Dopo la mia visita di ieri al dottor B. mi sentiva alleggerita da un gran
peso e mi pareva davvero che nel regno britannico non fosse possibile trovare
un altro medico che più di lui ripugnasse ai miei istinti e che negli altri due
oracoli che mi restavano a consultare io trovassi due cortesissimi e dolcissimi
amici.
Anche questa volta mi sono ingannata; anche questa volta mi sono persuasa
che, in natura, le varietà del male sono assai più numerose di quelle del bene.
Mio caro William, stammi a sentire. Scegli la più vecchia, la più comoda delle
tue poltrone, sprofondati in essa e, chiudendo gli occhi alla luce, segui cogli
occhi dell'anima la tua Emma che per amor tuo si reca in Regent Street dal
dottor T...
Appena fui introdotta da un cameriere nella sala provai un senso di freddo
al primo sguardo che gettai intorno a me. Non era un brivido di malessere, non
era il freddo dell'ambiente, ma era un freddo dell'anima che mi obbligò a
rannicchiarmi in me e a raccogliere il mio scialle, le mie vesti, le mie
braccia, quasi volessi accartocciarmi in me stessa per non disperdere il mio
tepore interno. In quella camera tutto silenzio e tutta simmetria, non vi era
un solo oggetto che non fosse necessario, non il più piccolo quadro, non il più
microscopico trastullo di chincaglieria: non un fiore, non una cosa sola che ti
dicesse che il padrone di casa amasse il bello, o avesse un gusto, una
simpatia. Perfino i colori coi loro contrasti vivaci e colle loro armonie
sembravano banditi da quel luogo, in cui regnava sovrana la matematica. Chiusi
gli occhi ed aspettai il dottor T. che non tardò molto a comparire. Anch'egli
era freddo ed incolore come la sua sala; egli era davvero il bruco di quella
crisalide. S'inchinò leggermente senza parlare, prese una sedia e senza parlare
mi guardò, aspettando che incominciassi la mia storia dolorosa.
Alzai gli occhi due o tre volte sopra di lui e due o tre volte li abbassai,
cambiando, senza volerlo, lo sguardo, l'espressione del mio volto, quasi
volessi trasformare quegli occhi spenti e freddi che non dicevan nulla, ma mi
facevan paura. Io non ho mai potuto parlare ad anima viva senza sentirmi legata
ad essa per un nervo invisibile che mi faccia vibrare insieme alla persona che
mi parla; non ho mai potuto immaginarmi che due uomini possano dirigersi quel
fiato dell'anima che si chiama la parola, senza che un'atmosfera di odio o
d'amore, di ammirazione e di disprezzo non li riunisca e li confonda.
E, studiando con tutte le mie forze di farmi vicino a quell'uomo di
ghiaccio, procurava di farmi fredda alla mia volta, di atteggiarmi al suo
portamento di modificare il mio gesto, il mio sguardo, le mie parole, sicché
trovassi con lui qualche punto di contatto. Inutili sforzi! Io e il dottor T.
eravamo due creature umane, ma separate da un abisso maggiore di quel che
allontana la vespa dal fiore, il lupo dal canarino.
In furia ed in fretta esposi lo scopo della mia visita, dissi delle opinioni
già espresse da altri medici sul conto mio, esposi per la centesima volta la
diagnosi stetoscopica del mio male; cercai col dir tutto in un fiato di
risparmiarmi anche un minuto solo di quella conversazione odiosissima. Egli
taceva sempre; mi lasciava dire, e non una piega del volto, non un moto
dell'occhio mi diceva ch'egli fosse vivo. Eravamo due corpi vivi che eran
vicini e l'azione morale dell'uno sull'altro incominciava a farsi chiarissimo:
io odiava già cordialmente il dottor T.
Finalmente, quando ebbi detto il possibile e l'impossibile, quel che sapeva
e non sapeva sulla mia malattia dopo aver parlato per un quarto d'ora di
seguito con una volubilità convulsiva, tacqui e aspettai che quell'anfibio
vivente parlasse. Sperava che almeno la sua voce dovesse esser calda. Esiste
forse nel mondo una creatura che sia tutta bruttezza e gelo?...
