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Paolo Mantegazza
Un giorno a Madera

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  • RICORDI A MIA FIGLIA EMMA
      • 3 - Emma a Willam - Londra, 6 luglio 18...
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3 - Emma a Willam - Londra, 6 luglio 18...

 

Dopo la mia visita di ieri al dottor B. mi sentiva alleggerita da un gran peso e mi pareva davvero che nel regno britannico non fosse possibile trovare un altro medico che più di lui ripugnasse ai miei istinti e che negli altri due oracoli che mi restavano a consultare io trovassi due cortesissimi e dolcissimi amici.

Anche questa volta mi sono ingannata; anche questa volta mi sono persuasa che, in natura, le varietà del male sono assai più numerose di quelle del bene. Mio caro William, stammi a sentire. Scegli la più vecchia, la più comoda delle tue poltrone, sprofondati in essa e, chiudendo gli occhi alla luce, segui cogli occhi dell'anima la tua Emma che per amor tuo si reca in Regent Street dal dottor T...

Appena fui introdotta da un cameriere nella sala provai un senso di freddo al primo sguardo che gettai intorno a me. Non era un brivido di malessere, non era il freddo dell'ambiente, ma era un freddo dell'anima che mi obbligò a rannicchiarmi in me e a raccogliere il mio scialle, le mie vesti, le mie braccia, quasi volessi accartocciarmi in me stessa per non disperdere il mio tepore interno. In quella camera tutto silenzio e tutta simmetria, non vi era un solo oggetto che non fosse necessario, non il più piccolo quadro, non il più microscopico trastullo di chincaglieria: non un fiore, non una cosa sola che ti dicesse che il padrone di casa amasse il bello, o avesse un gusto, una simpatia. Perfino i colori coi loro contrasti vivaci e colle loro armonie sembravano banditi da quel luogo, in cui regnava sovrana la matematica. Chiusi gli occhi ed aspettai il dottor T. che non tardò molto a comparire. Anch'egli era freddo ed incolore come la sua sala; egli era davvero il bruco di quella crisalide. S'inchinò leggermente senza parlare, prese una sedia e senza parlare mi guardò, aspettando che incominciassi la mia storia dolorosa.

Alzai gli occhi due o tre volte sopra di lui e due o tre volte li abbassai, cambiando, senza volerlo, lo sguardo, l'espressione del mio volto, quasi volessi trasformare quegli occhi spenti e freddi che non dicevan nulla, ma mi facevan paura. Io non ho mai potuto parlare ad anima viva senza sentirmi legata ad essa per un nervo invisibile che mi faccia vibrare insieme alla persona che mi parla; non ho mai potuto immaginarmi che due uomini possano dirigersi quel fiato dell'anima che si chiama la parola, senza che un'atmosfera di odio o d'amore, di ammirazione e di disprezzo non li riunisca e li confonda.

E, studiando con tutte le mie forze di farmi vicino a quell'uomo di ghiaccio, procurava di farmi fredda alla mia volta, di atteggiarmi al suo portamento di modificare il mio gesto, il mio sguardo, le mie parole, sicché trovassi con lui qualche punto di contatto. Inutili sforzi! Io e il dottor T. eravamo due creature umane, ma separate da un abisso maggiore di quel che allontana la vespa dal fiore, il lupo dal canarino.

In furia ed in fretta esposi lo scopo della mia visita, dissi delle opinioni già espresse da altri medici sul conto mio, esposi per la centesima volta la diagnosi stetoscopica del mio male; cercai col dir tutto in un fiato di risparmiarmi anche un minuto solo di quella conversazione odiosissima. Egli taceva sempre; mi lasciava dire, e non una piega del volto, non un moto dell'occhio mi diceva ch'egli fosse vivo. Eravamo due corpi vivi che eran vicini e l'azione morale dell'uno sull'altro incominciava a farsi chiarissimo: io odiava già cordialmente il dottor T.

Finalmente, quando ebbi detto il possibile e l'impossibile, quel che sapeva e non sapeva sulla mia malattia dopo aver parlato per un quarto d'ora di seguito con una volubilità convulsiva, tacqui e aspettai che quell'anfibio vivente parlasse. Sperava che almeno la sua voce dovesse esser calda. Esiste forse nel mondo una creatura che sia tutta bruttezza e gelo?...

