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Giuseppe Mannarino
La ragion d'essere della filosofia

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8 - L'Economia

 

Come le altre branche del Sapere, neanche l'Economia riesce a sottrarsi a pregiudizi di natura empirica ed antifilosofici, come nelle altre branche del Sapere il carattere filosofico dell'Economia trova la sua affermazione e la sua spiegazione anche e soprattutto in questi pregiudizi.

Infatti l'affermazione antifilosofica dell'Economia è implicita nelle due correnti che, nel volger dei secoli, si sono contrastato il campo al riguardo: la corrente mistica che, scindendo l'attività umana in attività superiori che dovrebbero riguardare semplicemente il pensiero, ed attività inferiori che riguarderebbero soltanto il corpo umano, tende a svalutare completamente il fatto economico, relegandolo tra le seconde e considerandolo estraneo alle prime attività; la corrente deterministica che, partendo dalla stessa netta separazione fra le varie attività umane, mira a sopravvalutare quel fatto, ritenendo che la possibilità o l'impossibilità da parte dell'uomo di soddisfare i suoi bisogni economici sia l'unico, od almeno il principale, fattore determinante di ogni altra attività. Naturalmente questa corrente alle cosiddette attività dei nomi diversi da quelli che ad esse la prima, e chiama attività necessarie quelle inferiori ed accessorie o di lusso quelle superiori.

L'opposizione tra le due correnti e, come ognun vede, semplicemente formale: sostanzialmente noi non vediamo che una perfetta identità, sia nella premessa che esse non pongono, ma presuppongono all'attività economica (in quanto nessuno l'ha mai provata) che cioè vi siano diverse attività nell'uomo e che queste attività siano estranee l'una alle altre (ché altrimenti la loro diversità non si capirebbe in che consista), sia nella classifica di queste attività di cui - come abbiam visto - solo i nomi sono cambiati, sia nella conclusione per cui si attribuisce all'Economia un carattere antirazionale ed antifilosofico, in quanto l'Economia verrebbe ad essere relegata fra le attività inferiori o necessarie, a seconda che noi partiamo dalla corrente mistica o da quella deterministica, e la Filosofia tra quelle superiori o accessorie o di lusso: sarebbero cioè separate nettamente fra di loro da una rigida classificazione che non ammette punti di contatto come avviene nelle caste brahmine.

 

Cominceremo coll'esaminare la premessa: è, in primo luogo, possibile una distinzione netta, fatta anche sul terreno meramente empirico, fra quelle che impropriamente si chiamano attività umane e non sono, come vedremo, che forme dell'attività medesima? E su qual criterio si fonderebbe siffatta distinzione?

A noi pare che a questa domanda non sia mai stata data una risposta in armonia con le suddette correnti, o almeno che non si sia mai risposto in maniera esauriente; e non si può esaurientemente rispondere perché non basta distinguere i bisogni umani in immediati e mediati per aver dimostrato che vi e un'attività inferiore o necessaria che mira al soddisfacimento dei primi ed un'attività superiore o accessoria che si preoccupa di soddisfare ai secondi, in quanto possono esservi dei bisogni immediati dal cui soddisfacimento esula ogni principio utilitario e viceversa dei bisogni mediati il cui soddisfacimento riguarda direttamente la forma economica dell'attività umana. E nemmeno può adottarsi come criterio valutativo di questa suddetta distinzione lo stesso principio dell'utilità, perché, in questo caso, dovrebbe ritenersi utile soltanto ciò che è prodotto della pretesa attività inferiore o necessaria, mentre il prodotto della attività superiore o accessoria dovrebbe essere ritenuto qualche cosa di completamente estraneo all'utile stesso.

Abbiamo esaminato due soli criteri in base a cui potrebbe giustificarsi la distinzione delle attività, ed abbiamo visto come non possano reggere, e così non può reggere nessun altro che miri a giustificare ciò che non è giustificabile: ché infatti «distinguere» significa attribuire caratteri di autonomia ai distinti e quindi definirli. Ora è qui il nodo della questione: se cioè le cosiddette attività umane abbiano effettivamente i caratteri dell'autonomia, potendo ciascuna essere considerata indipendentemente dalle altre, e quindi se possano essere definite.

