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Anton Francesco Grazzini La strega IntraText CT - Lettura del testo |
FABRIZIO. O Neri mio gentile e dabbene, il buon giorno e il buon anno: oh! tu sei qui? quando uscisti tu di prigione?
NERI. Sette mesi sono, che io fui preso e messo nelle segrete, e mai non mi è stato detto nulla, se non che iersera alle tre ore, che io pensava che mi fussi portato la cena, venne il bargello e mi disse che io me ne andassi a mia posta, e non cercassi altro.
NERI. Io subito, senza pensarla punto, m'andai con Dio, e, arrivato a casa, detti a mia madre tanta allegrezza che fu una meraviglia.
FABRIZIO. Dunque tu sei stato in prigione, e non sai perché?
NERI. Né mi curo anche di saperlo; ma sai quel ch'io voglio da te?
FABRIZIO. Non io, se tu non me lo di'.
NERI. Che tu mi presti una spada e un pugnale, che io voglio andare a starmi parecchi giorni in villa; perché mio fratello in questo tempo della prigionia m'ha mandato male ciò che io aveva in camera, e per questo sono stato a casa tua, e così il tuo servidore m'ha menato qua. Ma che diavol fai tu in casa quella vecchiaccia?
FABRIZIO. Che vi fo? Oh, tu non sai che cose mi sono accadute da quattro mesi in qua? Io t'ho da dire cento cose.
NERI. Èssi poi inteso nulla di Orazio?
FABRIZIO. Bozzacchio, va' via in casa e togli la spada e il pugnale; quella di camera terrena, intendi, e arreca qui ogni cosa.
BOZZACCHIO. Messer sì.
FABRIZIO. Io ho tanto fatto, che, a dispetto del marito e di tutti i suoi innamorati, la Bia sta ora a mia posta, e la tengo qui in casa monna Sabatina, che non lo sa uomo del mondo, se non la madre.
NERI. Mi maravigliava ben io che tu vi fussi senza qualche cagione, ma tu debbi spender gli occhi a contentar cotesta vecchia maliarda.
FABRIZIO. In verità che ella è poi meglio assai che di paruta, ed io per me le sono obbligato sempre, perché, oltre a questo, per servirmi, ella si è uscita del suo letto e della sua camera, e dorme in camera e nel letto della fante.
NERI. Oh, è ella però sì misera casa che non vi siano da rizzar più di due letta?
FABRIZIO. Tu mi domandasti poco fa d'Orazio?
NERI. O sì, sì: fu vero ch'egli annegasse?
FABRIZIO. Appunto! egli è vivo e sano in Firenze, e più bello e più contento che fussi mai.
NERI. Oh, tu m'hai dato la buona nuova; che io ne stava con le febbri.
FABRIZIO. Tu hai inteso. Ma stassi che nessuno lo sa, anzi si pensa a ognuno, a diciotto soldi per lira, che egli sia annegato e morto.
NERI. Dimmi un poco: come scampò egli così? e come si trova ora in Firenze, e per qual cagione egli sta isfuggiasco?
FABRIZIO. Tu sai che la nave, dove egli era sopra, fu messa in fondo.
NERI. Sì, sì.
FABRIZIO. Egli rimase prigione d'una galea di Turchi, e fecesi da Milano; e per questo non fu in su la lista degli altri prigioni fiorentini; onde si credette, e credesi, che egli dovessi annegare.
NERI. E poi?
FABRIZIO. Fu condotto in Pera, e quindi da un gentiluomo genovese, che lo conobbe a Pisa, per poca somma di danari riscattato, e con quel gentiluomo finalmente si condusse a Genova.
NERI. E perché non scrisse mai?
FABRIZIO. Che ne so io? Tu sai pur come egli è fatto: egli andò anche contro la voglia di suo padre, non per altra faccenda che per vedere Alessandria e 'l Cairo, e vedi quello che gliene incolse; a me ha egli detto che scrisse, ma le lettere dovevano capitare male.
NERI. Or via, che n'è seguito?