Il dottor T. freddissimamente soggiunse:
- Tutta quanto avete detto, sta bene; ma è inutile. Dobbiamo esaminare gli
organi.
E, quasi fosse già stanco di aver tanto parlato, si alzò e col dito mi
accenno una ottomana che stava in un angolo della sala disposta appunto per
l'esame dei malati.
Quasi ubbidissi al cenno di un tiranno, mi alzai; ma volendo pregarlo che mi
risparmiasse un'inutile tortura perché i miei polmoni erano già stati
sottilmente esaminati da una commissione di medici, tentai balbettare una
preghiera, una scusa; mormorai:
- Perdoni... ma...
Crollò il capo con un'aria di scetticismo e di sprezzo, e con un gesto più
imperioso dell'indice destro mi accennò per una seconda volta l'ottomana, su
cui doveva gettarmi. Era un letto di pelle lucida, senza una macchia, ma freddo
freddo, come l'aria di quella sala, come il colore di quell'atmosfera, come le
parole di quel medico.
E allora, lasciamelo dire colle parole di un nostro poeta:
The grave physician
By the trembling patient stands,
Like some deftly skilled musician;
Strange! the trumpet in his hands,
Whilst the sufferer's eyebal glistens,
Full of hope and full of fear.
Quietly he bends and listens
With his quiet accustomed ear.
Then thou whisperest in his ear
Words which only he ean ear
Words of woe and words of chear
Jubilates thou hast soundend
Wild exulting sound of gladness;
Misereres have abounded
Of unutterable sandness.1
Ah, carissimo William, come è tenera, com'è calda la poesia, anche quando
parla dello stetoscopio e della morte! Essa illumina ogni cosa coi raggi dorati
della fantasia, essa getta i suoi petali di rose, e i suoi torrenti di gigli e
di viole sulle arene di un deserto e sulle zolle di un cimitero. Grazie, mille
grazie, mio Dio, di avermi dato la poesia e la musica, questi sublimi fuggitivi
del tuo paradiso!
L'esame durò mezz'ora; credo che se fosse durato qualche minuto ancora, io
ne sarei morta.
Quel mio carnefice mi si piantò in faccia, poi per qualche minuto continuò
una mimica crudele interrotta solo da monosillabi.
Hum... Hum..., eh... Egli crollava il capo; poi stringeva le labbra e
incarnava le sopracciglia, portandole il più vicino possibile ai capelli, e poi
col pollice e l'indice con la mano sinistra si soffregava il mento nettissimo
di barba, e percorrendo dieci o venti volte di seguito il breve spazio che la
separava dalle foltissime basette che giungevano fino a due terzi precisi della
faccia, riuniva con molta compunzione le due dita sotto il mento.
- Ah, voi volete dunque andare a Madera per difendervi dal male che vi
minaccia... Ma non sapete che fra gli abitanti di quell'isola vi sono gobbi,
scrofolosi e tisici? A Madera potete confortarvi col contemplare un ospizio per
i malati di petto che fu fondato dall'Imperatrice vedova di Don Pietro I.
Quell'ospedale porta un nome che non è di lieto augurio.
È il nome della Principessa Donna Maria Amelia, figlia dell'Imperatrice del
Brasile. Vi era andata per guarire e vi è morta.
Se volete recarvi in un paese dove non vi siano tisici non dovete andare al
sud, ma al nord. Perché non andate in Islanda?
In nessun luogo al mondo vi sono meno tisici che nei paesi inclusi nelle
linee isotermiche da 50° a 20° F. A Pietroburgo e a Mosca con una temperatura
media di 38° F.: nel Canadà, nei distretti nordici degli Stati Uniti; in
Islanda e nelle isole Faroe, nelle parti più settentrionali di Norvegia, della
Svezia e della Lapponia la tisi è molto rara.
Anche nel sud-ovest della Scozia e nelle isole Ebridi la
tisi è rarissima, ma per questi paesi il problema si complica. Morgan vi dice
che questa preziosi immunità si deve al fumo di torba di cui son sempre piene
le capanne degli abitanti di quei paesi: e sapete che là non si usano camini.