Poiché l'attività tende sempre a soddisfare dei bisogni - ché altrimenti attività non potremmo avere se non sentissimo il bisogno di agire - è necessario cominciare ad esaminare la natura dei bisogni stessi: ora tutti i nostri bisogni, anche quelli della nostra vita quotidiana, si presentano a noi con una natura complessa, tale cioè che richiede, per il reale soddisfacimento, non l'applicazione di una sola forma della nostra attività, ma l'impiego da parte nostra di tutte le forme dell'attività stessa, Così, per es., per soddisfare a quello che sembra il più semplice dei nostri bisogni economici quotidiani, l'alimentazione, non basta la semplice forma economica della nostra attività consistente nelle produzione, nella distribuzione, nel consumo; intervengono invece tutte le altre forme come la forma etica in quanto non sarebbe all'uomo possibile procacciarsi da vivere se egli prescindesse completamente dai vincoli morali che lo legano alla Società concretamente realizzata nella famiglia, nel Comune, nello Stato; la forma giuridica in quanto gli alimenti non possono procacciarsi che in armonia con quella che è la coscienza giuridica attuale della Società in cui vive, mentre, se egli prescindesse da questa coscienza, non troverebbe che lo arbitrio come un ostacolo formidabile al soddisfacimento medesimo; la forma scientifica in quanto gli alimenti che l'uomo consuma sono stati prima prodotti in base a criteri di razionalità, che l'uomo stesso ha applicato perché la produzione si adeguasse al consumo nell'attualità della Storia e non si determinasse uno squilibrio tra l'una e l'altro, squilibrio che determinerebbe a sua volta la crisi di sottoproduzione o di sovrapproduzione. E quel che avviene per quello che è il più elementare dei nostri bisogni si verifica a maggior ragione per tutti gli altri; ma vi è qualche cosa di più: il modo dell'intervento delle varie forme di attività nel soddisfacimento dei bisogni in quanto queste attività, da quel che abbiamo detto, non risultano come separate ed alleate causalmente, ma come intimamente collegate e coordinate. Ciò presuppone evidentemente una attività superiore che le colleghi e le coordini e che perciò è l'unica attività umana, cioè l'attività del pensiero, di cui le pretese attività superiori ed inferiori, accessorie o necessarie non sono che semplicemente delle forme come ci proponevamo fin dal principio di dimostrare.

 

Veniamo alla questione della classifica delle attività in superiori ed inferiori oppure in accessorie e necessarie: ripetiamo che il criterio classificazionista si spiega e si giustifica nel campo del pensato che è il prodotto dell'attività del pensiero o di una determinata forma di esso - posto che, contrariamente a quel che provammo, possa agire una forma distinta - ma non può assolutamente giustificarsi nel campo del pensiero che e l'attività producente. Il pensiero cioè l'attività, classifica ma non è classificato, cataloga, ma non è catalogato, a meno che non si classifichi e si cataloghi da se stesso (ed in questo caso il classificato ed il catalogato distinguendosi dal classificante e dal catalogante cesserebbe di essere pensiero per divenire pensato, cesserebbe di essere attività per divenire prodotto dell'attività). Dunque nessuna classificazione delle attività, neanche delle forme dell'unica attività è possibile; tanto più è assurda quella implicita o esplicita, sia nella corrente mistica che in quella deterministica. Ammettendo infatti con la prima che la virtù consista nell'astrarre completamente da quella che è la vita empirica per concentrarsi nella contemplazione di ciò che é o che crediamo razionale, concependolo naturalmente presupposto alla nostra attività intellettiva e volitiva, è logico che l'uomo perderebbe la visuale dell'attività che è pure attività umana, cioè cesserebbe di essere uomo perché cesserebbe di realizzarsi nella concretezza della Storia da cui si astrarrebbe nel tempo stesso che la fa; cesserebbe anche di esser virtuoso non operando concretamente per realizzare la virtù. Ammettendo d'altro canto che la base del vivere sociale sia il benessere e che la virtù non sia che una derivazione, accessoria per giunta, di esso, si arriverebbe all'altra assurdità logica di sostituire nella concezione sociale della vita l'uomo-empirico all'uomo-razionale, l'individuo all'umanità, dimenticando che il primo è un momento della Storia ed è transeunte, la seconda è la Storia ed è eterna; perché si ha un bel distinguere - come nella scuola inglese - fra benessere individuale e benessere sociale, ricorrendo alle tavole algebriche dell'Etica del Mill e dello Spencer, ma in realtà il benessere preso come base del vivere sociale non può essere che il benessere individuale in quanto, se noi lo consideriamo prescindendo dall'attività intellettiva e volitiva del pensiero che lo determina, non possiamo assolutamente concepire come l'individuo possa sacrificare il proprio interesse a quello generale, a meno che non si proponga di ottenerne maggiori vantaggi.

