Renato: (a Fombrone)
Oliviero, ben
giunto, nobile e vecchio amico,
Questo è un giorno
di festa pel mio castello antico.
Oliviero:
L'amicizia è
l'altrice delle gioie più sante
E non l'ho mai
provata siccome in questo istante.
Renato:
La mia figlia
Iolanda.
Oliviero:
Dio lega opposte
cose,
Il rigor delle
nevi, la beltà delle rose.
Renato: (a Iolanda, indicando Fombrone)
Tu conosci il suo
nome, fummo compagni, quando
Le braccia eran
robuste ed era aguzzo il brando,
Corremmo insiem le
corti e guerreggiammo allato,
E se lo seppe il
vinto signor di Monferrato.
Oliviero: (indicando Fernando)
Il mio paggio
Fernando.
Renato:
Cresciuto alla tua
scuola
Avrà pronta la mano
e lenta la parola.
Il sangue
assiderato vivo al fuoco discorra,
Son pungenti le
brezze che soffia questa forra.
Mescete il
Mommeliano.
(I servi eseguono)
Oliviero: (sedendo accanto al fuoco)
Per Dio, ti giuro
il vero,
La tua figliuola è
bella, e forte è il tuo maniero.
Renato:
Dimmi di te,
Oliviero, rechi in fronte dipinto
Che lottasti cogli
anni e, sempre, hai vinto.
Oliviero:
È passato il bel
tempo.
Renato:
La quercia il gel
non teme.
Chi direbbe a
vederci che siam cresciuti insieme!
Non ti dieder disagio
queste brevi giornate?
Le strade sono
lunghe, Fombrone, e mal fidate;
Odo narrar sovente
di violenze e rapine.
Non t'insorse
disgrazia?
Oliviero:
Per poco in sul
confine
Della montagna,
dove la valle si disfalda
Non uscivo
malconcio.
Renato:
Come! Narra.
Oliviero:
La salda
Spada, e l'animo
ardito del mio paggio Fernando
Mi tolsero di
briga. Venivam cavalcando
Il mio paggio e due
bravi, quando dalla foresta
Uscì un sibilo
acuto: sollevammo la testa,
E ci apparve
sbucata sul margin della strada
Di dieci malandrini
armati una masnada;
Stemmo, e il
maggior di quelli fattosi a noi dinante
C'impose di
seguirlo con un piglio arrogante.
Fernando a lenti
passi gli si mosse vicino:
- Forse ti
seguiremo, ma insegnane il cammino: -
Gli disse, e con un
colpo lo stese a terra. Tosto
Minacciosi i rimasi
ci furono daccosto,
Meno per trar
vendetta del capo insanguinato
Che per far bella
ruba del bottino agognato.
Eran nove gagliardi,
armati e risoluti,
Noi quattro, io
vecchio, i luoghi minacciosi e sconosciuti.
Il mio paggio mi
guarda, poi mi s'accosta, in atto
Di chi voglia
ricevere qualcosa di soppiatto,
Indi a furia di spronate,
lancia il cavallo a volo.
Subito alle
calcagna gli si muove uno stuolo
Di cinque
masnadieri; e a noi priva di gloria,
Ma sicura ed
agevole rimase la vittoria.
Iolanda:
Fu raggiunto dai
cinque?
Oliviero:
Poco tratto di via
Percorso egli si
volse, e al branco che venia,
Sorridendo con
volto nobilmente sdegnoso,
Volse dell'armi
audaci lo slancio impetuoso.
Era solo, piantato come
un Centauro antico,
Sul dorso flessuoso
del corsiero. Il nemico
Gli facea ressa
intorno urlando a tutta possa.
Ei pronto alla
parata, tremendo alla percossa,
Tenea con lenti
giri quanto è larga la strada.
Già nei cozzi
continui aveva rotta la spada,
Quando sbrigati i
quattro che ci stavano di fronte
Noi giungemmo ed i
ladri preser la via del monte
Lasciando di tre
morti le spoglie il sul terreno.
Iolanda.
E non foste ferito?
Oliviero:
Io no, Fernando al
seno
Ebbe una scalfitura ch'oggi è
saldata, è vero?
Fernando:
Sì, conte.
Renato:
La tua mano, o
giovine guerriero.
Sei un prode, in te
il senno è pari all'ardimento.
