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Giuseppe Mannarino La ragion d'essere della filosofia IntraText CT - Lettura del testo |
Nel precedente capitolo il nostro buon lettore avrà notato una certa insistenza da parte nostra ad accompagnare i termini contraddittorietà ed astrattezza (nel senso di nebulosità) cogli aggettivi pretesa e cosiddetta e, notando tale insistenza, avrà certo pensato che un siffatto accompagnamento non ha potuto avere per noi un valore semplicemente casuale.
Infitti noi, servendoci dei termini contraddittorietà e nebulosità, l'abbiamo fatto per pura necessità polemica, per dimostrare cioè che se essi fossero sufficienti a provare la inesistenza o la inutilità di alcuna cosa, la Filosofia non sarebbe condannata da sola, anzi sarebbe l'unica branca del Sapere (se pure essa è una branca e non lo stesso Sapere) a salvarsi, trovando la sua ragion d'essere anche in quelle negazioni. In questo noi seguiamo dunque Socrate che accettava le asserzioni dei suoi mediocri interlocutori così come venivano formulate per giungere a delle conseguenze del tutto diverse, forse anche opposte; e ciò perché noi, convinti col Brofferio che la chiarezza sia l'onestà dello scrittore ed anzi che lo scrittore tanto più è onesto quanto più è chiaro, lungi dallo sforzarci come i Filosofi ufficiali ad annebbiare di termini filosofici i loro scritti, un solo sforzo abbiamo fatto e solo per essere intelligibili a tutti.
Dunque, avendo provato che i nostri ipotetici contraddittori non sono che dei Filosofi, malgrado la loro ostentata indifferenza per la Filosofia, e che quindi, essendo filosofi, sono contraddittori e nebulosi anch'essi, passeremo ora a provare come la Filosofia non sia contraddittoria ed astratta, ma coerente e concreta per eccellenza.
Nel precedente capitolo noi abbiamo identificato la Filosofia con l'attività del pensiero, non per dare o accettare una definizione della Filosofia, ma solo perché ci pare che in essa tutti possiamo concordare, dai Filosofi ufficiali che lo affermano esplicitamente ai modesti cultori quali noi siamo, ai «vulgares» che lo ammettono implicitamente nella prima asserzione secondo cui non vi sono due filosofi che la pensino allo stesso modo il che equivale a dire che ogni filosofo la pensa a modo suo e non si contenta quindi di ripetere meccanicamente quello che hanno detto gli altri. Dunque anche i «vulgares» sono convinti che la Filosofa è null'altro che l'attività stessa del pensiero perché essi chiamano contraddittoria la Filosofia in quanto è un perenne dibattito, una perenne discussione, una perenne polemica; la chiamerebbero coerente se tutti i filosofi concordassero in tutto, cioè se la pensassero nell'identico modo, cioè se non fosse attività, ma semplice ripetizione meccanica che può essere attività della lingua o della mano, ma non del pensiero la cui attività, ci sembra ovvio, consiste nel pensare.
Ed allora, se la Filosofia è attività del pensiero e l'attività del pensiero consiste nel pensare, è chiaro che la Filosofia è il pensiero in quanto pensa, cioè semplicemente il pensiero, poiché è inconcepibile un pensiero che non pensi perché, come tale, non sarebbe attività e non sarebbe neanche pensiero.
Dunque la Filosofia è il pensiero, e l'accusa di contraddittorietà alla Filosofia non è che un'accusa di contraddittorietà al pensiero.
Ora, per affermare che il pensiero sia contraddittorio, cioè che in esso vi siano delle contraddizioni, è necessario provarne le contraddittorietà, cioè cogliere le contraddizioni che siano nel pensiero. Ora noi ignoriamo che vi sia tavola logaritmica o strumento di gabinetto scientifico o di laboratorio medico-chirurgico che possa giungere a cogliere le contraddizioni che siano nel pensiero, per cui dobbiamo concludere che nulla può cogliere le contraddizioni che siano nel pensiero, fuorché il pensiero stesso. In altri termini, prima che il pensiero colga queste contraddizioni, nessun'altra cosa può averle colte, per cui - non essendo state ancora colte - non si può ancora parlare di contraddizioni e di contraddittorietà; ma se il pensiero le ha colte - poiché non può coglierle che il pensiero - esse, per il semplice fatto di essere state colte, sono state eliminate, cioè superate dal pensiero.
