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Giuseppe Mannarino La ragion d'essere della filosofia IntraText CT - Lettura del testo |
Nel precedente capitolo abbiamo avvicinato dei concetti che, a volerli guardare superficialmente, sono fra loro inconciliabili: in tutte le epoche difatti la Scienza apparve in uno stridente contrasto con la Religione e con l'Arte più che con la Filosofia, in quanto l'antitesi tra Filosofia e Scienza - pur trovando addentellati in antichissime teorie - non è stata posta esplicitamente che in tempi assai vicini a noi.
Ora da quanto abbiamo detto in precedenza è ovvio che nessuna antitesi può essere trascendente, cioè superiore al pensiero umano, poiché le antitesi sono io quanto il pensiero umano le pone, cioè immanenti al pensiero stesso. Da questa immanenza delle antitesi noi possiamo pertanto arguire, con lo Hegel, che esse - non essendo al di sopra del pensiero umano e quindi delle due categorie principali del pensiero, lo spazio ed il tempo - sono nello spazio e nel tempo, cioè il loro valore non è universale e perpetuo, ma semplicemente storico. Le antitesi sono dunque nel pensiero, cioè nella Storia, ma non sono il Pensiero e la Storia e perciò possono dal pensiero in quanto storia essere risolute in una superiore sintesi.
In tal guisa siamo tornati ai momenti storici dell'attività del pensiero che per lo Hegel sono tre: tesi, antitesi, sintesi; ma se noi consideriamo che alla tesi corrisponde quello che abbiamo chiamato momento dogmatico, all'antitesi quello che abbiamo chiamato momento scettico ed alla sintesi quel che abbiamo chiamato momento conclusivo o idealista - si vedrà subito dalla dottrina hegeliana saltar fuori il momento critico che sarebbe costituito dal processo per cui, attraverso la tesi e l'antitesi, si perviene alla sintesi.
Se e coì, è fuor di dubbio che anche le due antitesi fra Scienza e Religione, fra Scienza ed Arte possano essere risolute in una superiore sintesi attraverso un processo del pensiero, e questa sintesi non può essere che l'atto del pensiero che supera le antitesi.
Infatti, se noi poniamo come criterio valutativo delle antitesi la realtà come atto del pensiero, risulterà che la Scienza è realtà in quanto è costruzione rigorosamente logica da parte del pensiero, che la Religione è realtà in quanto essa rappresenta l'atto del pensiero che riconosce la propria limitatezza di fronte all'illimitato e quindi si autolimita, che l'Arte è realtà in quanto esprime una reale situazione psicologica dell'artista.
Ora, se l'antitesi potesse avere un valore universale e perenne, cioè un valore superiore all'atto del pensiero, è ovvio che non potrebbero essere realtà tutti e tre i concetti - ma la realtà della Scienza implicherebbe l'irrealtà della Religione e dell'Arte o viceversa contro ogni criterio logico.
Già la storicità del pensiero, molto prima che nello Hegel, si trova affermata nel nostro Vico allorché questi asserisce che «gli uomini dapprima sentono senza avvertire poi avvertiscono con animo perturbato e commosso, infine ragionano con mente pura», nelle quali parole sono presso a poco quei momenti storici dell'attività del pensiero di cui abbiamo parlato nel nostro capitolo su «La Filosofia i Filosofi ed i sistemi Filosofici» o che poi abbiamo trovato nell'Hegel stesso.
Vero è che il Vico attribuisce a questi momenti un valore essenzialmente cronologico, cioè li collega fra loro in base ad un rapporto di successione anziché ad un rapporto di coesistenza - dal che verranno fuori quelle difficoltà che abbiamo incontrato nel su cennato capitolo e che chiarificheremo - ma in realtà è merito essenziale del Filosofo Napoletano l'aver posto il problema intorno a cui la Filosofia contemporanea ancora si affatica.