Tuo padre nel
ritorno t'abbraccerà contento.
Fernando:
Non ho padre,
signore.
Renato:
Così giovane? Avrai
Una madre.
Fernando:
Neppure, e non li
ebbi mai.
Renato:
Il tuo nome?
Fernando:
Fernando. La mia
sorte è severa.
Se mi farò uno
stemma, avrà la sbarra nera.
Renato:
Tu sei sangue di
principi!
Fernando:
Se mi dà vita
Iddio,
Farò diventi gloria
l'esser sangue mio.
Renato:
Fiere parole!
Fernando:
Il vanto vuol
essermi concesso,
Dacché tutto che
sono, nol debbo che a me stesso.
Renato:
Sei giovane e
fidente, l'anima hai franca e ardita,
Apprenderai cogli
anni la scienza della vita;
Ma ti darò un
consiglio, io che ho vissuto tanto:
L'opera è più
gloriosa scompagnata dal vanto.
Fernando:
Io penso che su
giovane bocca il vanto non convenga,
Se il labbro non
promette più che il braccio mantenga.
Renato:
Non ti dolga,
Fombrone, s'io biasimo le sue mende,
Amo in lui la
prodezza, ma l'orgoglio m'offende.
Fernando:
Rispetto in voi
l'antico coraggio e il nome antico,
E del mio buon
signore il più fidato amico;
Ma portare dimessa
la fronte io mai non soglio,
È fra le mie
virtudi, prima virtù, l'orgoglio.
Renato:
Che sai tu della
vita, fanciul, chi te l'apprese?
Perché la guancia
hai bella e le pupille accese,
Perché il vigor
degli anni ai perigli t'indura,
Perché tutta al tuo
sguardo sorride la natura,
Perché fissando
intrepido il destin che s'avanza,
Senti un nervo nel
braccio, nel cuore una speranza,
Perché non ha che
stelle la tua notte serena.
Perché se il labbro
ha sete sempre la coppa hai piena,
Perfin contro il
futuro spingi il folle ardimento?
E gridi alla tua
sorte: Io voglio e non pavento?
Ma non lo sai,
fanciullo, non te l'han detto ancora
Che assai lungo è
il cammino, che la vita è di un'ora?
E che prima di
giungere al culmine agognato
Avrai le mani
lacere e il viso insanguinato?
Che dovrai
divorarti il sopruso e l'affronto?
Che oggi ti chiami
aurora, e domani tramonto?
Ero ancor piena
l'anima di splendide chiemere,
Se volavano al
vento le guerresche bandiere,
Sentivo ancora i
fremiti generosi e la sete
Dei perigli, e
correvano le mani irrequiete,
Correvano a brandir
l'asta; al nome di gloria
Mi luceva negli
occhi l'ardor della vittoria;
E un giorno
all'opra usata cesse il vigor, mi parve
Un peso
insopportabile la mia spada. Le larve
Svaniron tutte, i
moti del mio cuor furon muti,
E i miei sogni di
gloria, non erano compiuti!
Fernando:
Vecchio, sei
grande e nobile, come nessun fu mai;
Dirò superbo un
giorno: lo vidi e gli parlai.
La tua grave parola
fu quella di un veggente.
Sì, le tue sagge
norme le terrò fisse in mente.
Però la mia fortuna
alla tua non somiglia,
Tu avesti in sorte
un nome, un tetto, una famiglia.
Fu la scuola di un
padre che t'educò alla vita,
E sprone alle
grandi opere fu la grandezza avita.
L'armi pria che un
cimento ti furono un trastullo.
Io crebbi solo, un
orfano no, non è mai fanciullo.
Nell'età dei
sorrisi, dei baci e degli incanti
Non conobbi che
l'ire, non conobbi che i pianti.
Io non avevo un
nome, che per sacro legato
Dovessi far più
illustre o serbare onorato,
Io non avevo un
padre, che premio al mio valore,
Baciasse in sulla
fronte il giovin vincitore.
Di ritorno dal
campo, triste conforto m'era
La venale larghezza
di una soglia straniera.
Quanto le glorie
illustri di tanti avi ti fenno,
Guadagnarlo dovetti
coll'opera e col senno;
Nessun l'onor
m'apprese, nessun m'apprese Iddio;
L'onor, l'armi, la
fede sono retaggio mio.
