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Antonio Labriola
In memoria del manifesto dei comunisti

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Due tedeschi ne furono gli autori, ma non vi portaron dentro, né la sostanza, né la forma delle personali opinioni, che a quel tempo sapean di solito d'imprecazione, di piato e di rancore in bocca ai profughi politici, o a quelli, che, com'era il caso loro, volontarii abbandonassero la patria, per godere altrove aere più spirabile. Né v'introdussero direttamente l'immagine delle condizioni del loro paese, che erano politicamente misere, e socialmente, ossia economicamente, solo per alcuni primi inizii, e solo in certi punti del territorio, confrontabili a quelle che già in Francia e in Inghilterra erano ed apparivano moderne. Vi portarono invece il pensiero filosofico, per cui solo la patria loro s'era messa e mantenuta all'altezza della storia contemporanea; di quel pensiero filosofico, che, appunto nelle persone loro, assumeva a quel tempo la notevole trasformazione, per la quale il materialismo, già rinnovato da Feuerhach, combinandosi con la dialettica, diveniva capace di abbracciare e di comprendere il moto della storia nelle sue cause più intime, e fino allora inesplorate, perché latenti e non facili a districare. Comunisti e rivoluzionarii ambedue, ma non per istinto, né per puro impulso o per passione, essi aveano quasi elaborata tutta una nuova critica della scienza economica, e avean compreso il nesso e il significato storico del movimento proletario di qua e di là della Manica, ossia di Francia e d'Inghilterra, già prima che fossero chiamati a dettare nel Manifesto il programma e la dottrina della Lega dei comunisti. Questa, risedendo a Londra con notevoli diramazioni sul continente, avea dietro di sé un buon tratto di vita e di sviluppo proprio, attraverso a diverse fasi. Dei due, l'Engels, autore già da qualche tempo di un saggio critico, che, passando sopra ad ogni correzione subiettiva ed unilaterale, per la prima volta ritrae obiettivamente la critica dell'economia politica dalle antitesi inerenti agli enunciati ed ai concetti dell'economia stessa, era poi venuto in fama per un libro su la condizione degli operai inglesi, che è il primo tentativo riuscito di rappresentare i moti della classe operaia come resultanti dal giuoco stesso delle forze e dei mezzi di produzione2. L'altro, Marx, avea dietro di sé, in breve corso d'anni, l'esperienza di pubblicista radicale in Germania, e quella del pari di pubblicista a Parigi e a Bruxelles, la escogitazione quasi matura dei primi rudimenti della concezione materialistica della storia, la critica teoreticamente vittoriosa dei presupposti e delle illazioni della dottrina di Proudhon, e la prima dilucidazione precisa della origine del sopravvalore dalla compra e dall'uso della forza-lavoro, cioè il primo germe delle concezioni venute più tardi a maturità di dimostrazioni, di riconnessioni e di particolari nel Capitale. Ambedue congiunti per molte e varie vie di comunicazione ai rivoluzionarii dei vani paesi di Europa, e specie di Francia, del Belgio e dell'Inghilterra, non composero il Manifesto come saggio di personale opinione, ma anzi come la dottrina di un partito, che, nel suo non largo ambito, era già nell'animo, negl'intenti e nell'azione la prima Internazionale dei lavoratori.

 

 

 




2 Gli Umrisse zu einer Kritik der Nationaloekonomie apparvero nei «Deutsch-Französische Jahrbücher», Paris 1844, a pp. 86-114; e il libro col titolo: Die Lage der arbeitenden Klasse in England apparve in prima edizione a Lipsia nel 1845.






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