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Giuseppe Mannarino La ragion d'essere della filosofia IntraText CT - Lettura del testo |
Abbiamo visto come la ragion d'essere della Filosofia sia tutta nella sua identificazione coll'attività del pensiero, cioè col pensiero stesso, ed abbiamo anche provato che la Filosofia non si può negare se non pensando, cioè facendo della Filosofia. Ora questa identificazione, che è stata la conclusione di altre premesse poste dai «vulgares», diventa la premessa di un'altra conseguenza cui abbiamo accennato e che ora proveremo, cioè che la Filosofia non possa concepirsi se non si ordina in sistemi, ovverosia se non si concretizza nella Storia.
Infatti, dimostrato che il pensiero cioè la Filosofia sia coerente e concreta, ne scaturisce che l'attività del pensiero non possa essere disordinata e caotica, tale cioè che, ponendo a se stessa una premessa, possa giungere ad una conclusione contraddittoria oppure tale che possa porre delle premesse contraddittorie per ogni singolo problema e quindi giungere a delle conclusioni, cioè a delle soluzioni per ciascun problema, che siano tra loro contraddittorie.
Il pensiero è coerente a se stesso e concreto perciò, pensando, è necessario che si prospetti tutti i problemi secondo un'unica visuale, cioè che ponga a se stesso un principio unitario secondo cui sia possibile la soluzione dei problemi postisi in modo coerente e concreto; in altri termini è necessario che il pensiero, per la sua coerenza e per la sua concretezza, si organizzi in sistemi in cui tutte le parti siano perfettamente armoniche fra loro e che offra delle soluzioni concrete ai singoli problemi che pone a se stesso.
Ora, poiché nessun sistema può essere estraneo all'altro in quanto ogni sistema è sintesi e negazione di quelli che lo precedettero, cioè poiché ogni sistema non può ignorare gli altri anche per svilupparli, correggerli o negarli - questo ordinarsi in sistemi è un concretizzarsi nella Storia: e difatti il pensiero, essendo attività, è svolgimento, cioè Storia, e la Storia non si svolge caoticamente, ma logicamente, cioè in periodi - ed i periodi della Storia della Filosofia sono appunto i Sistemi.
In questo concordiamo perfettamente coi Filosofi e concordano anche i «vulgares» che, come abbiamo provato, per sostenere lo proprie argomentazioni non han fatto che ricorrere ai sistemi filosofici.
Il nostro dissenso dai Filosofi militanti comincia invece là dove noi consideriamo i sistemi come i momenti storici dell'attività del pensiero, ossia della Filosofia, mentre essi, pur verbalmente ammettendo quel che noi diciamo e che del resto non siamo i primi a dire, nella sostanza poi identificano la Filosofia coi sistemi filosofici, cioè col sistema filosofico da essi fondato o preferito: confondono cioè la Storia con uno dei suoi periodi.
Ora a noi modestamente sembra che, identificata la Filosofia con l'attività del pensiero, essa non possa identificarsi con un sistema che è un momento solo dell'attività del pensiero, ed è assurdo ritenere che il pensiero possa identificarsi con un momento della sua attività.
Esula completamente dalle nostre intenzioni scrivere una storia della Filosofia od anche una semplice esposizione più o meno critica dei sistemi; ma crediamo opportuno accennare ai principali di essi, cioè ai principali momenti storici dell'attività del pensiero che per noi sono quello dogmatico, quello scettico, quello critico e quello conclusivo o idealistico.
È naturale che all'uomo la prima verità che si presenti è quella che gli offrono i sensi senza che egli si avveda di questa sua attività sensoriale, per cui egli s'illude di essere una cosa tra le altre cose della Natura, e non è meno naturale che egli creda ciecamente in questa verità che gli pare si presenti dal di fuori senza che egli vi metta nulla del suo che darebbe un carattere subbiettivo, cioè personale, alla sua conoscenza, la quale invece non può avere valore assoluto se non è obbiettiva, cioè comune a tutti gli esseri, universale. Siamo al momento dogmatico, al momento cioè in cui il pensiero accetta senza sottoporla ad alcuna critica la realtà che crede gli si presenti dal di fuori.
