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Anton Francesco Grazzini
La strega

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Scena nona - Luc'Antonio, Fabrizio, madonna Oretta, Clemenza

 

LUC'ANTONIO. Ed è vero certo?

FABRIZIO. Vero e certo come il sole.

LUC'ANTONIO. O Signore, ringraziato sii tu.

ORETTA. Mille volte ognora.

LUC'ANTONIO. Ed è stato più d'un mese in Firenze in casa sempre monna Sabatina?

FABRIZIO. Come v'ho io a dire? Io ve lo messi, e vi diceva che egli era vivo per ch'io lo vedeva ognora, e non perché la vecchia me lo rivelasse come strega o maliarda, che son tutte quante baie.

LUC'ANTONIO. E Orazio mio, poiché quei due s'ammazzarono insieme, se ne fuggì colla Violante, né mai poi ella è stata fuor di lui?

FABRIZIO. Messer no, e sempre l'ha tenuta e guardata come le cose sante; e, per dirvela chiaro, io credo che sieno insieme marito e moglie.

ORETTA. Laudato sia Iddio.

CLEMENZA. E ringraziati sieno i Santi.

LUC'ANTONIO. Dunque si doveranno contentare del parentado.

FABRIZIO. Più che di cosa che possi avere in questo mondo.

ORETTA. Ora faccia Iddio la sua volontà: ogni volta che io muoio, io muoio contenta, poiché io ho trovato la mia figliuola, e maritatala sì nobilmente, e in una così bella e generosa città.

LUC'ANTONIO. E io me ne vo consolato ognora all'altra vita, poiché la figliuola di Gasparo, già tanto mio amico, è doventata moglie del mio figliuolo, dove potrò anche in parte ristorare e rimeritare voi di tanti benefizi ricevuti.

FABRIZIO. Più contenti sarete, voi, madonna, quando arete veduto Orazio, e voi Luc'Antonio la Violante, perché e Firenze e Genova non hanno né un garzone né una fanciulla pari a loro di bellezza, di onestà, di virtù e di cortesia.

LUC'ANTONIO. Tanto meglio.

ORETTA. Sia col buon anno.

CLEMENZA. E colla buona Pasqua che Dio dia e a voi e a loro.

LUC'ANTONIO. Orsù, facciam come noi siam rimasti.

FABRIZIO. Andatevene in casa voi, e io menerò là in un tempo la Violante e monna Sabatina, la quale vo' che chiegga perdonanza a questa gentildonna, ancora che ciò ch'ella fece, gli le disse la fanciulla per paura di non avere a irsene con esso voi sua madre e perdere Orazio, al quale vuol tutto il suo bene.

CLEMENZA. Uh, uh! ve' s'ella n'è innamorata daddovero!

ORETTA. Per marito e moglie si lascia padre e madre.

CLEMENZA. Così dice il missale: che allegrezza dunque fia la loro!

ORETTA. Incomparabile e senza fine.

LUC'ANTONIO. Monn'Oretta, andiamo in casa, e là gli aspetteremo, e intenderete un altro parentado.

ORETTA. Andiamo, che lodato sia Iddio. Vedi che doventerò fiorentina, viverò e morrò fiorentina: ma Giuseppe, il mio servitore che ci aspetta, come io vi disse, all'albergo?

LUC'ANTONIO. Manderem per lui, non dubitate; anch'egli si troverà stasera alle nozze. Fabrizio, fagliene intendere: tòi questo anello, tu sai ciò che tu hai a fare: noi v'aspettiamo.

ORETTA. Deh, sì, tosto, che io mi consumo.

LUC'ANTONIO. Entrate dentro nella buon'ora.

FABRIZIO. Testé testé saremo tutti in casa. Orsù, pur sarà contento Orazio, e non meno la Violante; oh! che vita felice e quieta hanno eglino a menare insieme! quanto contento e letizia hanno Luc'Antonio e monna Oretta! ella vuol far vendere tutto il suo avere in Genova e condurre i danari a Firenze. Ma oh, oh, appunto ecco costui di qua! Bozzacchio, olà.

 

 




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