Ora il fatto che «gli uomini dapprima sentono senza avvertire» non è in fondo che il momento dogmatico dell'attività del pensiero, cioè il momento in cui l'Uomo si affida alle sensazioni e crede che esse da per se stesse gli rivelano la pretesa realtà esterna, ma non avverte ancora le modificazioni dell'io cosciente che gli permettono di sentire o, meglio ancora, si affida alle sensazioni considerate come impressioni che il mondo esterno proietta su di noi e non si accorge della nostra reazione a questo mondo esterno, per cui quelle sensazioni sono e non possono essere che pensiero. Ma, allorché queste sensazioni si pongono tra di loro in contrasto per il tempo, il luogo e le circostanze, questo contrasto non può non generare dolore per l'impossibilità di conoscere la realtà esteriore, e questo dolore non è che il perturbamento, la commozione dell'animo - il che ci spiega come gli uomini in un secondo momento «avvertano con animo perturbato e commosso». Infine l'Uomo, non potendo, in quanto attività dl pensiero, contentarsi di questa posizione negativa, deve superare in una sintesi superiore, l'antitesi di dubbio e certezza, ed abbiamo quindi il momento critico, quello cioè in cui «ragionano con mente pura» e giungono attraverso questo processo ad una conclusione che è il dogma del ciclo successivo.
Ora, tenendo presente questa concezione vichiana, e traendo le nostre conseguenze, avremo che, autoconsiderandosi la Religione in quanto forma religiosa come momento essenzialmente dogmatico, essa corrisponderebbe a quel primo periodo in cui gli uomini sentono senza avvertire che è proprio - come abbiam visto - il momento dogmatico dell'attività del pensiero, ed autodistinguendosi l'Arte per le emozioni che nell'artista provocano l'entusiasmo, il dolore ed il loro contrasto, essa corrisponderebbe a quel secondo momento in cui gli uomini avvertiscono con animo perturbato e commosso; infine la Scienza, autodistinguendosi pel suo rigore logico, non è che il momento in cui gli uomini ragionano con mente pura.
Dunque, anche ad ammettere una netta distinzione (che noi criticheremo) fra Religione, Arte e Scienza, noi non potremo parlare di un'opposizione, cioè di un'antitesi che trascenda il pensiero per il fatto che il soggetto di tutte le proposizioni vichiane è sempre «gli uomini», cioè l'Uomo in quanto pensiero, cioè in quanto attività, cioè Storia. E così le antitesi fra Scienza e Religione fra Scienza ed Arte si risolvono nella superiore sintesi della Storia.
Ma la concezione vichiana, che è attività del pensiero, non può accettarsi fuori di questa attività medesima, cioè come formula o, come volgarmente si dice, alla lettera, in quanto il pensiero ha storicamente superato il valore cronologico che il Vico attribuisce ai momenti storici della sua attività, ha sostituito cioè al rapporto di successione, che legava quei momenti, un rapporto di coesistenza. La Religione non è quindi un momento cronologicamente distinto dall'Arte, né l'Arte un momento cronologicamente distinto dalla Scienza; tanto meno poi Religione, Arte e Scienza sono momenti, cioè periodi, della Storia. Solo, partendo da una concezione errata della Storia, e cioè considerando la Storia come una mera successione di periodi, si potrebbe arrivare ad una siffatta eresia non solo religiosa, ma anche artistica e scientifica; si potrebbe cioè arrivare, identificando Religione e forma religiosa, Arte e concezione artistica, Scienza e complesso organico di cognizioni scientifiche contro ogni logica.
Infatti la forma religiosa, cioè la Religione positiva, può essere considerata come periodo storico che l'attività del pensiero e quindi la Storia può superare. La Religione invece considerata come pensiero che, trovando immanente in se stesso il suo limite, si autolimita, non può esser superata, non essendo periodo storico, ma Storia, in quanto è necessario che il pensiero trovi sempre a se stesso dei limiti, e che tenti continuamente di superarli per essere Storia. In tal guisa non è la Religione che costituisce un periodo distinto e cronologicamente anteriore all'Arte e alla Scienza - ma è una forma religiosa che si distingue da una forma artistica o da una forma scientifica, (e la confusione avviene in quanto cosiddetti religiosi, cosiddetti artisti e cosiddetti scienziati, unilateralmente guardando Religione Arte e Scienza, le identificano empiricamente con le forme, con le loro forme): ma se noi osserviamo a fondo il carattere della distinzione, vedremo che, per es., una forma religiosa intanto si distingue da una forma artistica o da una forma scientifica in quanto corrisponde ad una sua forma artistica e ad una sua forma scientifica, in modo che la distinzione si traduce in distinzione tra forme religiose e forme religiose, tra forme artistiche e forme artistiche, tra forme scientifiche e forme scientifiche.