Dove invece si abbrucia carbon fossile, la tisi appare subito più frequente. In
medicina, mia signora, non si sa nulla di positivo. Tutti vi dicono che l'ozono
irrita i polmoni, ebbene, nelle isole Ebridi l'ozono abbonda assai e non vi è
tisi. Tutti vi dicono che dove vi è scrofola vi è molta tisi; ebbene, alle
Ebridi, e nel sud-ovest della Scozia vi è molta scrofola e
pochissima tisi.
Non è vero che il clima mite difende dalla tisi. Benoiston de Chàteauneuf ha
trovato che dei tisici militari 85 si trovano nel nord della Francia, 73 nel
centro e 82 al sud. Dicono che in Marsiglia il quarto degli abitanti muoia di
tisi, e che in Genova ne muoia il sesto.
Nelle Antille, a Madera, a Rio de Janeiro questa malattia è frequente, ed è
pur comune a Nizza, a Livorno, a Firenze, a Napoli, a Malta, nella Spagna, nel
Portogallo, a Calcutta, a Madras... Alla Martinica è frequente come a Parigi.
Anche tutto questo però è incerto; altro è parlare di tisici nati nel paese,
altri di tisici che vi si mandano da altre regioni. I tubercolosi dei paesi
caldi peggiorano quando si mandano in paesi freddi.
Vi diranno alcuni medici d'andare a vivere in paesi paludosi. Baie! Boudin
ha voluto sostenere che le malattie miasmatiche e la tubercolosi si escludono.
Baie! Forget, Gintrac, Genest, Gouzie, Shedel, non credono a questa teoria. Io
per conto mio, so che, a Lipsia, i tedeschi hanno il vantaggio di avere l'una e
l'altra, la tisi e la terzana.
Vi diranno altri medici: Andate in alto; sull'altipiano delle Ande, sulle
altissime Alpi, non c'è tisi: ma anche questo non è provato.
Nulla vi è di certo in medicina. Il dottor Irwin, mio amico, ha esercitato
la medicina per moltissimi anni nelle vicinanze di Rannoh e di Athole nel
Pertshire, e la tisi vi è più frequente nelle alte regioni.
Più che il clima, mia signora, influiscono il movimento e il regime di vita
sullo sviluppo della tisi.
Andral, dopo aver avvertito alla frequenza della tisi negli animali, fa
un'eccezione in favore del cane, suggerendo che questo fatto si debba forse
all'abituale attività di questi animali. Invece nascono non di rado dei tubercoli
nei cani legati alla catena o chiusi in luoghi oscuri e mal ventilati.
Fourcault cita il caso del cane di un medico che era abituato a seguirlo
nelle sue lunghe corse quotidiane. Entrato il padrone al servizio militare, il
cane fu incatenato e morì di tisi.
Anche le passioni deprimenti hanno una grande influenza sullo sviluppo della
tisi, impoverendo il sangue, diminuendo l'energia nervosa, guastando la
digestione, ecc.
Laennec diede tanta importanza alle cause mortali nella genesi della tisi
che giunse a dire che quasi tutti quelli che diventano tisici senza esservi
predisposti per costituzione, lo divengono per dolori morali; e se è vero ciò
che dice il dottor Elie, che quattro quinti degli uomini muoiono di dolore, il
dolore e la tisi dovrebbero essere la stessa cosa.
Avrebbe dunque ragione il dottor Rufz di chiudere in queste poche parole
tutto il codice dei tisici:
Enjoy life, go out or come
in, on horseback or on foot, as you please, but go.2
Ma anche questo non è certo; in medicina non si sa nulla di certo.
Non volete andare in paesi freddi, non volete voi muovervi molto, non potete
voi star allegra? Ebbene viaggiate in mare.
Galeno, l'antichissimo Galeno, mandava i suoi tisici a navigare sul Nilo, e
diceva non perché questo faccia bene per sé, ma propter longiquitatem
navigandi. Ed ora avete Lee, avete Gilchrist e molti medici che vi dimostrano
utilissima la navigazione per curare o prevenire la tisi: Knox attribuisce i
vantaggi all'uniformità della temperatura marina; Spiess invece li spiega colla
minor copia d'ossigeno dell'aria marina.
