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Paolo Mantegazza
Un giorno a Madera

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  • RICORDI A MIA FIGLIA EMMA
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RICORDI A MIA FIGLIA EMMA

 

Mente per la gola, bestemmia contro Dio e contro la nostra dignità chi nega all'uomo il libero arbitrio.

 

Tutte le convinzioni, tutte le speranze d'un avvenire immortale sono sante dinanzi alla ragione, quando tendono ad elevare l'uomo in una sfera di sentimenti che lo fanno grande anche nella vita terrena; ma è eretico contro Dio e contro la ragione chi nega all'uomo la libertà del pensiero e dell'azione, chi gli rifiuta il santo battesimo del libero arbitrio.

 

Non v'ha forza di passione, non fascino d'amore, non turbine di delirio che possa far piegare al male che deve e vuol fare il proprio dovere.

 

Al disopra dell'uomo sta il dovere: al disopra del dovere non c'è forse che Dio.

 

In tutte le età, in tutte le condizioni della vita, presso tutti i popoli e in tutti i tempi, al disopra di ogni legge e di ogni religione sta primissimo il dovere di non far male ad anima viva.

 

Generare figliuoli malati è fare un grandissimo male, uno dei maggiori forse, alle creature che più caldamente amiamo, alla carne della nostra carne, al sangue del nostro sangue.

 

Il generare figliuoli malati per propria colpa è peggio che uccidere un uomo nell'impeto della passione: è versare il veleno impunemente, proditoriamente nella coppa di una persona amata.

 

Esser malati e voler avere figliuoli è egoismo brutale, è delitto; è seminare rimorsi per tutta la vita.

 

Il male fatto da chi genera figliuoli malati non finisce quasi mai nella prima vittima: la malattia, il veleno si diffondono spesso in due, in tre, in più generazioni, seminando la debolezza, il dolore, la maledizione contro la vita e chi ce l'ha data.

 

Chi è malato e vuole aver figliuoli è pessimo padre, perché a bere ad essi il veleno: è pessimo cittadino, perché alla nazione cattivi cittadini: è pessimo uomo, perché rovina il primo patrimonio dell'umana famiglia: la salute, la forza.

 

Mettersi all'ombra di un fatalismo musulmano è giuocare tutta la propria fortuna sopra un tiro di dadi, è giuocare ad una lotteria la propria casa, la propria terra, tutto quanto si possiede.

 

La felicità è dei forti, la vittoria è per chi ragiona; e nessuna ragione al mondo può giustificare l'epilettico, il tisico, il demente, che vogliono col matrimonio perpetuare in una razza l'epilessia, la tubercolosi, la demenza.

 

Mettersi all'ombra di leggi ignoranti e brutali per giustificare il proprio errore è rinunciare per sempre ad essere qualche cosa più del volgo che mangia, rumina e dorme.

 

L'amore è la più santa gioia della vita; ma volete voi farne un crogiuolo in cui si fonde un veleno?

 

L'amore è la prima benedizione dell'uomo, ma volete voi che generi una bestemmia?

 

L'amore è la fiaccola che riaccende la favilla della vita: volete voi farne una tela funebre che guidi alla fossa?

 

Volete voi, tossicoloso e morente, accompagnare al cimitero figliuoli morti nel primo sorriso della fanciullezza?

 

Volete voi leggere sulle rughe precoci del vostro figliuolo giovinetto una maledizione contro il padre, contro la madre che lo ha generato?

 

Nulla può sostituirsi alla salute perduta; non la ricchezza, non l'educazione, non la scienza, non la religione.

 

Vestite di seta, coprite d'oro un malato, mettetelo in un cocchio dorato, portatelo nel tumulto d'una pazza festa e ditegli che sorrida.

 

Vestite un cadavere d'oro e di gemme, mettetegli in mano lo scettro del potere e ditegli che goda.

 

La vita malata, debole, zoppicante, medicata sempre e sempre fasciata, è un assenzio che non v'ha miele che possa raddolcire, è dolore per cui non v'ha conforto; è fatica per cui non v'ha altro riposo che quello della fossa.

 

Mia Emma, mia cara Emma, tu m'hai sempre amato, tu hai ardentemente amato tuo padre: ma io, dopo aver perduto tanti figliuoli e dopo averti veduta morente più d'una volta, ho maledetto me stesso e il mio peccato e la mia ignoranza e l'ignoranza dei medici, che avevano fatto versare nella mia famiglia quel veleno di cui io dovrò morire.

 

Nato malato, avrei patito io solo; solo, avrei potuto render utili agli amici e al paese quegli anni di vita sofferente che pur la natura m'aveva concesso.

 

Io invece ho maledetto l'ora in cui son nato; ho raddoppiato, ho moltiplicato cento volte il mio dolore col dolore dei miei figliuoli; ho cambiato la mia casa in un cimitero.