Però ben presto questo dogmatismo viene scosso quando diversi uomini empirici od anche lo stesso uomo empirico, in diverse condizioni di tempo e di luogo, vedranno presentarsi quella medesima realtà sotto vari aspetti, ed allora essi penseranno che un solo oggetto sia tanti oggetti quanti sono gli individui che ne imprendono lo studio: con questo si arriva alla negazione di ogni valore assoluto alla conoscenza, cioè alla affermazione della relatività della conoscenza - ed è questo il momento scettico.
Ma il pensiero non può fermarsi qui perché lo scetticismo o, per essere più esatti, la scepsi, cioè il dubbio, concludendo per la relatività della conoscenza, demolisce la conoscenza stessa, privandola di ogni criterio di certezza, cioè di ogni valore universale. A ciò si ribella lo stesso senso comune perché, contro l'affermazione che ogni uomo ha un suo modo particolare d'intendere la realtà per cui vi sarebbero tante realtà quanti individui, sta il fatto che tutti gli uomini riescono almeno in qualche modo ad intendersi, ed allora il pensiero cerca di spiegarsi il perché noi, pur pensandola diversamente, riusciamo ad intenderci e quindi sottopone alla propria critica la realtà per distinguere ciò che apparisce ai singoli e che quindi varia da individuo ad individuo, e che i filosofi chiamano empirico o fenomenico, da ciò che invece è uguale per tutti, cioè universale, razionale, noumenico.
Finalmente, assodato ciò che è universale, giungiamo al momento conclusivo che possiamo anche chiamare idealistico per il fatto che l'universale, il razionale, il noumenico è un prodotto della mente, è cioè idea.
Ora questa nostra breve esposizione deve essere ben tenuta presente per poter andare avanti nella lettura, ma soprattutto, deve essere bene intesa in quanto noi non abbiamo voluto darle quella fissità, quella staticità di Augusto Comte, per esempio, che divide la storia nei tre periodi mitico, metafisico e positivo, e poco manca che non stabilisca le date della fine di un periodo e dell'inizio di un altro; noi abbiamo fatta questa semplice esposizione solo per facilitare l'intelligenza del nostro lavoro. Ogni uomo infatti, filosofo o vulgaris, pensando, attraversa continuamente questi quattro momenti storici del pensiero - e perciò, stando alla sostanza, tutti i filosofi, tutti gli uomini in quanto pensano sono al tempo stesso dogmatici, scettici, critici ed idealisti - per modo che, l'affermare che un Filosofo sia da catalogare fra i seguaci di un sistema anziché tra quelli di un altro, ha un valore relativo, cioè empirico, nel senso che in quel filosofo prevale un momento storico piuttosto che un altro; ed il nostro asserto è provato dal fatto che i vari storici della Filosofia non son d'accordo nella classificazione dei Filosofi in questi determinati atteggiamenti del pensiero o sistemi che dir si voglia.
Confessiamo che le nostre espressioni catalogare e classificare riferite ai filosofi ci sembrano non solo irriverenti, ma addirittura infelici e che ci sono oltremodo antipatiche perché rassomigliano i filosofi stessi a degli oggetti che si possano ordinare in gruppi e sottogruppi, in generi e sottogeneri, in specie e sottospecie; ma purtroppo abbiamo dovuto seguire un andazzo divenuto oggi di moda dacché si ama scrivere la storia dei singoli sistemi filosofici, cioè di un singolo atteggiamento del pensiero indipendentemente dagli altri atteggiamenti, dagli altri sistemi e senza riflettere che - come abbiamo dimostrato - il pensiero non é coerente, né concreto fuori della sua attività.
