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Giuseppe Mannarino
La ragion d'essere della filosofia

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4 - Identificazione di Filosofia ed Umanità

 

Nel primo capitolo di questa modesta trattazione, partendo dall'asserzione di mediocri che alla Filosofia negavano la sua ragion d'essere, basandosi sulla sua pretesa contraddittorietà, siamo arrivati a concludere identificando questa asserzione con le proposizioni scettiche di due profondi pensatori come Protagora e Gorgia - e similmente, partendo da un'altra asserzione dei «vulgares» che condannava la Filosofia alla inutilità e quindi alla inesistenza, fondandosi sulla sua cosiddetta astrattezza e nebulosità, siamo giunti alla identificazione di quest'altra asserzione con la dottrina dell'empirismo dogmatico, propria delle scuole presocratiche e di quella ionica segnatamente.

Ora in ciò è già implicito quello che in questo capitolo ci proponiamo di dimostrare, cioè l'identificazione di Filosofia ed Umanità, vale a dire l'umanità dalla filosofia - che è solo nostro eccessivo desiderio di chiarezza che ci vieta di omettere questa parte dell'argomentazione.

Infatti è stato precedentemente da noi provato che tanto quelle che ci sembrano asserzioni di mediocri, quanto quelle che sono proposizioni di pensatori più o meno profondi, non solo implicano, cioè presuppongono, un processo mentale, vale a dire un'attività del pensiero ma sono addirittura lo stesso processo mentale e la stessa attività del pensiero perché, nelle une come nelle altre, è insita la conoscenza di elementi, la critica valutativa, la conclusione affermativa o negativa - per cui noi possiamo senz'altro considerar come filosofia tanto quelle volgari asserzioni quanto quelle proposizioni profonde. Che se poi noi guardassimo e le une e le altre indipendentemente dall'attività del pensiero che le pensa e giunge ad esse attraverso un processo mentale, allora esse si ridurrebbero a formule fisse e quindi sarebbero pensato, ma non più pensiero, e perciò non sarebbero più filosofia.

Pertanto - intendendo per filosofia l'attività del pensiero e per volgarità la confusione che vulgares e filosofi ufficiali fanno tra pensiero e pensato, cioè tra l'attività del pensiero ed il suo prodotto (che, considerato indipendentemente dall'attività produttrice, è nozione cioè sapere empirico o sapere volgare) - è ovvio che vi sia della filosofia nei vulgares come della volgarità nei filosofi ufficiali.

Dunque tra vulgaris e filosofo non può esservi antitesi se nell'uno e nell'altro vi sono gli stessi elementi, attività del pensiero e passiva contemplazione dell'altrui pensato: vi è semplice differenza quantitativa consistente nel diverso grado di cultura e nella diversa intensità del potere di assimilazione della cultura stessa. Ma e l'una e l'altra cosa - se ben si osservi - riguardano le «nozioni» che sono l'oggetto del Sapere, non mai il Sapere stesso che è la attività conoscitiva, critica, coordinatrice e conclusiva del pensiero, e che, come tale, è comune agli uni ed agli altri come abbiamo avuto modo di vedere.

Se quindi noi non teniamo conto di questa differenza quantitativa che riguarda il pensato e ci fermiamo sul fondamento del Sapere che è il pensiero - allora vedremo facilmente che la distinzione degli uomini in volgari e filosofi ha un valore meramente empirico, ma non filosofico - anche quando essa da alcuni filosofi ufficiali è accettata come dogma.

Fra vulgares e filosofi v'ha, in altri termini, non antitesi, ma identità sostanziale in quanto gli uni e gli altri pensano perché sono uomini.

Quanto noi abbiamo detto è inoltre confermato dallo stesso termine «filosofia» che altro non significa se non amore del Sapere, e cioè (poiché amore è aspirazione al possesso) aspirazione al possesso del Sapere. È naturale ed evidente che quest'aspirazione sia comune agli uomini - mediocri o filosofi - per il fatto che essa richiede, per giustificarsi, due condizioni necessarie e sufficienti: il non possedere ciò a cui si aspira ed il possedere i mezzi atti a conquistarlo od a produrlo.

Ora è, da quanto abbiamo detto, ovvio che il Sapere non può esser posseduto dall'Uomo che invece continuamente lo conquista e non è meno ovvio che è solo l'Uomo che possiede i mezzi atti a conquistarlo e produrlo: il pensiero.

È forse su questo punto invece che i filosofi ufficiali, i quali hanno naturalmente interesse di difendere il loro potere oligarchico, si fermano per mantenere la loro distinzione dogmatica: infatti, secondo questi, i vulgares avrebbero la pretesa di possedere il Sapere per il fatto di possedere le nozioni e quindi lo confonderebbero con esse; ma un'obbiezione di tal genere ci richiamerebbe a quanto abbiamo detto prima per il fatto che questa antifilosofica pretesa - più che dei mediocri - è prerogativa dei filosofi ufficiali, almeno dagli astri di seconda grandezza in poi, sempre che noi li riguardiamo nella loro attività teoretica e pratica, laddove l'Uomo universalmente considerato non può essere e non è che filosofo.