Lasciai lembi di
carne in più di una tenzone,
Lasciai lembi di
cuore al piè d'ogni blasone.
Fidente nel mio
fato, invido mai non fui,
Sotto l'acerbo
insulto della grandezza altrui.
Superando gli
ostacoli che incontravo per via,
M'era fonte di
orgoglio la solitudin mia
Ed or che, me
volente, s'appiana il mio sentiero,
Or che son fatto
paggio e diverrò scudiero,
Or che, mercé
maggiore d'ogni maggior tesoro,
Son presso al
battesimo degli speroni d'oro,
Vuoi ch'io sappia
frenarmi e rimanermi muto?
No, no, no, nol
posso, per tanti anni ho taciuto!
Son forte, la mia
spada nessuno al mondo agguaglia,
E non è lieve
impresa lo sfidarmi a battaglia.
Freccia non esce
invano mai dalla mia faretra,
E nella più minuta
delle mire pènetra.
S'io gli imposi il
cappello, il falco mai non erra,
E torna colla preda
vittorioso a terra.
Né dell'arti
gentili la scienza obliai
E so dal mio liuto
trarre sirvente e lai;
Di sonanti ballate
so far velo al pensiero,
So raccontar
d'amore al par d'ogni troviero;
Spezzai più d'una
lancia correndo la gualdana,
Più d'uno sguardo
ottenni di bella castellana.
Renato:
Per Dio, soverchio
ardire sopportar non mi giova.
Bada non mi
sovvenga di metterti alla prova,
Ché se falli!...
Fernando:
Signore, fate a
vostro talento,
Accetterò con gioia
qualunque esperimento:
Ma lasciate ch'io
noveri tutte le mie virtù,
E poi venga la
prova, non vi chieggo di più.
Per studiare a
tentarli ed a schermir gli attacchi,
Appresi le
difficili movenze degli scacchi,
E nessuno mi
supera...
Renato:
Dacché ne porgi il
destro,
Noi ti vedremo
all'opera, o d'ogni arte maestro.
A te, figliuola,
insegnagli, né sarà poca gloria,
Come si faccia a
vincere, senza gridar vittoria.
Qui si porrà
all'aperto la tua scienza nascosta.
Perderai, tel
predico.
Fernando:
Lo vedremo... E la
posta?
Renato:
La posta? Se tu
vinci, io ti do per consorte
La mia figlia
Iolanda.
Fernando:
E se perdo?
Renato: (traendolo in disparte, sommesso)
La morte.
Fernando:
L'offerta è troppo
bella per opporvi un rifiuto.
Renato:
Accetti?
Fernando:
Accetto, conte.
Renato:
Se perdi...
Fernando:
Avrò perduto.
E non mi sentirete
lagnarmi o maledire;
Se non appresi a
vivere, ho imparato a morire.
Renato:
A te, figlia.
(I due si apprestano a giuocare)
Fernando: (a Renato)
Scusate il
soverchio ardimento,
Ma un giuoco tal
richiede un giuocatore attento.
Il conte di
Fombrone presso il fuoco vi aspetta,
Direte insiem le
gioie dell'età prediletta.
Qui si vuol esser
soli.
(Il tavolino a cui stanno seduti
i due che giuocano è vicino al proscenio, mentre invece il camino è in fondo
alla scena. Olivero è presso il camino).
Oliviero:
Il mio paggio ha
ragione.
Renato:
Ed eccomi a' suoi
cenni. Mesci ancora, Fombrone.
Oliviero:
Fosti con lui
severo.
Renato:
Troppo?
Olivero:
No. Anch'io
soventi,
Ebbi a fargli
rimbrotto, e con acerbi accenti;
Ma è così bello il
roseo confidar nel futuro,
Chi ignora i
disinganni! Renato, è così puro!
La gioia è così
piena dentro quell'occhio nero!
Così lucente, sotto
quel crin folto, il pensiero!
Ed io lo vidi
all'opera, e lo so forte ed audace.
Quel suo animo
baldo e leale mi piace,
E mi ricorda i
giorni della mia giovinezza.
Renato: (fra sé)
Come sfida la morte
con eroica fermezza!
Oliviero:
Tu pensi?...
Renato:
Nulla.
Oliviero:
Eppur ti leggo
nelle ciglia...