Ora il sistema preso in se stesso, cioè indipendentemente dagli altri sistemi, dovrebbe essere preso in se stesso anche indipendentemente dai Filosofi che lo fondano, lo seguono o semplicemente lo preferiscono - e ciò per il fatto che il sistema, essendo sistema, dovrebbe avere dei caratteri fissi e statici, degli elementi cioè che rimangono tali pure in mezzo al variare del pensiero dei filosofi che lo seguono; se non che il sistema non può avere valore per se stesso, ma questo valore lo riceve appunto dai Filosofi che lo svolgono, e non possono svolgerlo che attraversando i quattro momenti storici dell'attività del pensiero.
Ed allora la Filosofia è inconcepibile fuori del suo concretizzarsi nella storia, fuori cioè del suo ordinarsi in sistemi; ma anche il sistema é inconcepibile fuori della Filosofia, cioè fuori dello svolgimento di tutti i sistemi come un periodo storico non può spiegarsi indipendentemente dai precedenti che lo determinarono e dalle conseguenze che determinò; che se un periodo storico non ebbe alcun determinante né alcuna ripercussione può esser fatto storico, non storia - e se un sistema filosofico non ha un addentellato nei sistemi che lo precedettero e non é destinato a suscitare alcuna ripercussione, esso non é più pensiero, ma pensato; è, sì, un prodotto dell'attività del pensiero, ma non è l'attività stessa del pensiero e quindi non è più filosofia. Ora una distinzione fra il pensiero che è rappresentato dai Filosofi, cioè dagli uomini che pensano in quanto pensano ed il pensato che è rappresentato dai sistemi Filosofici, cioè da quello che i Filosofi hanno pensato non è possibile che empiricamente, perché, o il sistema filosofico è il pensato, cioè quello che i Filosofi hanno pensato ed ora non pensano più, ed in questo caso esso non è più pensiero e quindi non è più filosofia, ma semplicemente oggetto di ieratica contemplazione; oppure esso è il pensato che i Filosofi pensano od anche ripensano ed allora esso non è più pensato, ma pensiero, cioè attività, originalità.
É quindi solo per necessità polemica che noi concordiamo per un momento con tutti i Filosofi militanti che portano la tessera ed il distintivo di una scuola ed esaminiamo il pensato, cioè il sistema, vale a dire diamo per realizzato in un sistema il pensiero che invece, a nostro avviso, per il fatto che pensa sempre e cioè realizza sempre se stesso, non può essere mai realizzato. Vedremo a quali conseguenze saremo condotti.
Cominciamo dal dogmatismo: esso premette che non possa esservi altra realtà che la Natura, ma identifica questa Natura con la Materia. L'uomo stesso viene ad essere considerato come qualche cosa che si trovi fra le altre cose nella Natura e perciò viene considerato come Materia: tutto ciò può essere utile ai fini pratici della scienza, ma, dal punto di vista filosofico, presenta gravi difetti, perché se la Natura deve essere concepita come Materia, e poiché concepire significa ridurre la realtà esterna in concetti, cioè in schemi della nostra mente, è evidente che ciò che la concepisce non può essere che il pensiero. Ma il pensiero è immateriale, cioè irriducibile alla Materia, e conseguentemente non dovrebbe esistere se altro non esiste che la Materia.
Né meno gravi inconvenienti presenta il dogmatismo moderno che, non potendo eliminare l'attività del pensiero, riduce il pensiero stesso ad una secrezione delle glandole cerebrali, perché, in questo caso, verrebbe annullata la legge fondamentale dello stesso dogmatismo per cui in Natura nulla si crea e nulla si distrugge se noi dal cervello-materia facessimo derivare il pensiero che non è materia e che alla Materia non può assolutamente ridursi.