Nella nostra modesta argomentazione non abbiamo inteso scostarci dal metodo da noi prediletto che abbiamo appreso da Socrate, dal Maestro cioè che non aspettò di essere in auge nella vita politica di Atene per avere una Scuola e che ha ancora dei discepoli, pur non avendo cattedre da offrir loro: così noi, in luogo di partir da proposizioni di profondi pensatori viventi per girarvi intorno e giunger così all'onore di rappresentare ufficialmente la Filosofia, abbiamo preferito partire dalle asserzioni più mediocri per giungere a delle conclusioni filosofiche; abbiamo cioè preferito giungere a quelle profonde proposizioni, rifacendo per conto nostro e con mentalità nostra, il processo attraverso cui quei pensatori arrivarono a quelle conclusioni. Così, bene o male, siamo giunti alla identificazione di Filosofia ed Umanità. Per altre vie, per altri porti Giovanni Gentile, che è indubbiamente uno dei più forti pensatori contemporanei, giunge alla stessa conclusione.

Egli, nel VII Congresso Nazionale di Filosofia, a proposito dei rapporti tra la Filosofia e lo Stato, così si esprimeva: «si può diventare oratori, ma non si diventa allo stesso modo né poetifilosofi, non perché la poesia e la filosofia siano il privilegio degli eletti e non si svolgano anch'essi con l'arte, ossia con lo studio, il pensiero e la volontà, ma perché ogni uomo, molto o poco, è poeta e filosofo. E quando si distingue i filosofi dai non filosofi, in realtà quel che si attribuisce ai primi e si nega ai secondi è una determinata filosofia, prodotto di una metodica meditazione dei problemi che il pensiero ha storicamente meditati: laddove la tradizione storica non è che il passaggio graduale dalla non filosofia degli uni (cioè dalla loro filosofia) alla filosofia degli altri: passaggio che è la progressiva trasformazione di una costante attività dello spirito» e poi «in conclusione, filosofi si è tutti, ciascuno a modo suo e nella misura delle sue forze: e c'è una filosofia in nuce, rudimentale, come c'è una filosofia spiegata e svolta in sistema; c'è una filosofia intuitiva ed oscura, come c'è una filosofia ragionata, dimostrata e logizzante, tutta chiarezza» e ciò perché «l'uomo è sì un animale politico; ma è prima di tutto un animale filosofo. La sua essenza fondamentale é questa: è filosofo perché pensa. Giacché pensare significa non esser più animale, né null'altro che sia naturalmente, non appartenere più alla natura ossia a quell'insieme delle cose in cui l'uomo al suo nascere viene a trovarsi, e dinanzi a cui si ritrova ogni giorno, all'inizio di ogni forma della sua attività; distinguersi, e opporre quindi sé stesso come coscienza di sé che si oppone alla coscienza d'altro».

 

Dopo aver riportate le parole del Gentile, che sono di una straordinaria chiarezza ed evidenza, senza alcuna parola di commento, che certamente servirebbe a guastare l'effetto destinato a suscitare nell'animo dei nostri pochi lettori - ci affrettiamo ad affermare nel modo più esplicito che non siamo gentiliani. Non lo siamo per una ragione di indole generale, e cioè perché a noi ripugna il vezzo prevalso in tutti i tempi nella storia della Filosofia, di far seguire la desinenza iano o ista al nome di un pensatore originale per giustificare la propria mancanza di originalità: ciò - conveniamo - può essere utile a far godere a degli uomini empirici il beneficio immeritato della cattedra universitaria, ma non giova alla Filosofia, e neanche giova alla comprensione - che è sviluppo, cioè vitalità - della dottrina che si dice di voler professare. Non lo siamo nel caso specifico per la pena che in noi ispira il fatto di vedere una dottrina profonda come l'attualismo ed un pensatore profondamente originale come il Gentile - destinati l'uno e l'altro ad esercitare una influenza vastissima su tutti i campi dello Scibile - fatti scempio da una turba di mediocri adulatori che han trasformato in conventicola quella che doveva essere la scuola.

Non siamo dunque gentiliani, e perciò ci riserbiamo anche in avvenire la libertà di dissentire dall'attualismo come di convenirne; e questa libertà ci riserbiamo nei riguardi di tutte le scuole, perché non intendiamo - per servir la Filosofia - avere un Maestro nelle cui parole giurare; ma riteniamo che Maestri nostri sian tutti quelli da cui abbiamo da apprendere, siano essi autori di opere filosofiche, siano essi - e ne abbiamo dato la prova - uomini mediocri o volgari.

E pure, pare incredibile, ma per il carattere fondamentale dell'attualismo, che oppone l'attività costante del pensiero alla dottrina fissa e stabilita una volta per sempre, siamo più vicini noi a Giovanni Gentile, per il nostro modo di pensare, di quanto non lo siano i suoi voluti discepoli dell'ora del trionfo: sentiamo di esserlo perché noi tutto chiedemmo alle opere del Gentile fuorché delle formule catechistiche da adorare, nulla chiedemmo mai all'individuo che pur cercammo conoscere nella profondità della dottrina senza curarci della autorità extrafilosofica che s'era acquistata, non avendo mai inteso dare il nostro nome ad alcuna setta, ad alcuna conventicola per sfruttarne i vantaggi, non intendendo noi servire che la Filosofia.

 

 

 

 




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