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Antonio Labriola
In memoria del manifesto dei comunisti

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Né quel nerbo, od essenza, e carattere decisivo sono, a mio avviso, da cercare nella orientazione su le altre forme di socialismo, che il Manifesto reca sotto al nome di Letteratura. Tutto ciò che ivi è detto, al Capo terzo, serve, senza dubbio, a definire mirabilmente, per via di antitesi, e nella forma di brevi, succose e calzanti caratteristiche, le differenze che effettivamente corrono tra il comunismo, che ora, con espressione da molti miseramente abusata, si è soliti di chiamare scientifico, ossia tra il comunismo, che ha per soggetto il proletariato, e per argomento la rivoluzione proletaria, e le altre forme reazionarie, borghesi, semi-borghesi, piccolo-borghesi, utopistiche e cosi via. Tutte coteste forme, meno una1, ricorsero e si rinnovarono più volte, e ricorrono e si rinnovano anche ora nei paesi nei quali il movimento proletario moderno è appena in sul nascere. Per tali paesi, e in tali circostanze, il Manifesto ha esercitato ed esercita tuttora l'ufficio di critica attuale, e di frusta letteraria. Ma nei paesi nei quali, o quelle forme furon già teoricamente e praticamente superate, come è in gran parte il caso della Germania e dell'Austria, o sopravvivono solo allo stato settario e soggettivo, come accade già in Francia e in Inghilterra, per non dire delle altre nazioni via via enumerando, il Manifesto, per questo rispetto, ha compiuto oramai tutto l'ufficio suo. E non fa che registrare, come per memoria, ciò cui non occorre più di pensare, data l'azione politica del proletariato, che già si svolge nel suo normale e graduale processo.

 




1 Intendo dire di quella che ironicamente è chiamata nel Manifesto: del socialismo vero, ossia tedesco. Quel paragrafo che è inintelligibile a chi non sia pratico della filosofia tedesca di allora, specie in certe sue forme di acuta degenerazione, fu opportunamente omesso nella traduzione spagnola.






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