Abbiamo dunque cercato di esaminare un sistema, ed abbiamo visto come esso, ponendo come principio unificatore della Vita la Materia, sia contraddittorio ed astratto: contraddittorio perché rappresenta uno sforzo del pensiero per negare il pensiero, astratto perché la Materia in tanto ha un valore filosofico in quanto è riducibile a concetti, e non può esserlo se non per opera del pensiero. Ma, se è astratto il sistema in quanto rappresenta il pensato che ora più non pensiamo, se esso è contraddittorio, non sono contraddittori né Talete, né Anassimene, né Anassimandro i quali rappresentano il pensiero in quanto attività, ed in mezzo al variare delle forme davanti ai nostri sensi cercano un principio unitario nell'acqua, nell'aria, nell'infinito, per dare coerenza e concretezza alla Vita ed al pensiero; non lo sono gli Atomisti che di fronte al moto, che gli Eleati negarono, cercarono di spiegarsene le leggi che sole avrebbero potuto dare coerenza e concretezza al moto stesso; non lo sono il Moleschott ed il Voigt, non il Darwin ed il Buechner i quali - di fronte al problema centrale del pensiero inspiegabile in un sistema prettamente ilozoistico e materialistico - tentano di superare la contraddizione, cercando di ridurre il pensiero a materia.
Ma non sono astratti e contraddittori, per una ragione semplicissima che non sono né dogmatici, né scettici, né critici, né idealisti, ma sono dogmatici, scettici, critici ed idealisti ad un tempo, cioè sono semplicemente filosofi, uomini che pensano. E difatti, perché cercare il principio unitario della Vita se fossero dei perfetti dogmatici e se non avessero alcun dubbio sulla realtà esterna che si presenta loro attraverso i sensi; poiché il dogmatico crede e non dubita come lo scettico e non ricerca come il critico? perché ricercare le cause del moto? perché cercare di spiegarsi il problema del pensiero che pur non cade sotto i nostri sensi? - Quel che si cerca si cerca appunto perché non lo si possiede, perché si dubita intorno al possesso - e quindi chi cerca, oltre a credere alla trovabilità, dubita di possedere - cioè è dogmatico, scettico e critico ed è anche idealista allorché giunge ad una conclusione sua, perché, attraverso ad un processo mentale, giunge ad affermare un'idea.
Parimenti potremo dire dello Scetticismo se noi lo consideriamo in sé cioè indipendentemente sia dagli altri sistemi che dai Filosofi che lo pensarono - posto sempre che sia possibile -. Infatti, prescindendo dall'opera di Protagora e di Gorgia, di Pirrone, di Hume e del Rensi che non sono soltanto scettici, ma sono filosofi, il momento scettico dovrebbe essere caratterizzato da queste proposizioni di Gorgia: a) nulla esiste; b) qualora esistesse non si potrebbe conoscere; c) se pure si conoscesse sarebbe impossibile comunicarlo ad altri (ben inteso che in queste tre proposizioni non intendiamo riassumere il pensiero di Gorgia che non è contraddittorio, né astratto, come vedremo, bensì il pensato cioè quello che Gorgia ha pensato). Ora in tutte le tre proposizioni troviamo anzitutto come soggetto la parola «nulla», che ha un valore assoluto come l'altro termine dei dogmatici «tutto»; ed infatti tanto il tutto quanto il nulla non ammettono eccezioni di sorta, ma mentre ciò nel dogmatismo è spiegabile, non lo è per lo scetticismo che vorrebbe concludere per la relatività della conoscenza senza tener conto che l'esigenza dell'assoluto è manifesta proprio nelle proposizioni di questo relativismo per cui nulla è assoluto e tutto relativo.
Questo per la linea generale; ma anche ciascuna proposizione è contraddittoria per se stessa, in quanto affermando che nulla esiste, si afferma già l'esistenza di una cosa, cioè l'esistenza di una verità per cui non esisterebbe nulla, ed allora il nulla ammette già una eccezione e perciò non è più «nulla». cioè assoluto. Così è dell'altra proposizione: «niente è conoscibile», perché, se si afferma che non si può conoscere nulla con una tale sicurezza, è chiaro che una cosa almeno si conosce; e se non si può comunicare nulla agli altri, si può per lo meno comunicare che nulla è comunicabile.
