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Antonio Labriola
In memoria del manifesto dei comunisti

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Nel primo cinquantennio di questo secolo, e specie nel periodo dal 1830-50, le lotte di classe, che gli storici antichi e quelli della Italia della Rinascenza avean così vivamente descritte, per quanto ne desse loro occasione di esperienza l'angusto ambito delle repubbliche di città, eran cresciute e s'erano ingrandite di qua e di dalla Manica in proporzione e in evidenza sempre maggiori. Nate nell'ambito della grande industria, illustrate dal ricordo e dallo studio della Grande Rivoluzione, diventavano esse intuitivamente istruttive, perché, con maggiore o con minore chiarezza e consapevolezza, trovavano la loro attuale e suggestiva espressione nei programmi dei partiti politici: p. e., libero scambio, o dazii sul grano in Inghilterra, e così via. La concezione della storia si cambiava in Francia a vista d'occhi, così nell'ala destra come nell'ala sinistra dei partiti letterarii, da Guizot a Louis Blanc, e fino al tenue e modesto Cabet. La sociologia era il bisogno del tempo, e, se cercò invano la sua espressione teoretica in Comte, scolastico ritardatario, trovò di certo l'artista in Balzac, che fu il vero rinvenitore della psicologia delle classi. Riporre nelle classi e nei loro attriti il subietto reale della storia, e il moto di questa nel moto di quelle, ecco ciò che si andava cercando e scovrendo: e di ciò bisognava fissare in termini la precisa teoria.

 

 

 




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