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Paolo Mantegazza
Un giorno a Madera

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  • RICORDI A MIA FIGLIA EMMA
      • 2 - Emma a William - Londra, 5 luglio 18...
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2 - Emma a William - Londra, 5 luglio 18...

 

Ieri mattina mi alzai piena di coraggio. Aveva dormito poco: durante il sonno non vedeva che medici e vescicanti; ed eran tutti dottori accigliati, con grandi parrucche e col muso ingrugnito. Sognava d'avermeli tutti d'attorno, mentre era seduta e quasi coricata sopra un letticciuolo. Io mi rannicchiava sotto le coltri tutta impaurita, ma essi me le strappavano con impazienza e con furore, e si mettevano a picchiare e a picchiare forte, sul mio povero seno. Io voleva far violenza a quei mostri, ma essi mi afferravano per le braccia e me le tenevano inchiodate sul letto. Voleva gridare, voleva chiamare in soccorso la mia mamma, il mio babbo, ma non trovava voce per gridare, né muscoli per muovermi; e sentiva il picchio crudele di tanti martelli coi quali quei dottori accigliati facevano rimbombare le mie costole. Io credeva di morire: raccoglieva tutte le mie forze e gettava un grido così forte da far svegliare la cameriera che dormiva nella camera vicina. Il mio grido aveva svegliato anche la tua Emma, ed io sentiva battere forte forte il mio cuore, quasi volesse escire dal petto e mi trovava tutta coperta di sudore.

Durava fatica a riprendere il sonno, e appena chiudeva le palpebre, quei dottori e quei martelli mi ritornavano dinanzi sempre più terribili, sicché non riuscii a calmarmi che dopo averti promesso che alla mattina avrei appagato il tuo desiderio e mi sarei recata a visitare i tre medici più illustri di Londra.

E con questo fermo proposito mia alzai, e colla mia cameriera presi una vettura, dicendo al cocchiere di condurci dal dottor B...

Egli abita all'altro estremo della città e il cammino mi pareva eterno. Mi impazientiva coi cavalli e con me stessa; avrei voluto non averti data la mia parola e giungeva quasi all'ipocrisia di persuadermi che una promessa fatta fra i terrori di un sogno non poteva obbligarmi a mantenerla e non aveva alcun valore morale. Allora mi pareva che il vecchio medico di mio padre mi avrebbe messo il broncio, perché avessi consultato altri dottori fuori di lui, e credeva vedere il volto accigliato di mio padre che mi ripeteva col piglio della sua collera più furiosa quelle parole che tante volte aveva udito dal suo labbro:

- Cambiate pure i servi, le cameriere, il vestito, i cavalli, la casa, ma non cambiate mai il vostro medico!

Ma tu, mio William, puoi esser superbo, perché il solo ricordarti faceva mettere in fuga il vecchio dottore e fin l'ombra incollerita di mio padre; ed io non pensava che alla mia promessa. Che cosa è mai un uomo, che non ha sacra la sua parola?

- È un vile ed un briccone, perché non ha neppure il triste coraggio di tanti altri, i quali, per commettere una colpa, hanno bisogno di sfidare codici e tribunali!

Anche queste parole erano di mio padre, e questa volta, tu andavi d'accordo con lui ed io abbracciava in una volta sola, con un solo amplesso, due ombre carissime, forse egualmente care.

Tu che indovini sempre il mio pensiero, prima che io l'abbia pensato; tu che hai sentito sempre le mie stesse sensazioni, i miei stessi sentimenti, le mie stesse collere, devi di certo aver provato quella santa delizia che si gode, quando nell'anima vengono ad incontrarsi da parti lontane due affetti forti entrambi, ma di natura diversa, e fondendosi insieme, formano una sola delizia, una soddisfazione completa, calda come il sole, calda come il cielo. Ebbene, perdona alla tua Emma, che ti scrive con parole orientali sotto la nebbia inglese; io, in quel momento, vedendo d'accordo il mio William e mio padre, provava una di quelle armonie voluttuose.

Intanto s'arrivava alla porta del dottore: egli non era in casa, e il suo servo, che aveva un piglio che misurava esattamente la fama e la ricchezza del suo padrone, mi diceva che il dottor B. non riceveva che il martedì e il sabato dal tocco alle quattro. Per mia vergogna ti devo confessare che fui felicissima di quella risposta e, scendendo in fretta in fretta dalla scala, me ne ritornava a casa ben più lieta di quando ne era partita. Aveva ancora ventiquattro ore dinnanzi a me e la colpa non era mia...

Sono dunque ritornata quest'oggi dal dottor B. e appena riavuta dalla profonda emozione della mia visita, ti scrivo perché tu abbia a volere un po' di bene alla tua Emma, che per amor tuo va a consultare questi ruvidi e superbi sacerdoti della dea Igea, che probabilmente avrà avuto viscere più tenere di loro.