Ma, se lo scetticismo preso in sé si dibatte in questa serie di contraddizioni, non è però giusto chiamare contraddittorio il pensiero di Gorgia che è invece coerentissimo in quanto, di fronte alle assolute e contrastanti affermazioni degli Eleati e degli Atomisti, cerca di darsi una spiegazione di tanto variar di opinioni e questa spiegazione si dà, spostando la realtà dalla Natura-materia all'uomo sia pure empirico, cioè individualmente ed astrattamente preso; ma se noi guardiamo sotto questo punto di vista il pensiero di Gorgia, cioè lo consideriamo come pensare e non come pensato, allora vedremo che Gorgia non è solo scettico perché dubita, ma è al tempo stesso dogmatico perché crede all'assoluta inesistenza di alcuna cosa; critico perché sottopone al suo pensiero l'esame delle altrui teorie; idealista perché giunge e giunge pensando ad una conclusione sua, all'affermazione di un'idea.
Non diversamente si può concludere per il criticismo: se noi lo consideriamo come pensato che più non pensiamo, esso non può essere però più criticismo, ma dogmatismo o scetticismo (che è poi un dogmatismo negativo); se invece continuiamo a pensarlo e, pensandolo, lo critichiamo, allora faremo sì della filosofia, ma saremo fuori del sistema fisso e chiuso nelle formule socratiche o kantiane. È dunque contraddittorio il criticismo come pensato, ma non sono contraddittori Socrate e Kant in quanto pensano, e cercano di superare l'uno le contraddizioni della dottrina eleatica, atomista o sofistica, l'altro quelle dell'empirismo e del razionalismo considerati come sistemi.
Ed infine veniamo al momento conclusivo o idealista. La contraddittorietà e l'astrattezza non consistono nello sforzo di Platone o del Gentile per giungere ad una conclusione: finché questo sforzo rimane sforzo, cioè pensiero che pensa, non può essere contraddittorio né astratto per quel che abbiamo dimostrato, diventa invece l'una cosa e l'altra quando è ordinato in sistema preso in sé, cioè quando diviene pensato.
Infatti, mentre Platone è coerente e concreto allorché al soggetto socratico rimasto privo di oggetto oppone un oggetto senza cui il soggetto non potrebbe esistere e quindi non sarebbe soggetto concreto, l'idealismo trascendente è contraddittorio ed astratto perché le Idee - considerate come innate - essendo poste fuori del pensiero che le pensa diventano oggetti di cui poi dovrebbe esistere il pensiero, cioè l'Idea. E così, mentre è coerentissimo e concretissimo il Gentile perché cerca, di fronte alle difficoltà che presenta il dualismo di trascendenza ed immanenza, di assorbire la prima nella seconda con l'atto puro, l'attualismo, considerato indipendentemente dal Gentile, non lo è affatto, perché identificando il pensiero con la realtà, sarà pur necessario domandarsi se il pensiero è realtà perché è pensiero e cioè se tutto ciò che è pensiero è realtà, vale a dire se il fatto di esser pensiero sia condizione necessaria e sufficiente per essere realtà, nel qual caso tutti i pensieri sono veri e quindi tanto quello del Gentile che identifica il pensiero con la realtà, quanto quello di coloro che ammettono la trascendenza e negano questa identificazione; ma se noi ammettiamo questa identificazione e diciamo che non sono pensieri veri quelli che non identificano il pensiero e la realtà - abbiamo che vi sono dei pensieri che non sono realtà; e se infine crediamo che solo il pensiero che identifica pensiero e realtà è vero, e che gli altri non sono veri, allora giungeremo alla conclusione che il pensiero non è realtà perché è pensiero ma che è realtà solo se è realtà. In altri termini l'esser pensiero non è condizione sufficiente per essere realtà, e quindi la realtà è qualche cosa di diverso dal pensiero, è qualche cosa che trascende il pensiero - e così l'attualismo cela in sé un'aspirazione alla trascendenza che s'illudeva di avere distrutta. E questo che noi veniamo dicendo viene confermato dalla crisi interna che travaglia l'attualismo e che allontana ogni giorno dal medesimo quelli che sono o furono i suoi pensatori originali, il Casotti, il Redanò, il Papafava, il Carlini, indirizzandoli per diverse vie.