FABRIZIO. Standosi egli in Genova, accadde che quel suo amico con un altro giovane gentiluomo della terra pure isviarono dalla madre una fanciulla nobile e bella; e una notte segretamente la messero sopra una fregata, e la condussero a Livorno, dove, smontati che essi furono, quei due gentiluomini per conto di lei vennero a quistione, sì che, cacciato mano alle spade, si ferirono amendui aspramente, tanto che quel suo amico rimase morto, e l'altro ne fu portato a braccia, e che non visse poi un ottavo d'ora.
NERI. O caso veramente spietato e miserabile!
FABRIZIO. Di modo che quella sventurata fanciulla, trovandosi quivi sola e non sapendo che si fare, se gli raccomandò per lo amor di Dio. A Orazio ne increbbe tanto che, lasciato ogn'altra cosa, isconosciuto, come la notte venne, se ne andò seco a Pisa, promettendole di non l'abbandonare mai, e la voleva rimenara in Genova alla madre.
NERI. Atto veramente da giovane dabbene.
FABRIZIO. Ma la fanciulla, o per paura che ella avesse, o per quale altra si fusse cagione, non volle mai; per la qual cosa, vestitesi stranamente quanto poterono, prima si partirono di Pisa, sempre dicendo che erano milanesi, ed andaronsene a Lucca, e indi, per non essere appostati, se ne vennero a Empoli, dove stettero parecchi giorni, tanto che Orazio se ne innamorò di sorte che non può vivere un'ora senza lei, e così ella similmente di lui.
NERI. Egli è da credere, perché Orazio è de' più begli e cortesi giovani di Firenze.
FABRIZIO. Nella fine, pure scognosciuti, si condusseno in Firenze, e una sera Orazio mi trovò da Santa Maria Novella, e tiratomi da canto, non senza mia grandissima meraviglia e paura, mi si dette a conoscere, e narrommi quasi tutto quello che io t'ho raccontato.
FABRIZIO. Pregommi che segretamente io gli provvedessi una casa; io gli narrai di monna Sabatina, e come io vi aveva la Bia, che gli piacque sommamente; onde la sera medesima andammo per la Violante all'albergo, che così ha nome quella fanciulla, e la menammo a casa la vecchia; la quale, sua grazia e mercé, si uscì, come io ti diceva testé, della sua camera e del suo letto, e messevi loro.
NERI. Senza sapere altrimenti chi essi si siano?
FABRIZIO. Ella si pensa, come io le ho detto, che siano milanesi, perché Orazio, avendo a fatica le caluggini, porta una barbetta nera contraffatta al viso, che uomo del mondo non lo conoscerebbe mai; e così sono stati più d'un mese.
NERI. So che voi dovete spendere del bene di Dio! come avete voi danari?
FABRIZIO. Pochi, e questo è il male.
NERI. Quei gentiluomini ne dovevano pure avere portato con esso loro buona somma, facendo una cosa simile!
FABRIZIO. Orazio non volle toccare nulla di loro, e si abbattè che la fanciulla aveva una borsa dentrovi intorno a cinquanta ducati, e una catena da portare al collo e una al braccio, che quasi è consumato ogni cosa.
NERI. Come farete?
FABRIZIO. Abbiamo deliberato di palesare oggi a ogni modo Orazio al padre; e, come egli entra in casa, non gli mancherà né roba né danari.
NERI. Così mancassino egli a me!
FABRIZIO. Ed io (oh, questa è bella!) domandandomi spesso Luc'Antonio se io aveva novelle d'Orazio, sapendo egli l'amicizia grande che era fra noi, gli dissi, poi che egli fu tornato (perché prima non ne sapeva nulla), com'egli era vivo, e che stesse di buona voglia perché tosto sarebbe in Firenze.
FABRIZIO. Egli domandandomi quel che io ne sapeva, gli venni a dire che me lo aveva rivelato monna Sabatina per via di diavoli.
NERI. Odi, ella ha anche nome di strega!
FABRIZIO. E però il vecchio, ancora che non mi presti, né a lei, molta fede, pure m'ha promesso, ogni volta che Orazio fra un mese sia in Firenze, di darmi cento fiorini.
NERI. Dunque oggi gli verrai a guadagnare.
FABRIZIO. Ella sta come io ti dico: ma odi quest'altra, s'ella ti garba.