Il dottor B. è un vero gigante: ed io non so come i suoi muscoli tremendi e il suo ventre gigantesco possano rimanere chiusi in quei suoi abiti neri e in quella sua cravatta bianca. Guardando con terrore, quando gesticolava e si dimenava nel suo seggiolone, mi pareva di vedere rotte ad ogni momento quelle fragili dighe che frenavano e chiudevano tanta vita in movimento, e la mia esaltazione mi faceva vedere un'alluvione di carne o di adipe che si sarebbe rovesciata da un minuto all'altro sullo splendido tappeto di quel gabinetto.

Il dottor B. parlava con una voce così forte che a me pareva un grido selvaggio e appassionato; e affermava tutto con tal convinzione profonda e un tal dispotismo di parole che mi sembrava impossibile interromperlo; più impossibile ancora il contraddirlo. In alcuni momenti mi pareva che tutto quanto diceva non potesse essere che la pura verità e che quell'uomo non dovesse conoscere il dubbio neppur di nome. Se il Cristo disse ad un paralitico:

- Prendi il tuo letto e portalo a casa tua! - deve averlo guardato cogli stessi occhi coi quali il dottor B. mi guardava; deve avergli parlato collo stesso accento con cui egli mi dirigeva le sue parole simili alla folgore e al tuono.

Per risparmiarmi l'inutile tortura dell'esame del mio povero torace, gli esposi brevemente come io fossi la figlia di un padre morto di tisi, come avessi perduti i miei fratelli della stessa malattia, e io stessa andassi soggetta a bronchiti ostinate e a sputo sanguigno. Per quanto mi studiassi di non dire che le parole necessarie per essere capita, egli pareva conoscerle prima che io le avessi pronunciate, e mi interrompeva ad ogni momento con dei hum, hum, hum, e coi segni di una viva impazienza.

Dicendogli di non volere essere esaminata, perché già esplorata e torturata da mille esplorazioni mediche, gli porsi quella sentenza che fu sottoscritta da parecchi medici chiamati una volta in consulto da mio padre; sentenza che io ormai ho imparato a memoria, senza capirla...

«Tubercolosi ereditaria; mutezza della regione sottoclavicolare destra; mormorìo vescicolare molto debole in tutto il torace ma più a destra e in alto; aspirazione prolungata, aspra ed interrotta. Aderenze pleuritiche dai due lati del torace; organi digerenti in ottime condizioni

Porgendogli quello scritto misterioso e crudele, come una sentenza di morte scritta in lingua straniera, esprimeva al dottor B. il desiderio di sapere, se col cambiamento di clima io avrei potuto migliorare la mia salute in modo da scongiurare affatto ogni pericolo per l'avvenire... e qui incominciava a farmi rossa rossa, perché dovevo pronunciare le parole più difficili, quelle appunto per le quali tu dovevi imposto di consultare i medici più illustri di Londra; e ti assicuro che ci sarei riuscita, se il corpulento dottore, senza capire né il mio rossore, né la mia esitazione, non mi avesse interrotta bruscamente, dandomi un urto doloroso all'anima, che tu capirai certamente, mio buon William.

Dopo quell'urto, dopo quell'interruzione io mi sentii completamente isolata dal medico che mi guardava e mi parlava; e le mie orecchie ricevevano meccanicamente il suono delle sue parole, senza che mi facessero dolore o gioia, senza che m'ispirassero confidenza o paura. Ridi pure della tua Emma, che si atteggia a giudice di uno degli oracoli della medicina britannica, ma a me pare che quando un medico non intende il suo ammalato, non possa curarlo e non posso guarirlo. Il dottor B. non sapeva indovinar nulla di quanto tacevo, non sapeva risparmiarmi, colla sua previdenza nessuna parola difficile a dirsi, dunque non capiva la mia costituzione sensitiva e malaticcia; dunque i suoi consigli per me erano lettera morta.

Da quel momento io lo ascoltai soltanto per dovere di cortesia e per andare fino alla fine di quanto mi era proposta di fare.