In conclusione la contraddittorietà e l'astrattezza dei sistemi filosofici non è nel pensiero del singolo Filosofo nel quale la Filosofia si rende coerente e si concretizza storicamente, ma è nel sistema stesso considerato astrattamente, cioè astraendo dagli altri sistemi - e questo perché ogni sistema è filosofia, ma nessun sistema è la Filosofia, cioè tutta la Filosofia che è attività del pensiero, quindi Storia: cioè ogni sistema finché è pensiero che pensa è realtà (e fin qui conveniamo con l'attualismo), ma nessun sistema è tutta la realtà perché anche gli altri sistemi sono realtà - quando però da pensiero diventa pensato e cioè non si pensa più, ma si organizza in formule fisse alle quali si giura come in verba magistri, allora si contraddice, risolvendosi negli opposti perché in ogni sistema appaiono gli altri, ogni sistema si riduce agli altri o meglio si dissolve negli altri appunto perché i suoi Maestri, i suoi fondatori non sono - come dicemmo - dogmatici, scettici, critici ed idealisti, ma semplicemente filosofi, cioè pensatori originali.
Dunque appunto in questo può trovare l'unica giustificazione, l'unica spiegazione l'asserzione dei «vulgares» che attribuiscono alla filosofia una pretesa contraddittorietà, una cosiddetta astrattezza che noi abbiano confutato e crediamo sufficientemente: non nella Filosofia stessa, in quanto attività del pensiero che si concretizza storicamente, ordinandosi in sistemi, bensì nel sistema in sé già ordinato, nel pensato che il pensiero non pensa più. E questa giustificazione sono proprio i Filosofi militanti, gli astri cioè di seconda grandezza, che la offrono perché - essendo in ogni sistema un residuo di dogmatismo - essi, incapaci di creare o di sviluppare quelle che son le parti vitali del sistema, trovano assai più facile e più comodo fermarsi su questi residui, cioè sulle formule, o dogmatizzare tutta la dottrina di un pensatore originale; allora le opere di costui diventano un testo sacro, l'attività dei discepoli, anziché essere uno sviluppo di questa dottrina, si limita alla più semplice funzione di volgarizzazione degli scritti del Maestro; ed intorno a questi si costituisce una cosiddetta scuola filosofica con tutti i caratteri delle scuole esoteriche orientali, coi riti, con le formule, con le scomuniche, con la gerarchia nettamente delineata che va dal Maestro stesso ai primi discepoli, cui si affidano le cattedre di primaria importanza, ai discepoli minori che stanno a custodia negli Atenei di second'ordine, ai neofiti cui, previo giuramento di fedeltà in base ad un determinato rituale, viene finalmente assegnata la cattedra nel Liceo. E se è contro questa Filosofia che le asserzioni dei vulgares son dirette, noi non abbiam nulla da eccepire; ma resta dimostrato a sufficienza che le accuse e le condanne contenute in queste asserzioni non toccano la Filosofia in quanto attività di pensiero, ma solo alcune formule che costituiscono il pensato e quindi non sono più pensiero, cioè filosofia; non toccano la storia della Filosofia in cui la Filosofia si concretizza, ma semplicemente una Cronaca che pur ripetendosi continuamente, non è Storia, ma negazione della Storia; non toccano i Filosofi, cioè gli uomini in quanto pensatori originali, ma solo alcuni uomini empirici - che, in termini volgari, si chiamano profittatori - cui la Filosofia serve e che la Filosofia non servono.