Ma anche tutto questo non è provato: in medicina non sappiamo nulla di
positivo.
Rochard ha dimostrato che i viaggi di mare accelerano il corso della tisi
molto più spesso di quel che la ritardano; che la tisi è più frequente fra i
marinai che fra i soldati, che progredisce con maggior rapidità a bordo che a
terra, che la marina deve essere interdetta ai giovani minacciati da tisi.
In medicina tutto si può difendere, tutto si può condannare. Io potrei curarvi
col seppellirvi sotto terra, lasciando fuori dal suolo la testa e cambiandovi
la fossa ogni giorno, dal maggio all'ottobre. Sarebbe un metodo strano, ma non
sarebbe nuovo. È quel che faceva Solano da Luque coi suoi baños de tierra.
Alcuni credono vere in medicina le cose nuove: è un sistema comodo. Il tempo
è più facile a misurarsi che la scienza; gli anni si contano più facilmente dei
criteri logici. Vedete un poco: pochi anni sono si rideva del pregiudizio
volgare che la tisi fosse contagiosa; ed ora si ritorna a dar ragione agli
antichi. È il giro della moda, è la parabola della verità. Plinio il giovane lo
aveva detto, molti secoli or sono, che era questa una malattia contagiosa. -
Ti giuro, mio William, che io non ho maledetto mai la mia memoria (che tu
chiami prodigiosa) come in quel giorno, in cui, seduta in faccia a quella
macchina parlante che si chiama il dottor T. io ero condannata dalla mia natura
a ritenere tutte quelle litanie di erudizione senza poter dimenticare un nome,
una cifra, una parola sola. A che serve l'imparar tante cose, quando dopo tanta
tortura del cervello non si raccoglie una sola verità utile all'uomo? A che
serve una scienza sterile e gelata che non ci dà un conforto, una speranza, che
finisce col dire: «Non sappiamo nulla; nulla v'ha di certo?»
Perdonami, mio buon William, se oso giudicare la scienza col cuore di una
donna; ma io ho sempre creduto false le vie che non conducono alla felicità; ci
si vada diritti o per labirinti. L'uomo vuole la speranza e la gioia; ma tutto
ciò che non dà piacere è opera vana. Anche le più sante religioni hanno sempre
promesso all'uomo un'eternità di gaudii in cambio del sacrifizio e in premio
della virtù: anche nel codice della morale, anche nel codice della pubblica
opinione che è di tutti il più potente, la virtù, la gloria sono forme sublimi
di felicità e l'uomo più perfetto è quegli che facendo felice un numero
infinito di uomini, fa felice sé stesso...
Ma ritorno al mio dottore.
Vuotato il sacco di geografia medica che aveva in corpo, soggiunse:
- Vedete, mia signora, che c'è poco da sperare, poco da confidare
nell'azione dei climi. È più questione di gusto che di scienza; amate il
freddo, andate in Islanda o alle Ebridi; preferite il caldo, ebbene andate a
Madera. Amate le montagne, andate sugli altipiani del Perù, siete amica del
mare, andate a Xeres. Se poi preferite rimanere a Londra, io vi curerò; mi
studierò di guarirvi. Conoscete certamente il proverbio: Chi s'aiuta, il cielo
l'aiuta, l'uomo malato ha bisogno del medico; se volete che io sia il vostro
medico, senza farvi inutili promesse, posso dirvi che non sono né peggiore né
migliore degli altri. Non ho che una pretensione al mondo, quella di dir sempre
la verità, di non ingannar alcuno... Ecco tutto.
Dicono, signora, ch'io sono scettico. È forse per questo che son chiamato
dopo tutti gli altri medici, per segnare l'ultima condanna e l'ultima
assoluzione. Faccio la figura del carnefice che vien dopo il consigliere di
cassazione... Non me ne duole, Ognuno deve avere nella società una missione e
una figura; questa è la mia. Non posso cambiarla. -
Ne sapeva più del bisogno... Ringraziai, pagai e me ne venni a casa, stanca
tristissima, ma colla beata sicurezza che la terza parte del mio Calvario che
mi rimaneva a salire, non poteva sicuramente esser peggiore di questa...
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