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Giuseppe Mannarino
La ragion d'essere della filosofia

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1 - Critica Scientifica e Critica Volgare

 

Gli uomini mediocri, quelli cioè che i Romani solevano chiamare «vulgares» o che da se stessi si autodefiniscono pratici, per il fatto che non riescono ad elevarsi da alcuni dati della conoscenza empirica ai principi universali del Sapere, partendo da una pretesa contraddittorietà o da una cosiddetta nebulosità della Filosofia, arrivano a concludere con l'affermazione della inutilità di essa per i fini pratici della Vita e le negano ogni ragion d'essere.

Giustamente dinanzi a queste negazioni i Filosofi ufficiali, siano essi astri di prima o di seconda grandezza, non trovan che da fare una scrollatina di spalle e da ripetere con Dante:

 

«Non ragioniam di lor ma guarda e passa»,

 

e non potrebbe essere diversamente per colui che, avendo davanti alla mente i più grandi problemi dello spirito, sarebbe costretto a considerare un puro perditempo occuparsi di tanto poco. Ben diversa è la nostra posizione di semplici e modesti cultori per i quali questo scendere a polemizzare coi «vulgares» potrebbe essere invece un salto alle più alte vette della Filosofia umana, se non di quella ufficiale: per questo, senza perdere quella calma e quella serenità di spirito che la Filosofia ha sempre preteso anche dagli ultimi suoi cultori, ci addentreremo nel processo che vogliamo fare fino in fondo, prima di emanare una sentenza di condanna.

Dunque i vulgares dicono, in parole povere, che la Filosofia non ha alcuna ragione di essere perché non vi sono due filosofi che la pensino allo stesso modo: formulata in tal guisa l'accusa e la condanna, dovremo assodare tre punti e cioè in primo luogo se l'accusa risponda a verità, poi se essa costituisca - come suol dirsi - reato, infine se a questo reato sia adeguata una sentenza di condanna alla inutilità e quindi alla inesistenza.

L'accusa contro la Filosofia sarebbe motivata, secondo l'asserzione che ci proponiamo di discutere in tutta la sua portata, dal fatto che non vi sono due filosofi che la pensino allo stesso modo; ma ciò, se non andiamo errati, non significa altro che ogni filosofo la pensa a modo suo, e cioè che tutti i filosofi sono originali. Non crediamo che su questo punto ci possa esser discordia, in quanto la Filosofia non è che attività originale del pensiero, e tutte le scuole filosofiche non possono che convenire su questo: ciò premesso, ci pare che si debba dare come dimostrato che non solo tutti i filosofi sono originali e che quindi non ve ne sono due che la pensino allo stesso modo, ma che non può esser filosofo chi originale non sia e che filosofo non è chi, mancando di qualsiasi originalità, va calcando le orme dei più grandi e nasconde la sua persona dietro le loro platoniche spalle animato dallo scopo, non di servire la Filosofia, ma di giungere non visto, non osservato da nessuno, ai posti di comando nella gerarchia filosofica imperante.

Ammessa e provata anzi, la certezza della prima parte, passiamo a discutere il secondo punto e cioè se questa contraddittorietà filosofica ovverosia questa originalità dei filosofi sia un male o, per esprimerci in termini giuridici, costituisca reato.