- Ah, voi volete cambiar clima: voi volete passeggiare a Nizza o a Pisa, a Pau o a Mentone; volete visitare i Pirenei o le coste di Hyères; fors'anche osate pensare a Madera e all'Egitto, all'altipiano dell'Asia o al cerro di Pazco nel Perù? Ma queste sono follie di moda, son credute dai malati e insegnate dai medici... Oh! è molto comodo davvero il mandare lontano il proprio paziente, perché se ne muoia senza nostra colpa e lungi dagli occhi dei nostri clienti. È comodo davvero!... Ma, mia signora, ci sono tubercolosi a Pisa e nell'Egitto, e ve ne sono molti a Madera e a Nizza. Questi medici ignoranti che consigliano ai tossicolosi la emigrazione, non hanno fede nella loro arte; e chi non ha fede in sé stesso, nella scienza che ha studiato, nell'arte che professa, è un imbecille o un impostore. Noi abbiamo nel nostro portafogli e nelle nostre farmacie dei mezzi cento volte più potenti della tiepida brezza del Mediterraneo o dell'Oceano. Bella sapienza davvero! E voi, suppongo, non sapete una sillaba di medicina, ma potete ridere alla barba di questi medici atmosferici, climaterici (chiamateli come volete), senza saper di medicina; perché fra questi climi che consigliano ai tisici, ve n'ha di secchi e ve n'ha di umidi; vi son paesi altissimi ed altri sulla costa del mare; vi son climi caldi e freddi! Dio buono! Quanta ignoranza, quanto ciarlatanismo!...

- Io, vedete, con una stufa e un termometro vi faccio nella vostra camera tutti i climi del mondo, e con un po' di carbon fossile e dell'acqua vi fabbrico Nizza e Madera in Oxford-Street o in Piccadilly senza che abbiate bisogno di escire di casa vostra, senza bisogno di lasciare i vostri tappeti, i vostri fiori, il vostro canarino. Ma dovete avere poi un pochino di pazienza; insieme ai tappeti e ai fiori e al canto del vostro uccellino metto anche le mignatte e i vescicanti e i cauterii e la pomata dell'Autenrieth e l'olio di merluzzo, oh, sì, io vi tratto crudelmente, ma con una crudeltà pietosa; tormenti alla pelle, medicine ripugnanti al ventricolo; io vi curo colla fame e col dolore... colla prigionia e colla paura...

E il dottor B. pareva esaltarsi nella sua feroce eloquenza, ma il suo accento era così pieno di fede, che io mi sentiva costretta ad ascoltarlo. Egli godeva assai nel passare in rassegna le armi tremende delle quali egli disponeva, e si agitava nel suo seggiolone, e sogghignava, e faceva tremare e muovere ogni cosa intorno a sé; e mi pareva, in una volta sola, un mastodonte e un carnefice...

- Ma cara mia signora, la cura d'una malattia è una battaglia fra il malato e il medico; è una lotta della natura colla scienza, e la vittoria è del più forte e del più coraggioso; e vedete, (e qui senza volerlo, si rimboccava le maniche dell'abito quasi volesse disporsi ad una partita di boxing)... a me non mancano né il coraggio né la forza. I miei colleghi dicono di me che sono un arrabbiato vitalista, che son divenuto cogli anni una caricatura di me stesso, ma io trovo di avere ogni giorno una convinzione più ferma nella mia dottrina e l'esprimo forse con un accento troppo forte, con parole troppo ardenti... Ridete pure, mi hanno chiamato l'Ulisse della medicina inglese, perché sostengo che anche nelle Indie convien salassare e fieramente i malati di febbri tropicali; perché invece di occuparmi di una pulce che pizzica la nostra pelle, invece di perdermi a misurare la grandezza di un tubercolo o di segnare le frontiere esatte del fegato, vado diritto alla vita e la palpo e le domando ragione del suo disordine e dei suoi turbamenti...

Il dottor B. di certo non ha usato sopra di sé tutta quella batteria di mignatte, di cauteri e di vescicanti che voleva infliggermi, perché egli sembrava volere scoppiare ad ogni momento, nei suoi abiti troppo stretti, e parlandomi, sudava assai e spesso doveva asciugarsi il sudore della fronte, ed io era così turbata che mi pareva che quel sudore fosse un olio tinto in rossigno dal sangue.

- My lady quando vorrete guarire radicalmente, fatemi chiamare in Londra, a casa vostra, ed io vi guarirò. Se volete guarire fuori dell'Inghilterra, andate pure a Madera o a Nizza...

La perorazione con cui il dottor B. chiuse il suo consulto fu così brutale, ch'io non trovai parole da rispondergli e, mormorando qualche confuso monosillabo, mi affrettai a pagarlo e me ne andai.

La terza parte del mio martirio è consumata, e poi ti dirò: Caro William, ho fatto anche questo per te...

Vedrò ancora due altri colleghi del dottor B. e poi mi crederò degna non solo di essere la tua amica, ma anche l'eroina del tuo cuore.

Oggi sento il bisogno violento di prendere un contravveleno alla visita del dottor B. Voglio pigliarmi il mio Burns e le tue lettere e andare nel luogo più solitario del nostro parco, e perdermi per lunghe ore fra gli alberi e la tua memoria, fra la poesia della natura e quella del cuore.

 

 




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