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Anton Francesco Grazzini
La strega

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ATTO TERZO

 

Scena prima - Taddeo, Farfanicchio

 

TADDEO. Farfanicchio, noi semo acciviti.

FARFANICCHIO. La signoria vostra avea paura che le mancassino i cavagli?

TADDEO. Sì, dammi ora di signore: dove egli importava, e tra la gente, non te ne ricordasti mai; e potetti bene accennarti.

FARFANICCHIO. Oh, che maladetto sia la mia buassaggine! io non vi intesi mai.

TADDEO. Credetelo! ti basta far ridere il popolo.

FARFANICCHIO. Oh! pensate ch'io faccia ridere io le persone?

TADDEO. Dunque si ridono di me? io debbo forse essere qualche scasimodeo o qualche nuovo pesce; pon mente come ognuno ride!

FARFANICCHIO. State saldo, padron signore, la gente non ride di voi.

TADDEO. Dunque ride di te?

FARFANICCHIO. Messer signor no.

TADDEO. O di che diavol ride?

FARFANICCHIO. Ride dell'abito stravagante che voi avete in dosso.

TADDEO. Oh, è egli però abitostravagante questo?

FARFANICCHIO. Stravagantissimo. Voi avete, cioè la signoria vostra ha la berretta alla tedesca, la cappa alla franzese, il saione alla fiorentina, il colletto sòpravi alla spagnuola, le calze alla guascona, le scarpette alla romanesca, il viso alla fiesolana, il cervello alla sanese e lo spennacchio alla giannetta: non vi pare stravaganza questa?

TADDEO. Tu sei un furfante: che vuol dire lo spennacchio alla giannetta? debbo forse essere un cavallo, io?

FARFANICCHIO. Non gli manca se non mangiare la paglia.

TADDEO. Che di' tu?

FARFANICCHIO. Dico che voi sete veramente un uomo da battaglia.

TADDEO. E da battaglione. E pur veggio ridere! se egli mi interviene così in campo, io sono rovinato.

FARFANICCHIO. Non dubitate, in campo voi non averete in dosso cotesti panni, ma sarete vestito di ferro, col pugnale nelle reni e la spada ne' fianchi.

TADDEO. E potrò minacciare, bestemmiare, e anche dare; ma andianne in casa, che noi asciolviamo, e di poi mi aiuti armare, e che noi camminian via. Tòi qui la chiave: vedi l'uscio, apri. Questo mai no: quest'altro è il vero passo della picca.

FARFANICCHIO. Signore, la padronità vostra entri a sua posta.

TADDEO. O bel detto, Farfanicchio; tu vali oro: o viemmi dietro.

FARFANICCHIO. Guardatevi.

TADDEO. Ohimei! io son morto.

FARFANICCHIO. Che è stato, padrone?

TADDEO. Farfanicchio, io son ferito a morte. Una archibugiata nelle tempie.

FARFANICCHIO. Come v'ha fatto male?

TADDEO. Hammi passato il cervello fuor fuori.

FARFANICCHIO. Vo io pel medico? Non dubitate, signor Taddeo; ella è stata una melagrancia, guardate: favor, favori!

TADDEO. Per la fede mia, che tu di' il vero: io son tutto riavuto.

FARFANICCHIO. Voi non sapete ricever uno scherzo.

TADDEO. E pagherei (come si dice) tre occhi e un dente che m'avessi tratto la Geva.

FARFANICCHIO. Appunto! ella è stata qualche fante.

TADDEO. Odi! gagliarde braccia ha ella! ma per lo avere io testé l'animo alla guerra e non alle dame, mi credetti essere ferito malamente: deh, vedi coloro se non par che egli abbiano mangiato riso, come ridano.

FARFANICCHIO. Lasciategli ridere.

TADDEO. Eh, eh, eh, lavaceci, tambelloni, di che ridete voi? veddesi mai più nulla? Farfanicchio, passa , che noi andiamo asciolvere, che oggimai n'è otta.

FARFANICCHIO. Sì, sì, lasciangli rangolare.

 

 




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