Ora, se nella Storia della Filosofia non vi sono due filosofi che la pensino allo stesso modo, è vero altresì che nella Storia delle Religioni non siamo mai riusciti né noi, né altri a trovare due forme religiose perfettamente identiche - e pur ciò non può in alcun modo indurci a negare la ragion d'essere della Religione. Così nel Cristianesimo vediamo che i Cattolici la pensano diversamente dai Luterani, i Calvinisti diversamente dagli Ortodossi; vediamo che in tutti i tempi ed in tutti i paesi dal suo seno si sprigionarono numerose eresie - e da ciò non ci sentiamo autorizzati a concludere che il Cristianesimo sia stato inutile o, peggio ancora, che non abbia avuto alcuna ragione di esistere. Non diversamente nella Storia, ove è impossibile trovare due storici che concordino nella valutazione degli avvenimenti umani, potremmo essere autorizzati ad affermare, per es., che la Rivoluzione Francese non può essere scoppiata sul serio perché il Thiers la pensa diversamente dal Michelet, il Taine dal Toqueville, il Carlyle dal Salvemini, e nemmeno potremmo affermare che essa non ebbe alcuna ripercussione (nella qual cosa è tutta la sua ragion d'essere). E passando al Diritto potremmo forse noi fondarci sulle diverse definizioni della proprietà, se essa sia legittima o illegittima e che cosa sia che la renda legittima, oppure sul concetto dei reati che varia non solo da epoca ad epoca, ma da giurista a giurista, per negarne l'esistenza? Così è pure dell'Arte quando noi pensiamo che nella rappresentazione di uno stesso soggetto non possano esservi due artisti che si esprimano negli stessi termini: che vi ha grande divario tra Dante e Virgilio, da cui pure il primo afferma di aver tolto lo bello stile che gli ha fatto onore: tra Prassitele e Scopa che respirarono l'aria dello stesso ambiente geografico e storico; tra l'Alfieri, il Goldoni e il Parini che risentirono le influenze del medesimo 1700; tra Mascagni e Puccini tra loro contemporanei e, se non andiamo errati, condiscepoli. E potremmo rinunziare ad un accenno alla Politica ove, fra gli affiliati ad uno stesso partito, vi sono delle divergenze così profonde, che spesso provocano delle gravi scissioni. Ma noi abbiamo fretta di giungere al campo delle Scienze Esatte, delle Matematiche, ove pare a prima vista che due e due debbano far quattro per tutti; ma, solo che ci si soffermi un poco, si scoprono le diatribe cui hanno dato luogo tutte le scoperte nuove perché la Matematica - e ce ne appelliamo ai suoi cultori - ha pure una Storia, e Storia significa svolgimento, sviluppo. Lo stesso è nelle Scienze Sperimentali, ove non può essere ritenuto Scienziato chi si limita a catalogare dei dati, bensì chi apre ad esse nuovi campi con nuove scoperte, con nuove invenzioni, le quali non si aggiungono alle precedenti come francobolli nuovi alla colleziono di un filatelico senza modificar nulla, ma le correggono, le modificano, le integrano, quando addirittura non le distruggono: così nella Cosmologia le polemiche fra Tolemaici o Copernicani provano che vi è tutt'altro che concordia tra quelli che sono i veri Scienziati, e, se si pensi che il Copernicanismo trova un suo addentellato nella dottrina di Aristarco di Samo, si può vedere come queste polemiche siano tutt'altro che incidentali; così nel campo della Medicina e della Chirurgia le polemiche cominciarono fin dalla seconda metà del V secolo avanti Cristo con le scuole antitetiche di Cos e di Cnido, e continuano tuttavia ad essere dibattute ogni giorno sui grandi quotidiani, sulle Riviste Mediche, nel Congressi Internazionali - e ciò senza ricorrere all'amenità dei consulti medici in cui è assai problematico il caso che due soli dei consultati, riescano a mettersi d'accordo nonché sulla cura, neanche sulla diagnosi. Ed infine, nei nostri piccoli problemi quotidiani, potremo dire che ci comportiamo tutti allo stesso modo o che non ci lasciamo piuttosto influenzare dalle nostre condizioni di spirito, dalla nostra educazione, per cui ben si può ricordare il vecchio, ma sempre nuovo, adagio tot capita tot sententiae?

Di fronte alla nostra modesta, ma chiara argomentazione non resta che fare due ipotesi: o la nostra è una pura e semplice chiamata di correo, tendente a travolgere nel processo e nella conseguente condanna tutte le branche del Sapere, oppure è stata una delusione quella dei nostri ipotetici contraddittori i quali speravano di trovare il cadavere della Filosofia per menar vanto di averla assassinata con una semplice asserzione; ma dietro a questo cadavere hanno dovuto scorgere un vero e proprio cimitero aperto dal loro stesso strale. Perché è stato da noi provato che nella Vita tutto è dibattito, tutto è polemica, tutto è discussione appunto perché è nella Vita, appunto cioè perché vive e vuol vivere, perché, se così non fosse una unanimitàpericolosa tarperebbe e per sempre le ali al Progresso costringendola nella cerchia angusta di verità già date, ossia passivamente ricevute dal di fuori senza che il pensiero le elaborasse dal di dentro, per cui il pensiero stesso, sospendendo la propria attività che è la propria Vita, finirebbe coll'annientarsi.