La distinzione avviene, come abbiam detto a proposito dei sistemi filosofici nel campo del pensato, non del pensiero.
Analogamente potremo affermare dell'Arte considerata come espressione dell'entusiasmo, del dolore e del contrasto di essi nell'Artista, poiché il pensiero umano, per la sua libertà, non può esser costretto a camminare sempre sul terreno d'una logica che sarebbe poi una logica formale, e continuamente da questa via è fuorviato dall'intimo contrasto in esso immanente dell'entusiasmo e del dolore. Lo stesso è della Scienza considerata come attività del pensiero che continuamente rompe quei limiti che storicamente il pensiero stesso si è posti.
Da questa nostra argomentazione deriva che necessariamente le premesse del Vico debbono essere integrate nel senso hegeliano della coesistenza dei momenti storici dell'attività del pensiero nell'attività medesima. In tal guisa le antitesi fra Religione, Arte e Scienza sono superate nella sintesi della Storia non già nel senso che esse sono periodi della Storia che nella Storia si assommano ma nel senso che esse sono già Storia, cioè attività del pensiero, cioè Filosofia, Umanità. Sicuro, anche Umanità perché, ammessa la perpetuità della Religione, dell'Arte e della Scienza in quanto attività del pensiero, è ovvio che esse debbano essere identificate con l'Umanità non solo perché esse sono concretizzate storicamente dall'attività umana, ma soprattutto perché l'Uomo (cioè tutti gli uomini) è religioso in quanto è costretto a porre un limite alla sua attività ed a riconoscere la limitatezza delle sue forze, ed anche quando in una professione di ateismo, nega l'esistenza di Dio, non fa che negare alcuni attributi, ma quel Dio di cui ha voluto disfarsi ricompare sotto altre forme e sotto altri nomi (l'Increato, l'Inconoscibile, la Causa-causarum, il Legislatore Supremo, la Ragione considerata come trascendente all'attività del pensiero, etc.); così è anche artista in quanto non può in se sopprimere l'attività fantastica che è un momento essenziale della sua vita, in quanto la vita non può dirsi vissuta senza i perturbamenti e le commozioni generate dall'entusiasmo e dal dolore e dal contrasto di essi, e tanto più è vissuta quanto più intenso è questo contrasto; ed è scienziato in quanto l'uomo che vuol vivere è pur necessario che conosca in qualche modo i rapporti che il pensiero pone tra i fenomeni naturali e che in qualche modo reagisca alle forze che la Natura gli oppone, tentando continuamente di superare il limite che il pensiero ha posto alle sue forze, allo scopo di soddisfare i suoi bisogni pratici.
Dopo tutto quanto abbiam detto, il problema della Storia nella Filosofia contemporanea (ché l'espressione il problema della Storia nell'Idealismo moderno anche se adoperata da cosiddetti filosofi, é erronea, perché attribuisce un valore classificazionista e cronologico ai sistemi, ed è naturale che da siffatti filosofi militanti non possano poi uscire che quei candidati e magari quei vincitori che le relazioni pei concorsi a cattedre di filosofia nelle scuole medie lamentano) resta così spostato, perché non si tratta più di vedere se la Storia sia Arte o Scienza in quanto si è provato proprio il contrario e cioè che l'Arte e la Scienza sono Storia.
Ma, prima di concludere questo argomento, è necessario esaminare la posizione mentale di quei cosiddetti storici cattedratici i quali pretenderebbero dare alla Storia un indirizzo antifilosofico: essi infatti, ricorrendo alla etimologia della parola (historeo=narro), ritengono che il valore della narrazione non può che essere obbiettivo per cui la funzione dello storico deve limitarsi necessariamente ad assodare la verità obiettiva sullo svolgimento dei fatti mediante il cosiddetto metodo critico, prescindendo dall'atto del pensiero che quei fatti determina, ricostruisce e collega.