Il dottor T. freddissimamente soggiunse:

- Tutta quanto avete detto, sta bene; ma è inutile. Dobbiamo esaminare gli organi.

E, quasi fosse già stanco di aver tanto parlato, si alzò e col dito mi accenno una ottomana che stava in un angolo della sala disposta appunto per l'esame dei malati.

Quasi ubbidissi al cenno di un tiranno, mi alzai; ma volendo pregarlo che mi risparmiasse un'inutile tortura perché i miei polmoni erano già stati sottilmente esaminati da una commissione di medici, tentai balbettare una preghiera, una scusa; mormorai:

- Perdoni... ma...

Crollò il capo con un'aria di scetticismo e di sprezzo, e con un gesto più imperioso dell'indice destro mi accennò per una seconda volta l'ottomana, su cui doveva gettarmi. Era un letto di pelle lucida, senza una macchia, ma freddo freddo, come l'aria di quella sala, come il colore di quell'atmosfera, come le parole di quel medico.

E allora, lasciamelo dire colle parole di un nostro poeta:

 

        The grave physician

      By the trembling patient stands,

      Like some deftly skilled musician;

      Strange! the trumpet in his hands,

      Whilst the sufferer's eyebal glistens,

      Full of hope and full of fear.

      Quietly he bends and listens

      With his quiet accustomed ear.

 

        Then thou whisperest in his ear

      Words which only he ean ear

      Words of woe and words of chear

      Jubilates thou hast soundend

      Wild exulting sound of gladness;

      Misereres have abounded

      Of unutterable sandness.1

 

Ah, carissimo William, come è tenera, com'è calda la poesia, anche quando parla dello stetoscopio e della morte! Essa illumina ogni cosa coi raggi dorati della fantasia, essa getta i suoi petali di rose, e i suoi torrenti di gigli e di viole sulle arene di un deserto e sulle zolle di un cimitero. Grazie, mille grazie, mio Dio, di avermi dato la poesia e la musica, questi sublimi fuggitivi del tuo paradiso!

L'esame durò mezz'ora; credo che se fosse durato qualche minuto ancora, io ne sarei morta.

Quel mio carnefice mi si piantò in faccia, poi per qualche minuto continuò una mimica crudele interrotta solo da monosillabi.

Hum... Hum..., eh... Egli crollava il capo; poi stringeva le labbra e incarnava le sopracciglia, portandole il più vicino possibile ai capelli, e poi col pollice e l'indice con la mano sinistra si soffregava il mento nettissimo di barba, e percorrendo dieci o venti volte di seguito il breve spazio che la separava dalle foltissime basette che giungevano fino a due terzi precisi della faccia, riuniva con molta compunzione le due dita sotto il mento.

- Ah, voi volete dunque andare a Madera per difendervi dal male che vi minaccia... Ma non sapete che fra gli abitanti di quell'isola vi sono gobbi, scrofolosi e tisici? A Madera potete confortarvi col contemplare un ospizio per i malati di petto che fu fondato dall'Imperatrice vedova di Don Pietro I. Quell'ospedale porta un nome che non è di lieto augurio.

È il nome della Principessa Donna Maria Amelia, figlia dell'Imperatrice del Brasile. Vi era andata per guarire e vi è morta.

Se volete recarvi in un paese dove non vi siano tisici non dovete andare al sud, ma al nord. Perché non andate in Islanda?

In nessun luogo al mondo vi sono meno tisici che nei paesi inclusi nelle linee isotermiche da 50° a 20° F. A Pietroburgo e a Mosca con una temperatura media di 38° F.: nel Canadà, nei distretti nordici degli Stati Uniti; in Islanda e nelle isole Faroe, nelle parti più settentrionali di Norvegia, della Svezia e della Lapponia la tisi è molto rara.

Anche nel sud-ovest della Scozia e nelle isole Ebridi la tisi è rarissima, ma per questi paesi il problema si complica. Morgan vi dice che questa preziosi immunità si deve al fumo di torba di cui son sempre piene le capanne degli abitanti di quei paesi: e sapete che non si usano camini. Dove invece si abbrucia carbon fossile, la tisi appare subito più frequente. In medicina, mia signora, non si sa nulla di positivo. Tutti vi dicono che l'ozono irrita i polmoni, ebbene, nelle isole Ebridi l'ozono abbonda assai e non vi è tisi. Tutti vi dicono che dove vi è scrofola vi è molta tisi; ebbene, alle Ebridi, e nel sud-ovest della Scozia vi è molta scrofola e pochissima tisi.