Dunque - direbbero i giudici - il fatto c'è ma non costituisce reato, perché non può costituire reato il diritto a vivere ancorché la nostra vita sia inutile; ma ciò non basta per ottenere l'assoluzione completa della Filosofia, assoluzione che vogliamo sia, e lo sarà, un'apoteosi della medesima.

Torniamo perciò alla formula della sentenza: «La Filosofia non ha alcuna ragion d'essere perché non vi sono due filosofi che la pensino allo stesso modo». Non è vezzo nostro offender nessuno, perché ciò non entra nei limiti della polemica filosofica, e sarebbe un'offesa per i nostri ipotetici contraddittori il ritenere questa una semplice asserzione aprioristica: se essi affermano che la Filosofia non ha alcuna ragion d'essere perché non vi sono due filosofi che la pensino allo stesso modo, noi abbiamo il dovere di credere che essi abbiano in qualche modo almeno conosciuto i filosofi per essersi accorti che non ve ne siano due che la pensino allo stesso modo (e non avrebbero potuto accorgersene se non confrontandoli, cioè sottoponendoli alla propria critica personale) e che, solo in seguito a questa superficiale o profonda conoscenza ed a questa critica, abbiano concluso che la Filosofia non può avere alcuna ragion d'essere - ché in mancanza di dati, ossia di elementi di giudizio, non si può giungere, per quel che sappiamo, a nessuna conclusione.

Ed allora essi hanno conosciuto, criticato, assodato, concluso sia pure a modo loro, e non si sono accorti che questo conoscere, criticare, assodare, concludere implica un'attività del pensiero, anzi è attività del pensiero, cioè Filosofia; non si sono accorti cioè che il loro è stato un procedimento filosofico vero e proprio in quanto dall'esame dei dati, rielaborati dal pensiero, si è giunti ad una conclusione, che è una soluzione di un problema filosofico. Dal che si desume che i nostri ipotetici contraddittori per negare la Filosofia han dovuto fare della Filosofia perché non v'ha negazione della Filosofia che non sia Filosofia ad un tempo.

A questo punto noi potremmo dirci soddisfatti; però, a costo di riuscire fastidiosi, vogliamo essere esaurienti ed eliminare tutte le possibili obbiezioni che ci si possano muovere, dicendo che la Filosofia può essere considerata sotto due aspetti, cioè come attività originale del pensiero che, come tale, costituisce il presupposto di tutti i sistemi, oppure nel suo ordinarsi in sistemi, cioè nel suo concretizzarsi nella Storia: ora noi non abbiamo dimostrato altro che non è possibile, basandosi sulla pretesa contraddittorietà della Filosofia, negar questa sotto il primo aspetto per cui resterebbe assodato che la Filosofia sia semplicemente attività del pensiero, ma astratta e disordinata. Ci proveremo a dimostrare ora che la Filosofia, appunto perché attività del pensiero, ha bisogno di concretizzarsi nella Storia, per modo che, una volta ammessa la sua ragion d'essere per cui non si può fare a meno di essa neppure per negarla, ne concluderemo la necessità che essa si organizzi in sistemi, cioè che essa non possa prescindere dai sistemi.

Ora l'asserzione che noi discutiamo e che abbiamo definito volgare non è in fondo che la traduzione in parole povere delle formule dello Scetticismo. Questa dottrina infatti, utilizzando ai suoi fini la critica che ogni pensatore moveva agli altri, affermando con Protagora che «l'uomo è misura di tutte lo cose, di quelle che sono in quanto sono, e di quelle che non sono in quanto non sono», e concludendo con Gorgia che «nulla esiste e che, quand'anche esistesse, non si potrebbe conoscere e, se pure si conoscesse, non si potrebbe comunicare ad altri» - asserisce che la conoscenza è relativa e toglie pertanto ad essa ogni valore assoluto. A dire il vero noi non riusciamo a vedere un gran divario tra l'asserzione dei mediocri e quella di Protagora e di Gorgia che giustamente il Troilo chiama «pensatori profondi» (e ciò indipendentemente dal giudizio che egli sulla loro filosofia che non possiamo assolutamente condividere): ed allora questa negazione della Filosofia che, a corto di argomenti, è costretta a prenderli in prestito dalla Filosofia e per giunta ad uno dei suoi sistemi che dimostreremo essere il più contraddittorio, si riduce a Filosofia sia dal punto di vista della pura attività del pensiero sia da quello del suo concretizzarsi nella Storia, del suo ordinarsi in sistemi.