Intanto è bene tener presente che una siffatta concezione della Storia risponde esattamente all'atteggiamento positivista del pensiero in quanto il positivisrno nega l'esistenza di tutto ciò che trascende il fenomeno (nella Storia, in senso stretto parlando, i fenomeni sono i fatti, gli avvenimenti) e riduce la Filosofia ad una metodologia generale della Scienza: in altri termini una siffatta concezione della Storia è un trasportare dalla Filosofia alla Storia la confessione della incapacità della mente umana a trascendere i fenomeni. Ora, poiché il positivismo, malgrado i difetti comuni a tutti i sistemi filosofici, è - si voglia o non si voglia - un sistema filosofico come gli altri, la concezione antifilosofica della Storia si riduce - senza che i suoi concepitori se ne accorgano - ad una concezione filosofica.
Ma ciò non basta: bisogna anzitutto precisare il significato delle parole «metodo critico» e cioè se la critica debba estendersi ai rapporti di connessione, di causa ed effetto tra i fenomeni, cioè tra gli avvenimenti storici con evidente applicazione delle tavole baconiane - nel qual caso l'oggetto della critica non sono più gli avvenimenti, una i loro rapporti, che sono qualche cosa di posto e non di presupposto dal pensiero; oppure se la critica debba limitarsi ad assodare l'obbiettivo svolgimento degli avvenimenti, prescindendo dai rapporti fra loro, nel qual caso, avremo sempre un'attività del pensiero nella ricostruzione dell'avvenimento in sé coi momenti storici della attività medesima (dogmatico allorché ci si pone davanti all'avvenimento; scettico allorché il dubbio ci spinge ad esaminare le fonti, critico nell'esame di queste, conclusivo o idealista nella ricostruzione).
Anche ammessa dunque la possibilità di una concezione per cui la Storia dovrebbe limitarsi ad una pura catalogazione di fatti, di dati e di nomi, essa non potrebbe mai prescindere dall'attività del pensiero che, attraverso i suoi momenti storici, è giunta a quella catalogazione.
Ma una siffatta concezione della Storia - che del resto ormai è stata abbandonata dagli Storici più importanti e non trova seguito se non in quelli di minor valore - presenta delle gravi difficoltà: in primo luogo, mentre si dichiara critica, è prevalentemente dogmatica in quanto considera l'avvenimento storico come realtà obbiettiva cioè presupposta al pensiero - ed il pensiero dovrebbe limitarsi a contemplare una realtà ad essa preesistente, mentre il pensiero questa realtà, ricostruendosela sulla scorta dei documenti, cioè costruendola originalmente (ossia diversamente dagli altri Storici) se la crea. Questa difficoltà, che abbiamo anche incontrato in una eventuale concezione classificazionista della Scienza, è ancor più grave nella Storia, ove l'oggetto di osservazione non è la Natura inerte, ma è l'uomo stesso che è pensiero ed attività - di guisa che gli avvenimenti storici non possono essere né spiegabili, né giustificabili all'infuori ed al di sopra del pensiero umano che li determina: non è quindi possibile una Storia obbiettiva (ma l'obiettività della Storia non può consistere - come volgarmente s'intende - nella sua esteriorità, bensì nella sua realtà che è pensiero) che cataloghi avvenimenti sopra avvenimenti, prescindendo dall'attività del pensiero che li determina in quanto gli avvenimenti storici non possono trovare la loro spiegazione in se stessi. Infine una Storia così ricostruita in base a dati esatti quanto si vuole, ma prescindendo dai rapporti che legano fra loro questi dati, servirebbe unicamente a soddisfare la curiosità di qualcuno, ma perderebbe ogni interesse umano, ogni importanza storica.
Non v'ha dunque Storia possibile che non presupponga l'attività del pensiero come determinante degli avvenimenti e come ricostruttrice originaria degli avvenimenti stessi: non v'ha, in altri termini, Storia se non identificata colla Filosofia.