NERI. Tu hai più intrighi e imbrogli alle mani che uno sensale di scrocchi.
FABRIZIO. Costui è innamorato della Geva, che così si chiama per vezzi la sorella d'Orazio.
NERI. So bene: quella che l'anno passato rimase vedova.
FABRIZIO. Onde, nolla potendo avere per moglie, perché Luc'Antonio, pensando ch'Orazio sia morto, poiché ella resta reda, vuole fare altro parentado...
NERI. Egli ha ragione; perché, a dirne il vero, ancora che egli sia ricco, l'avol suo fu carbonaio, e il padre mercatante di bestiame.
FABRIZIO. Taddeo dunque si è fitto nella testa d'andare alla guerra per disperato.
FABRIZIO. Per lo che la madre e 'l zio, conoscendo quanto agevolmente egli potrebbe morire (e sanno che morendo senza figliuoli ogni cosa rimane a Santa Maria Nuova ed essi rimarrebbono poverissimi, e massimamente Bonifazio che ne cava le spese), fanno ogni cosa per tenerlo; ma nulla giova, se egli non ha la Geva.
NERI. Tu mi pari il Franceschi.
FABRIZIO. Che dirai tu che quel suo zio, sendomi vicino a casa, e per questo mio conoscente, l'altr'ieri mi venne a favellare, e sapendo che io sono amicissimo di monna Sabatina, la quale pensa che sia qualche gran donna nello stregare e nelle malie, mi narrò l'amore di Taddeo suo nipote, e la cagione del volere egli andare al soldo?
NERI. Per mia fé egli è venuto a buone mani.
FABRIZIO. E dopo mi chiese aiuto, e mi si raccomandò che con la vecchia vedessi di fare tanto che questo Taddeo si restasse a casa, offerendosi a soddisfare largamente e me e lei.
NERI. Quest'altra ora è più bella di tutte.
FABRIZIO. Io subito gli dico che non fu mai negli incantesimi maggiore donna da Circe in qua, ma che la fatica sia il disporla; e fatto io giurare di tacere, gli do a credere che per via di malie ella m'abbia fatto venire la mia amorosa insino in casa sua, che non lo sa uomo nato, e che quivi la tengo, a mie spese. Egli, avendone non so che sentito bucinare, ha fidanza che ella possa fare ogni gran cosa.
NERI. Tu l'hai concio bene: ma che n'è seguito?
FABRIZIO. Per dirtela in due parole, semo rimasti che la vecchia faccia innamorare la Geva di Taddeo, di maniera che ella sia costretta ire a casa sua, e dire: Taddeo mio dolce, io ti voglio per marito, e seguane che vuole; e perché ella è vedova, non vi sarà che dire che ella sia sua; e se pure Luc'Antonio nicchiasse e nolle volesse dar la dote, faranno senz'essa.
NERI. E a te che rileva questo?
FABRIZIO. Rileva che io per parte della vecchia gli ho detto che bisognano fare due immagini d'oro fine, una per Taddeo e una per la Geva, che pesino amendue cento ducati, le quali si convertiranno poi in fiamma e 'n fumo.
NERI. Odi qua! tu gli hai fitto il chiovo bene.
FABRIZIO. Egli è ben assai, come io gli ho detto, che per conto di monna Sabatina non s'ha a spender nulla.
NERI. Sarebbe anche il meglio.
FABRIZIO. Perciocché tutto quello che ella fa, lo fa per farmi piacere, ed io fo ogni cosa per carità.
NERI. La tua è come quella degli ipocriti, carità pelosa; ma dimmi, monna Sabatina che ne dice?
FABRIZIO. Oh, tu sei giovane! io non le ho detto niente: basta servirmi di lei in nome.
FABRIZIO. Qualcosa fia; e stamattina m'hanno a essere annoverati i danari, o dalla madre o da Bonifazio, che saranno buoni per le male spese.
NERI. E poi come farai che non s'avvegghino della ragia?
FABRIZIO. Ho mille modi da fargli rimanere goffi, ma credo pur che io gli contenterò.
NERI. Mi piace: tu arai che spendere un pezzo. Ma ecco appunto il tuo servidore.