Non è vero che il clima mite difende dalla tisi. Benoiston de Chàteauneuf ha trovato che dei tisici militari 85 si trovano nel nord della Francia, 73 nel centro e 82 al sud. Dicono che in Marsiglia il quarto degli abitanti muoia di tisi, e che in Genova ne muoia il sesto.

Nelle Antille, a Madera, a Rio de Janeiro questa malattia è frequente, ed è pur comune a Nizza, a Livorno, a Firenze, a Napoli, a Malta, nella Spagna, nel Portogallo, a Calcutta, a Madras... Alla Martinica è frequente come a Parigi.

Anche tutto questo però è incerto; altro è parlare di tisici nati nel paese, altri di tisici che vi si mandano da altre regioni. I tubercolosi dei paesi caldi peggiorano quando si mandano in paesi freddi.

Vi diranno alcuni medici d'andare a vivere in paesi paludosi. Baie! Boudin ha voluto sostenere che le malattie miasmatiche e la tubercolosi si escludono. Baie! Forget, Gintrac, Genest, Gouzie, Shedel, non credono a questa teoria. Io per conto mio, so che, a Lipsia, i tedeschi hanno il vantaggio di avere l'una e l'altra, la tisi e la terzana.

Vi diranno altri medici: Andate in alto; sull'altipiano delle Ande, sulle altissime Alpi, non c'è tisi: ma anche questo non è provato.

Nulla vi è di certo in medicina. Il dottor Irwin, mio amico, ha esercitato la medicina per moltissimi anni nelle vicinanze di Rannoh e di Athole nel Pertshire, e la tisi vi è più frequente nelle alte regioni.

Più che il clima, mia signora, influiscono il movimento e il regime di vita sullo sviluppo della tisi.

Andral, dopo aver avvertito alla frequenza della tisi negli animali, fa un'eccezione in favore del cane, suggerendo che questo fatto si debba forse all'abituale attività di questi animali. Invece nascono non di rado dei tubercoli nei cani legati alla catena o chiusi in luoghi oscuri e mal ventilati.

Fourcault cita il caso del cane di un medico che era abituato a seguirlo nelle sue lunghe corse quotidiane. Entrato il padrone al servizio militare, il cane fu incatenato e morì di tisi.

Anche le passioni deprimenti hanno una grande influenza sullo sviluppo della tisi, impoverendo il sangue, diminuendo l'energia nervosa, guastando la digestione, ecc.

Laennec diede tanta importanza alle cause mortali nella genesi della tisi che giunse a dire che quasi tutti quelli che diventano tisici senza esservi predisposti per costituzione, lo divengono per dolori morali; e se è vero ciò che dice il dottor Elie, che quattro quinti degli uomini muoiono di dolore, il dolore e la tisi dovrebbero essere la stessa cosa.

Avrebbe dunque ragione il dottor Rufz di chiudere in queste poche parole tutto il codice dei tisici:

Enjoy life, go out or come in, on horseback or on foot, as you please, but go.2

Ma anche questo non è certo; in medicina non si sa nulla di certo.

Non volete andare in paesi freddi, non volete voi muovervi molto, non potete voi star allegra? Ebbene viaggiate in mare.

Galeno, l'antichissimo Galeno, mandava i suoi tisici a navigare sul Nilo, e diceva non perché questo faccia bene per sé, ma propter longiquitatem navigandi. Ed ora avete Lee, avete Gilchrist e molti medici che vi dimostrano utilissima la navigazione per curare o prevenire la tisi: Knox attribuisce i vantaggi all'uniformità della temperatura marina; Spiess invece li spiega colla minor copia d'ossigeno dell'aria marina.

Ma anche tutto questo non è provato: in medicina non sappiamo nulla di positivo.

Rochard ha dimostrato che i viaggi di mare accelerano il corso della tisi molto più spesso di quel che la ritardano; che la tisi è più frequente fra i marinai che fra i soldati, che progredisce con maggior rapidità a bordo che a terra, che la marina deve essere interdetta ai giovani minacciati da tisi.