Renato:
Vorrei che avesse a
vincere.
Oliviero:
Per sposare tua
figlia.
Renato:
È vero!
Oliviero:
Convien dire
ch'ella giuochi a pennello,
Se offristi al
vincitore un premio come quello!
E tu che avrai, se
perde, in cambio alla fanciulla?
Renato: (esitando)
Nulla.
Oliviero:
Nulla? Davvero?
Renato: (quasi parlando a sé stesso)
No, non voglio aver
nulla,
Un tal patto non
regge.
Oliviero:
E Renato pretende
Riprender la sua
fede?
Renato:
E se egli me la
rende?
(I due continuano a parlare
sommesso).
Iolanda:
Che hai, paggio
Fernando? Non giuochi e non favelli.
Fernando:
Ti guardavo negli
occhi, che sono tanto belli.
Iolanda:
Ed io senza
periglio decimo le tue schiere;
Già perdesti una
Torre, e do scacco all'Alfiere,
Se non provvedi
tosto a metterlo da banda.
Attento ai mali
passi.
Fernando:
Grazie, bella
Iolanda.
Pensavo a mille
cose lontane, e stavo muto
Per la triste
certezza che tanto avrei perduto.
Eccomi a tal
ridotto che un sol passo non feci.
Iolanda:
Vuoi tu, paggio
Fernando, che mutiamo le veci?
Fernando:
No, tienti la tua
sorte e lasciami la mia.
Iolanda:
A te, non trovi
nulla che t'ingombri la via?
Oh la sventata!
Vedi che ho messo il piede in fallo.
Ti do scacco
all'alfiere, e disarmo il Cavallo.
Fernando: (prende il cavallo)
Non ardirei di
prenderlo, l'accetto come un dono.
Iolanda:
Vedi l'avventurata
giocatrice ch'io sono!
Neppur credi
all'errore.
Renato: (avvicinandosi)
Come sta la
partita?
Fernando:
Io perdo.
Renato: (contento)
Sì? Fanciullo,
facciamola finita,
Smetti il giuoco,
fu scherzo la scommessa.
Fernando:
Vi pare!
Con voi, nobil
signore, non ardirei scherzare,
Né con veruno al
mondo, intorno a un argomento...
Renato:
Tu perdi, me l'hai
detto tu stesso.
Fernando:
E non consento
Perdente a grazia
alcuna, ché vincitore, avrei
Altamente vantati
tutti i diritti miei.
Renato:
Bada a tentar la
sorte, paggio, bada!
Fernando:
La tento.
E data una parola,
signor, non mi ripento.
Renato:
E tal sia
(s'allontana e poi ritorna).
No, sei giovane,
fanciullo, e ardimentoso
E d'una tua
disgrazia non mi darei riposo.
Smetti quella
fierezza, renditi al buon consiglio,
Io te ne prego,
come si pregherebbe un figlio.
Sei in tempo,
ritraggiti, tu sai quanto t'aspetta...
Iolanda, te ne
prego, digli che mi dia retta.
Iolanda:
Perché mi dovrò
esporre io pure ad un rifiuto?
Un istante può
rendergli il terreno perduto.
Renato:
La vanità di
vincere ti fa di questo avviso.
Iolanda:
O padre!
Renato:
Ma tu ignori che
s'ei perde, è deciso.
Fernando: (interrompendolo)
Conte... Fate opra
inutile, nessuno mi cancella
Dal cuore una
promessa.
Renato:
Ti lascio alla tua
stella.
(Renato va di nuovo presso
Fombrone, con cui conversa a bassa voce. Iolanda e Fernando giocano per alcuni
istanti senza far motto).
Iolanda:
Che volle dir mio
padre con quelle sue parole:
Se egli perde è
deciso?...
Fernando:
Nulla ch'io sappia
- fole...
Iolanda:
Eppure mi pareva
che parlasse assennato,
E tu
l'interrompesti tutto quanto turbato.
Che perdi tu, se
perdi?
Fernando:
Nulla che mi stia a
cuore.
Iolanda:
Mio padre più ti
teme vinto che vincitore.
Non so perché,
Fernando, son pensosa e afflitta.
Fernando:
Bella Iolanda,
allegrati, sarà mia la sconfitta.
Iolanda:
Oh! Perché con sì
tristi presagi ti martelli?