 

E passiamo alla seconda asserzione dei mediocri secondo cui la Filosofia sarebbe qualche cosa di astratto, cioè di nebuloso perché nessuno mai è venuto a dirci di quale oggetto concreto essa si occupi: naturalmente essi premettono che il concreto sia ciò che cade sotto i nostri sensi, l'astratto ciò che non ha questi requisiti.

Ora, ciò ammesso, seguendo il medesimo procedimento, cercheremo di provare che, non la sola Filosofia, ma ogni branca del Sapere ed ogni attività pratica manca di quest'oggetto concreto, cioè sensibile, materiale, corporeo. La Religione, per es., non ha nulla di concreto di cui possa interessarsi in quanto, essendo essa l'insieme dei rapporti che legano gli uomini alla divinità, non si può asserire che questi rapporti alcuno li abbia mai visti o toccati; ed analogo ragionamento potremmo noi fare per la Storia il cui oggetto di studio non son certo i personaggi fisici, bensì - anche a seguire la dottrina del Carlyle - la loro attività nel tempo e nello spazio, cose tutte che mai son cadute sotto i nostri sensi. Non diversamente per il Diritto che non può occuparsi di questo o quel terreno, ma del principio di proprietà che non può esser nulla di sensibile, nulla di corporeo. E passando all'Arte, è semplicemente una nostra illusione il fatto che cade sotto i nostri sensi il quadro, la statua, la nota musicale - in quanto non è in essi l'oggetto dell'arte, bensì nella rispondenza dei medesimi ad una situazione psicologica interna che l'artista ha voluto esteriorizzare. Quanto alla Matematica è noto a tutti che il suo oggetto di studio siano i numeri, le figure geometriche, le formule algebriche che non sono altro se non formae mentis, creazioni mentali di cui ci serviamo per rappresentarci la realtà esteriore, ma che in questa realtà non trovano alcuna rispondenza. Forse a prima vista parrebbe che quest'oggetto concreto, cioè corporeo e materiale, possano vantarlo le Scienze Sperimentali, ma così non è se noi vogliamo considerare che i corpi non sono l'oggetto di studio di dette scienze, bensì i mezzi di cui esse si servono per scoprire i caratteri dei corpi stessi, cioè i rapporti che legano i corpi fra loro in relazione alla Scienza singola: e, se è così, nessuno può dirci che questi rapporti cadano sotto i nostri sensi.

Dunque anche su questo terreno lo altre branche del Sapere sono costrette ad onorare la Filosofia della loro solidarietà, anche questo processo comincia a svolgersi come il primo. Procediamo dunque oltre e vediamo se la seconda asserzione, come abbiamo dimostrato per la prima, può ridursi ad un altro determinato atteggiamento del pensiero, ad un altro sistema filosofico: per parlare di un astratto filosofico è necessario opporgli un concreto pratico nel senso di corporeo, di materiale che possa conferire una ragion d'essere ad un'altra qualsiasi branca dei Sapere; ma, poiché l'atto conoscitivo non è né materiale, né corporeo, se ne deduce che l'oggetto dovrebbe esistere indipendentemente dall'atto conoscitivo, cioè dovrebbe essere fuori della conoscibilità, perché ciò che è corporeo e materiale, occupando uno spazio, non può essere in alcunché di immateriale che non occupa nessuno spazio. Vedremo in seguito se ciò é possibile; per ora ci accontenteremo di constatare come quest'ammissione di una realtà materiale al di fuori dell'atto conoscitivo sia la prima dottrina affacciatasi nella Storia della Filosofia con Talete, Anassimene ed Anassimandro, e che ha preso il nome d' «ilozoismo» che è una forma di «empirismo dogmatico».

Dopo ciò non ci pare che meritiamo l'accusa di severità se ci permettiamo di paragonare questi nostri ipotetici contraddittori che, per provare l'inesistenza della Filosofia, ricorrono ad argomenti che son propri di determinati atteggiamenti del pensiero, cioè di determinati sistemi filosofici, a quel libero pensatore che, dovendo scrivere un'opera contro le superstizioni, non voleva cominciarla di venerdì!

 

 

 

 




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