In conclusione il pensiero, malgrado sia attività, anzi appunto perché attività, non può essere contraddittorio (lo sarebbe invece - e lo prova anche la grammatica - se non fosse attività cioè se forse pensiero che non pensasse e ripetesse) ma coerente per eccellenza; e quindi, una volta identificata la Filosofia col pensiero, se ne desume che essa non può essere contraddittoria, ma per eccellenza coerente, e cioè che la Storia della Filosofia non è Storia delle contraddizioni filosofiche, ma Storia del pensiero che continuamente elimina le contraddizioni.
Analogamente può dirsi della cosiddetta astrattezza o nebulosità della Filosofia in quanto, identificata la Filosofia con l'attività del pensiero, cioè col pensiero che pensa o, meglio e più semplicemente, col pensiero, la Filosofia non può essere astratta se non a patto che sia astratto anche il pensiero.
Ora ciò può esser vero solo da un punto di vista strettamente lessicale perché, senza alcun dubbio, il pensiero non è qualche cosa che possa cadere sotto uno qualsiasi dei nostri cinque sensi; ma dal punto di vista logico non può essere così perché, se consideriamo il pensiero come un astratto logico, noi dovremmo potere opporgli un logico concreto. Se non che noi questo concreto non potremo opporlo che pensando, e sarebbe quindi sempre il pensiero ad opporre un concreto all'astratto. Né in questo caso può giovare il sussidio della grammatica per cui è concreto ciò che cade sotto i nostri sensi ed astratto ciò che non risponde a detta esigenza - perché in tal modo dovremmo ammettere che le nostre conoscenze concrete sono quelle che si acquistano per mezzo del sensi, cioè che siano concrete le sole sensazioni ed astratte le conoscenze che siano postume elaborazioni del pensiero. Ma ciò è inammissibile perché possono cadere sotto i nostri sensi i sensi stessi che sarebbero perciò concreti, ma non le sensazioni che, essendo pur esse pensiero, sarebbero astratte - ed allora nessuna conoscenza sarebbe concreta, ma sarebbero al contrario astratte tutte le conoscenze.
In ogni modo, ad esuberantiam e per fare ancora un'altra concessione ai nostri ipotetici contraddittori, proviamoci anche noi ad opporre al pensiero la sensazione per vedere se possiamo giungere alla stessa conclusione.
Spieghiamoci, come suol dirsi, con un esempio: se abbiamo vicinissimo a noi un nano e ad una grande distanza da noi un gigante, la nostra sensazione visiva (che, in termini volgari, è l'istantanea del colpo d'occhio) non può dirci altro se non che la corporatura del nano è più grande assai di quella del gigante. E pure nessuno, a meno che non si tratti di un allucinato, concluderà in tal modo, ma proprio nel senso opposto, e dirà che la corporatura del gigante è infinitamente più grande di quella del nano benché a noi la distanza faccia vedere il contrario. Tutto questo perché è intervenuto in noi quello che il Locke chiama senso interno, riflessione e che non è che il pensiero in quanto attività, cioè il pensiero che, pensando, ha raffrontato fra loro una serie di sensazioni, di percezioni e di esperienze precedentemente acquistate come la statura del nano, quella del gigante, il rapporto tra la statura del primo con la statura del secondo e poi di tutte e due le stature con quella media, la distanza tra noi ed il nano, tra noi e il gigante, tra il gigante ed il nano, la esperienza precedentemente acquistata che l'aumento della distanza rimpicciolisce i corpi rispetto alla nostra vista.
Ora noi siamo perfettamente convinti che nessuno può fare a meno di accettare come vera la conclusione cui è giunto il pensiero e come illusoria quella dataci dalla sensazione visiva, per cui, ostinandoci a chiamare astratto il pensiero e concreta la sensazione considerandola come opposta al pensiero (il che abbiamo provato essere impossibile) arriveremmo ad un'assurdità tale che ripugnerebbe non solo ad ogni principio filosofico, ma anche ad ogni elementare criterio di buon senso, affermando che solo concreto è l'errore e solo astratto la verità.
Poiché riteniamo che faremmo torto a chiunque se lo ritenessimo capace di tanto, resta provato che il pensiero non può essere astratto malgrado sia attività, anzi appunto perché attività e che la Filosofia non essendo che attività del pensiero è, non astratta, ma per eccellenza concreta.