Fernando:
Io? Ti guardo negli
occhi, che sono tanto belli!
Iolanda:
Sei mesto nel
sembiante, perché? La tua ferita
Ti duole forse?
Fernando:
Punto... Com'è
bella la vita!
Iolanda:
(Pausa).
Paggio Fernando, è
molto lontano il tuo paese?
Fernando:
Io nacqui dove
l'aria è tepida e cortese;
Dove la terra è
piena di cantici e di fiori.
Dove in grembo alle
Muse sorridono gli amori.
Dove nel mari si
specchiano i pallidi oliveti,
Dove i colli son
ricchi d'aranci e di palmeti,
Dove tutto è
profumo, dove tutto è sorriso,
Dove non si
vagheggia più bello il Paradiso,
Dove spiran le
brezze del sonante Oceàno,
E quel vago paese è
lontano, lontano.
Iolanda:
Le donne vi saranno
leggiadre e amorose.
Fernando:
Sì, facili
all'amore, ma folli e obliose;
Sì, il mio sole di
fuoco nutre beltà procaci;
Sì, Quelle labbra
ardenti sono fatte pei baci;
Ma noi cresciuti ai
torridi meriggi, e in mezzo ai fiori
Inebrianti e pinti
dei più vivi colori,
Amiamo i molli
petali flessuosi e pallenti,
Amiamo le corolle
bianche dei cieli algenti,
Ed una treccia
bionda, e un occhio azzurro, e un bianco
Viso ed un
abbandono soavemente stanco,
Ci suscitano le
accese fantasie del pensiero
Più che una chioma
bruna e più che un occhio nero.
Il mio mare lontano
è azzurro, azzurri i monti
Che si veggon da
lungi e son d'oro i tramonti.
(Pausa).
Tu sei bella,
Iolanda.
Iolanda:
Com'è dolce il tuo
dire!
Fernando:
Senti, hai tu mai
pensato che si possa morire
Prima d'aver
provato che cosa sia l'amore?
Prima che un sol
fiorisca dei germogli del cuore?
Prima di
bisbigliarsi le più ardenti parole?
Prima d'aver goduta
la tua parte di sole?
Iolanda:
Oh no!
Fernando:
No, non è vero? Se
non fosse che un'ora,
Un'ora
dell'ebbrezza che ogni ebbrezza scolora,
Le mie pupille
un'ora fissate nelle tue,
E poi venga il
destino.
Iolanda:
Si morirebbe in
due.
Fernando:
Che morbidi
capelli!
Iolanda:
Perché parli di
morte
Quasi che ti
volessi doler della tua sorte?
Fernando:
Come hai dolce il
sorriso!
Iolanda:
Perché, paggio
Fernando,
Mi guardi così
mesto mesto?
Fernando: (ricomponendosi d'un tratto)
Nulla, andavo
pensando
A speranze
impossibili, a confusi desiri;
Giochiamo, ho fatto
un sogno d'oro...
Iolanda:
Perché sospiri?
Fernando:
Sospiro... la mia
pace, le mie terre lontane.
Iolanda:
E gli sguardi
ottenuti di belle castellane.
Fernando:
Bada, or sei tu che
perdi (indicandole il giuoco).
Iolanda:
Me ne dai con
premura
L'avviso, la
vittoria par ti metta paura.
Fernando:
Oh! Ma non sai,
Iolanda, che ho giocato la vita?
Non lo sai che se
perdo questa volta è finita?
Non lo sai che sei
bella, come nessuna al mondo?
Che amo il tuo
fronte bianco ed il tuo crine biondo?
Che di mio non ho
nulla che il sangue delle vene?
Che sono solo al
mondo se tu non mi vuoi bene?
Iolanda:
E tu, cieco, non
vedi che m'affanno da un'ora
Per goder
quest'ebbrezza che ogni ebbrezza scolora?
Oliviero: (a Renato)
Guarda com'è
pensoso, colla testa china...
Renato:
Come va la partita?
Fernando:
Do scacco alla
Regina.
Iolanda
Ascoltami,
Fernando, questa è la prima volta
Che mi giunge una
voce d'amore a me rivolta.
Se tu sapessi come
li ho sognati soventi,
La tua maschia
sembianza, i tuoi nobili accenti!