In medicina tutto si può difendere, tutto si può condannare. Io potrei curarvi col seppellirvi sotto terra, lasciando fuori dal suolo la testa e cambiandovi la fossa ogni giorno, dal maggio all'ottobre. Sarebbe un metodo strano, ma non sarebbe nuovo. È quel che faceva Solano da Luque coi suoi baños de tierra.

Alcuni credono vere in medicina le cose nuove: è un sistema comodo. Il tempo è più facile a misurarsi che la scienza; gli anni si contano più facilmente dei criteri logici. Vedete un poco: pochi anni sono si rideva del pregiudizio volgare che la tisi fosse contagiosa; ed ora si ritorna a dar ragione agli antichi. È il giro della moda, è la parabola della verità. Plinio il giovane lo aveva detto, molti secoli or sono, che era questa una malattia contagiosa. -

 

Ti giuro, mio William, che io non ho maledetto mai la mia memoria (che tu chiami prodigiosa) come in quel giorno, in cui, seduta in faccia a quella macchina parlante che si chiama il dottor T. io ero condannata dalla mia natura a ritenere tutte quelle litanie di erudizione senza poter dimenticare un nome, una cifra, una parola sola. A che serve l'imparar tante cose, quando dopo tanta tortura del cervello non si raccoglie una sola verità utile all'uomo? A che serve una scienza sterile e gelata che non ci un conforto, una speranza, che finisce col dire: «Non sappiamo nulla; nulla v'ha di certo?»

Perdonami, mio buon William, se oso giudicare la scienza col cuore di una donna; ma io ho sempre creduto false le vie che non conducono alla felicità; ci si vada diritti o per labirinti. L'uomo vuole la speranza e la gioia; ma tutto ciò che non piacere è opera vana. Anche le più sante religioni hanno sempre promesso all'uomo un'eternità di gaudii in cambio del sacrifizio e in premio della virtù: anche nel codice della morale, anche nel codice della pubblica opinione che è di tutti il più potente, la virtù, la gloria sono forme sublimi di felicità e l'uomo più perfetto è quegli che facendo felice un numero infinito di uomini, fa felice sé stesso...

Ma ritorno al mio dottore.

Vuotato il sacco di geografia medica che aveva in corpo, soggiunse:

- Vedete, mia signora, che c'è poco da sperare, poco da confidare nell'azione dei climi. È più questione di gusto che di scienza; amate il freddo, andate in Islanda o alle Ebridi; preferite il caldo, ebbene andate a Madera. Amate le montagne, andate sugli altipiani del Perù, siete amica del mare, andate a Xeres. Se poi preferite rimanere a Londra, io vi curerò; mi studierò di guarirvi. Conoscete certamente il proverbio: Chi s'aiuta, il cielo l'aiuta, l'uomo malato ha bisogno del medico; se volete che io sia il vostro medico, senza farvi inutili promesse, posso dirvi che non sono né peggioremigliore degli altri. Non ho che una pretensione al mondo, quella di dir sempre la verità, di non ingannar alcuno... Ecco tutto.

Dicono, signora, ch'io sono scettico. È forse per questo che son chiamato dopo tutti gli altri medici, per segnare l'ultima condanna e l'ultima assoluzione. Faccio la figura del carnefice che vien dopo il consigliere di cassazione... Non me ne duole, Ognuno deve avere nella società una missione e una figura; questa è la mia. Non posso cambiarla. -

Ne sapeva più del bisogno... Ringraziai, pagai e me ne venni a casa, stanca tristissima, ma colla beata sicurezza che la terza parte del mio Calvario che mi rimaneva a salire, non poteva sicuramente esser peggiore di questa...

 

 




1 Il grave medico

    Sta dinanzi al tremebondo paziente

    Come un abile e provetto suonatore.

    Strano! Nelle sue mani la tromba,

    come l'occhio del paziente scintilla,

    pieno di speranza e di timore.

    Silenzioso si curva ed ascolta

    col solito tranquillo orecchio.

 

      Allora tu bisbigli al suo orecchio

    parole che egli solo sa capire,

    parole di miseria e parole di speranza.

    Con gioia hai scandagliato

    degli esultanti suoni di contentezza.

    Ahimè! Il petto ti ha rimandato

    degli abbondanti suoni cavernosi.

 



2 Godete la vita; andate o venite, a cavallo o a piedi, come volete, ma andate.




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