 

La mia ignoranza ora non può giustificare più alcuno; la scienza moderna lo ha detto, lo ha proclamato ad altissima voce, che per fondare una famiglia conviene esser forti; ha dimostrato che i tisici generano tisici, gli epilettici epilettici, che una delle leggi più inesorabili è quella della eredità morbosa.

 

Se per rara fortuna, se con lunghi stenti riuscite ad avere alcuni figli sani, di certo, fra essi, alcuno sarà maledetto; e il padre malato e la madre tubercolosa, leggeranno in quel volto consacrato al dolore una condanna vivente del proprio peccato.

 

Emma, mia buona Emma, tu sei stata malata tutta la vita, tu, mia ultima figliuola; ho fatto prodigi di igiene per salvarti e credo che tu vivrai. Dio non volle ch'io fossi l'assassino di tutti i miei figli.

 

Ma la tua vita è fragile come canna nata sola e sottile in mezzo al deserto; chi volesse appoggiarsi sovr'essa la schianterebbe.

 

Non prender marito mai, mia figliuola; divenendo madre, tu ne morresti o avresti figli condannati a morire nel primo giubilo della fanciullezza o nella primavera della giovinezza. Il veleno della tisi è troppo incarnato nel nostro sangue, perché s'abbia a disperdere in una nuova generazione.

 

In noi due, ultimi superstiti di tanti cari scomparsi, deve spegnersi il veleno e cancellarsi il peccato.

 

Giurami, mia Emma, che vivrai e morrai sola. Che tu sia l'espiatrice di tuo padre, l'angelo redentore del suo peccato.

 

Il testamento, l'eredità di tuo padre è un giuramento di dolore; l'ultima parola che il padre deve dire alla creatura sua, a colei che ha amato sopra ogni altra cosa in questo mondo, è una sentenza di dolore; è un grido che dice: - Soffri! soffri finché vivi!

 

È questa la più crudele punizione del mio peccato. Dopo aver veduto morire tutti i miei figliuoli; io devo dire all'ultimo che mi è rimasto: - Soffri, e soffri per colpa di tuo padre.

 

Non maledire tuo padre. Quand'egli era giovine, quando diede la mano di sposo a tua madre, i medici erano manipolatori brutali di lancette e di calomelano; essi non sapevano farsi sacerdoti della forza umana, custodi della salute dei sani. Essi non sapevano dire al tisico, all'epilettico, all'uomo debole: - Questa tua vita tu non l'hai a dare ad anima viva; meglio sarebbe piantare un pugnale nel cuore del tuo più fido amico.

 

Tuo padre ti lasciò in eredità un dovere, un terribile dovere da compiere: vivere senza amare: essere donna senz'esser madre: ma io muoio tranquillo, perché il giuramento di mia figlia non sarà violato ed ella farà tutto il bene che il padre non ha potuto compiere.

 

Non fare il male quando le passioni più irresistibili ci trascinano, quando le leggi umane ce lo consentono, quando il suffragio universale non ci condanna, è opera grande; è eroismo maggiore di ogni eroismo che si spieghi sui campi insanguinati delle battaglie.

 

Ma finché ogni uomo non sarà capace di adempiere a questo dovere, l'umanità non avrà raggiunto il tipo della sua perfezione ideale.

 

Il tuo sentiero, mia Emma, corre sull'orlo di un abisso, ma tu puoi cogliere qualche fiore su quella via a cui ti condanna tuo padre. Tu hai una missione in questo mondo, tu hai a raggiungere un'erta a cui pochi arrivano; tu hai a farti vestale d'un fuoco santo che finora per propria fortuna gli uomini non lasciarono spegnere ancora, il fuoco sacro del dovere.

 

Chi si sacrifica al proprio dovere, vive in un'atmosfera dove forse non brilla il sole, ma dove il cielo è sempre sereno.

 

Chi compie il proprio dovere vive in un cielo eternamente sereno, in una calma che può essere malinconica, ma che impronta ogni atto della vita in una sublime dignità.

 

L'uomo servo del proprio dovere è più che un uomo, è un principio: è un Dio ideale, eppur vivente, di quanto ha di più bello, di più grande la natura umana.

 

I mediocri, i deboli, tutti passano riverenti e chinano il capo dinanzi alla statua del dovere; tutti ne risentono un'influenza salutare che ci innalza e ci fa davvero immortali; provano i brividi che sente chi cammina solitario in un tempio smisurato e muto.

 

La creatura che si sacrifica al proprio dovere è il vero santo dell'umanità e chi ne risente il contatto o ne aspira l'alito, rimane santificato.

 

Tu, mia Emma, sarai una di queste sante; lo sarai di certo, lo giuro io per te. Questa sicurezza beata mi farà sorridere sul letto di morte.

 

 

 




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