Quante volte,
seduta sul verone, alla sera,
Invece del monotono
ritmo della preghiera
Mormoravo parole
febbrili ed interrotte,
Chiedendo al ciel
benigno un raggio alla mia notte.
Se tu sapessi, come
dietro le vetriate
Passavan lunghe e
fredde le vedove giornate!
Se vedevo una donna
con in braccio un bambino,
Se mi giungean le
note di un nunzial festino,
Guardavo alle mie
vesti, ai monili, alle anella,
E mi sentivo povera
più che un'umile ancella.
Sentivo qui nel
cuore uno sgomento arcano,
E nel paterno petto
mi rifugiavo invano,
Venner marchesi e
conti a cercarmi in isposa,
Ma tutti li
respinsi per ripugnanza ascosa.
Tu giungesti,
Fernando, tu che sei forte, e bello,
E una voce
nell'anima mi gridò tosto: è quello.
Fernando:
La tua mano,
Iolanda. Mano bianca, sottile,
Non avrai tu la
sorte di un umil paggio a vile?
Iolanda: (sorridendo)
È il destin che ci
unisce nella sapienza sua;
Guarda, due mosse
ancora e la vittoria è tua.
Renato: (avvicinandosi)
A che ne siamo?
Iolanda: (sorridendo)
Padre, la vostra
figlia invitta
Medita il disonore
di una prima sconfitta.
Renato:
Perdesti?
Iolanda:
Non ancora, ma
perderò.
Renato:
Fernando,
Ascoltami,
sospendi, io vaneggiavo quando
T'offersi quella
sfida. Scegli fra i miei castelli
Il più forte, il
più ricco, è tuo; ma si cancelli
Questo patto
impossibile, rendimi la mia fede,
Ti farò ricco e
nobile... è un padre che tel chiede.
Fernando:
Signore, a tanta
offerta una risposta sola:
Amo la figlia
vostra - Conte, ho la tua parola.
Renato:
La terrò, se lo
imponi, ma se onor ti consiglia,
Se in cuore un po'
d'affetto tu nutri per mia figlia,
Pensa, e s'io ti
rammento tristi cose, perdona,
Pensa che già
respinse una ducal corona,
Ch'essa è quanto
rimane di un antico lignaggio,
Pensa che più d'un
principe invidia il suo retaggio.
(Fernando esita; Iolanda se
n'avvede e lo spinge con gesti a giuocare).
Iolanda: (a bassa voce)
Giuoca, Fernando.
Renato:
Un giorno, paggio,
tu pure, è vero,
Sarai forse
possente e ricco cavaliero,
Ma finor...
Iolanda: (a bassa voce)
Giuoca, giuoca, un
passo sol.
Renato:
Finora
Di tua vita,
Fernando, tu non sei che l'aurora;
Iolanda è bella, è
ricca, e... suo padre tel dice,
A lungo non
potrebbe con teco esser felice.
(Mentre Fernando esita, Iolanda
di soppiatto lo piglia dolcemente per mano, e fa lei una mossa per lui).
Iolanda:
Padre, è tardo il
consiglio, quello che è fatto è fatto,
L'onor vostro è
impegnato.
Renato:
Che dici?
Iolanda: (alzandosi e con lei tutti)
Scacco matto.
Oliviero:
Fernando ebbe il
demonio o l'amor dalle sue.
Iolanda: (a Renato)
M'offrivate uno
sposo e lo scegliemmo in due.
Renato:
E così mi ti mostri
vergognosa ed afflitta?
Iolanda: (abbracciando suo padre e porgendo una mano a Fernando)
Chi vince è di
famiglia, quindi non c'è sconfitta.
Renato: (a Fernando)
Dacché il fasto di
un nome non ti concesse Iddio,
Ti sembra a
sufficienza degno ed illustre il mio?
Fernando:
Signor...
Renato:
Sei prode all'opera
e assennato al consiglio,
Ed io ringrazio il
cielo che m'ha donato un figlio.
(Fernando, dopo di essersi
inginocchiato ai piedi di Renato il quale gli pone le mani sul capo, s'alza e
si volge a Iolanda senza dire parola).
Iolanda:
E ancor, paggio
Fernando, mi affisi e non favelli?
Fernando:
Io ti guardo negli
occhi, che sono tanto belli.
FINE
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