, sospendi, io vaneggiavo quando

T'offersi quella sfida. Scegli fra i miei castelli

Il più forte, il più ricco, è tuo; ma si cancelli

Questo patto impossibile, rendimi la mia fede,

Ti farò ricco e nobile... è un padre che tel chiede.

 

Fernando:

Signore, a tanta offerta una risposta sola:

Amo la figlia vostra - Conte, ho la tua parola.

 

Renato:

La terrò, se lo imponi, ma se onor ti consiglia,

Se in cuore un po' d'affetto tu nutri per mia figlia,

Pensa, e s'io ti rammento tristi cose, perdona,

Pensa che già respinse una ducal corona,

Ch'essa è quanto rimane di un antico lignaggio,

Pensa che più d'un principe invidia il suo retaggio.

 

(Fernando esita; Iolanda se n'avvede e lo spinge con gesti a giuocare).

 

Iolanda:   (a bassa voce)

Giuoca, Fernando.

 

Renato:

Un giorno, paggio, tu pure, è vero,

Sarai forse possente e ricco cavaliero,

Ma finor...

 

Iolanda:    (a bassa voce)

Giuoca, giuoca, un passo sol.

 

Renato:

Finora

Di tua vita, Fernando, tu non sei che l'aurora;

Iolanda è bella, è ricca, e... suo padre tel dice,

A lungo non potrebbe con teco esser felice.

 

(Mentre Fernando esita, Iolanda di soppiatto lo piglia dolcemente per mano, e fa lei una mossa per lui).

 

Iolanda:

Padre, è tardo il consiglio, quello che è fatto è fatto,

L'onor vostro è impegnato.

 

Renato:

Che dici?

 

Iolanda:    (alzandosi e con lei tutti)

Scacco matto.

 

Oliviero:

Fernando ebbe il demonio o l'amor dalle sue.

 

Iolanda:   (a Renato)

M'offrivate uno sposo e lo scegliemmo in due.

 

Renato:

E così mi ti mostri vergognosa ed afflitta?

 

Iolanda:    (abbracciando suo padreporgendo una mano a Fernando)

Chi vince è di famiglia, quindi non c'è sconfitta.

 

Renato:    (a Fernando)

Dacché il fasto di un nome non ti concesse Iddio,

Ti sembra a sufficienza degno ed illustre il mio?

 

Fernando:

Signor...

 

Renato:

Sei prode all'opera e assennato al consiglio,

Ed io ringrazio il cielo che m'ha donato un figlio.

 

(Fernando, dopo di essersi inginocchiato ai piedi di Renato il quale gli pone le mani sul capo, s'alza e si volge a Iolanda senza dire parola).

 

Iolanda:

E ancor, paggio Fernando, mi affisi e non favelli?

 

Fernando:

Io ti guardo negli occhi, che sono tanto belli.

 

FINE




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