Ciò provato, ci pare perfettamente inutile insistere sulla terza questione, sull'antitesi cioè tra la Filosofia e l'Economia, che cade, cedendo il luogo alla identificazione, allorché si è dimostrato che la forma puramente speculativa e la forma economica dell'attività del pensiero umano non son nulla di diverso e di distinto, ma sono la stessa cosa..

Ora, tornando alle correnti empiriche dell'Economia, vi è ancora un'altra cosa da notare, e cioè che esse, prescindendo dall'unica attività umana che, come abbiam visto, collega e coordina le sue forme, finiscono col prescindere anche dalla stessa forma economica dell'attività medesima. Già si è visto che esse partono necessariamente da una premessa presupposta all'attività e non posta da essa, cioè da una premessa non dimostrata e non dimostrabile. Lo stesso avviene di tutte le leggi economiche che noi consideriamo empiricamente cioè presupposte all'unica attività di cui parlammo o, meglio ancora, che consideriamo come pensato.

Si suole, per esempio, definire l'Economia come la Scienza che insegna a raggiungere il massimo risultato, impiegando il minimo mezzo, ma l'accettazione di una definizione siffatta implicherebbe l'accettazione delle seguenti condizioni: a) che l'Economia sia una Scienza fra le Scienze; b) che in essa non si studi altro che i rapporti fra i risultati raggiunti ed i mezzi impiegati per raggiungerli; c) che questi rapporti siano costanti in tutti i tempi ed in tutti i luoghi; d) che lo studio di questi rapporti sia estraneo a tutte le altre Scienze e quindi sia il carattere distintivo, il carattere cioè che definisce l'Economia.

Vediamo se queste condizioni sono accettabili. In primo luogo l'Economia è Scienza in quanto - come si è veduto - presuppone nel suo determinarsi l'intervento della forma scientifica dell'attività umana: ciò è indubitato ed indubitabile pel fatto che tanto la produzione quanto il consumo quanto ancora il rapporto tra produzione e consumo sono regolati scientificamente, cioè con l'applicazione della Scienza in tutte le sue branche. È ovvio, anche a guardar le cose empiricamente, che l'invenzione di una nuova macchina, mentre da un lato è creazione di ricchezza, dall'altro accresce innegabilmente il fenomeno della disoccupazione, al cui male non può rimediarsi se non coll'adozione di altri criteri scientifici; è anche ovvio che l'applicazione di criteri scientifici alle forme della produzione, specie a quella agricola ed a quella industriale, ha trasformato l'Economia mondiale, sostituendo al feudalesimo ed al corporativismo medioevale il capitalismo agrario ed industriale. Ma se noi guardiamo da questo punto di vista l'aspetto scientifico dell'Economia, dovremo concludere che tutto sia Scienza in quanto tutto presuppone nel suo determinarsi l'intervento della forma scientifica dell'attività, e non sarebbe esclusa neanche l'Arte cui la Scienza allestisce l'inchiostro, la carta, i suoni o i marmi che sono i mezzi della sua determinazione.

Quello che invece qui si contesta è che l'Economia sia una scienza, come volgarmente s'intende - cioè nel significato empirico della parola - cioè nella sua organizzazione: per poter affermare ciò bisognerebbe partire da un altro presupposto indimostrato ed indimostrabile, e cioè che le leggi in cui l'Economia si organizza siano qualche cosa di superiore all'attività volitiva ed intellettiva dell'uomo, ed invece quelle leggi sono create dalla medesima attività, non solo nel senso dell'enunciazione, vale a dire nel senso che l'uomo l'ha ricavate dalla realtà esterna, ma anche, e soprattutto, nel senso che l'uomo, con la sua attività, ha determinato quelle condizioni di vita da cui poi ha ricavate le leggi. Ed allora l'Economia, sotto questo aspetto, non può essere considerata come Scienza, ma piuttosto come Storia e come Diritto.

I problemi fondamentali dell'Economia non sono diversi da quelli della Storia e da quelli del Diritto, oltre che per il fatto che essa si svolge e si concretizza storicamente anche perché non può prescindere dallo Stato considerato come coscienza giuridica e come coscienza storica: non si può concepire se non empiricamente una Economia che si svolga indipendentemente dallo Stato, e perciò tutte le teorie che concepiscono una netta distinzione fra i due termini si risolvono nelle correnti empiriche.

La cosiddetta economia liberale, per es., si risolve nei suoi termini contraddittori allorché pone come suo presupposto la neutralità dello Stato nei problemi della produzione o del consumo, in quanto considera poi produttori e consumatori nei limiti dell'attività dello Stato stesso nella loro qualità di cittadini - come se le due attività potessero scindersi, e come se fosse possibile realizzare i fini dello Stato, prescindendo dall'attività economica dei singoli e delle classi.

In secondo luogo non è possibile che l'Economia studi i rapporti tra i risultati raggiunti ed i mezzi impiegati per raggiungerli perché questi rapporti non sono e non possono esser mai costanti, come la definizione presuppone. L'importanza del risultato è la conseguenza non solo degli sforzi impiegati, ma soprattutto dell'attualità storica in cui il primo si ottiene ed i secondi si impiegano: ora é appunto questa attualità che non può in alcun modo calcolarsi nella determinazione dei suddetti rapporti, in quanto essa non è che attività del pensiero irriducibile assolutamente a formule algebriche ed aritmetiche.

Ora, non essendo questi rapporti costanti, ne viene di conseguenza che solamente possano studiarsi i rapporti fra mezzi già impiegati e risultati già raggiunti, e non tra mezzi che si dovrebbero impiegare e risultati che si potrebbero raggiungere; ma, in questo caso, il compito dell'Economia sarebbe qualche cosa di inutile perché il suo valore dovrebbe consistere invece nel fornire i criteri di porre quei rapporti per poter determinare l'attività economica avvenire. Compito dell'Economia è in altri termini quello di insegnare a raggiungere il massimo risultato applicando il minimo sforzo, non già di valutare i risultati passati (che non possono più verificarsi per la provata incostanza dei rapporti) in base ai risultati impiegati, nel qual caso lo studio della Economia sarebbe... uno sforzo sproporzionato ai risultati che si prefigge.

Pure questi rapporti avvenire si possono conoscere attraverso quelli passati, ma soltanto inserendoli nella concretezza attuale, nella concretezza storica, in quanto c'è nella loro determinazione una cosa costante, l'attività del pensiero che ai concretizza storicamente; ma in questo caso lo studio dell'Economia non si limita ai rapporti suddetti, ma è necessario che penetri nell'attualità storica in quanto attività del pensiero, che i detti rapporti pone e non presuppone.

Infine non è possibile che lo studio di questi rapporti, sia pure considerandoli posti e non presupposti dall'attività del pensiero, sia considerato come il carattere distintivo e quindi definitivo dell'Economia, perché si dovrebbe presupporre che nelle altre scienze e nelle altre forme di attività si possano concepire dei mezzi inadeguati al risultato che si propone di raggiungere colui che li adopera, e ciò non solo contro ogni criterio logico, ma perfino contro il più elementare senso comune.

Così abbiamo affermato il carattere universale dell'Economia, universale perché non considera la forma economica dell'attività umana come pertinente all'uomo individualmente ed empiricamente preso, ma all'uomo nella sua universalità. in quanto i bisogni umani non possono esser soddisfatti prescindendo dall'attualità sociale e storica in cui essi si manifestano; l'attività in quanto senza di essa i bisogni stessi non potrebbero né porsi, né esser soddisfatti; il pensiero in quanto è in esso che si pongono i rapporti fra mezzi e risultati per l'avvenire in base alla coordinazione del principio di causalità con quello di finalità che son leggi del pensiero in quanto dal pensiero son poste. Non v'ha dunque dubbio che sul terreno positivo come su quello negativo si debba concludere per l'identità di Economia e Filosofia.

 




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