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Paolo Mantegazza
Un giorno a Madera

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  • RICORDI A MIA FIGLIA EMMA
      • 4 - Emma a William - Londra, 8 luglio 18...
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4 - Emma a William - Londra, 8 luglio 18...

 

Mio buon William, la mia visita al dottor T. mi aveva talmente stancato che ho dovuto riposarmi due giorni prima di intraprendere il mio ultimo viaggio nel mondo della medicina. In questi due lunghissimi giorni non ho potuto far altro che meditare tristi cose sull'arte che si usurpa la superba parola di medicatrice degli uomini, che osa chiamarsi una scienza. Dio mio, quanta superbia in questa parola! Con qual diritto può arrogarsi la medicina il supremo battesimo di scienza, quando i suoi sacerdoti si contraddicono l'un l'altro, quando noi per scegliere il nostro medico dobbiamo consultare i nostri presentimenti, le simpatie del nostro cuore? Qual vana scienza è questa mai che non cambia d'una cifra le statistiche dei morti di un paese, che guarisce lo stesso male coll'acqua fredda o coll'acqua calda, coll'acquavite o col latte, che ci manda a Madera o in Islanda colla stessa indifferenza e per una identica malattia?

Per quanto mi sforzassi di raddolcire il mio giudizio, di calmare i miei sentimenti contro i due medici che avevo consultato, non riuscivo a trovare una sola parola di indulgenza per i medici e la medicina. Senza volerlo, avevo toccato con le mie due visite i poli dell'arte medica; avevo veduto, forse, le due più sfacciate caricature del fanatismo e del dubbio; io giudicavo di due medici per averne veduti due soli, ma è pur vero che con infinite gradazioni, tutti quanti dovevano oscillare tra quei poli: cieca fede di apostolo o scetticismo agghiacciato. Quando, a furia di pensar sempre alle stesse cose, la mia fantasia mobilissima si esaltava, mi pareva di veder da una parte la fucina di Vulcano, popolata di gnomi, di carnefici, di demoni che facevano stridere e rumoreggiare tutti gli strumenti di tortura; dall'altra vedevo un cimitero immenso, popolato di croci nere nere che campeggiavano in un mar di neve; vi era la nebbia e vi era il silenzio, e fra quei due poli estremi io vedeva tumultuare e muoversi una moltitudine accalcata di uomini togati colla cravatta bianca e grandi parrucche; avevano il ghigno beffardo e l'occhio collerico, e a guisa di una folla che si agita senza cambiar di posto, si dibatteva e oscillava fra quei due poli di fuoco e di ghiaccio.

Fu scritta già la storia della magìa e si credette averla sepolta sotto la pietra del medio evo, ma io credo fermamente che un'ultima pagina rimanga a scriversi di quella storia, ed è quella della medicina. Parevami nei miei due giorni di melanconia e di stanchezza che l'arte del curare fosse magìa antica vestita in giubba e cravatta bianca. E non è forse magìa la ricetta latina con numeri geroglifici e non è forse magìa il toccar del polso e lo sporger della lingua, e la fede nel rimedio, e la profezia sempre ripetuta e sempre smentita; e non è gergo di magìa tutto quel linguaggio greco e latino che nasconde nel fumo e nelle bolle di sapone il vuoto della scienza?

Dalla Sibilla di Cuma alla Zingara, all'omeopatico, all'oracolo di Delfo, alla chiromanzia e alla medicina non vi è forse una gerarchia naturale di pregiudizio, di mistificazione, di magìa? La paura della morte ha creato molti pregiudizii; non potrebbe essa aver fatto conoscere anche la medicina? La sentenza più mite che si possa dare è quella di Lamartine, che essa è una intenzione per guarire. Fra il dottor B. che voleva uccidermi per dimostrare la profonda convinzione della sua fede, e il dottor T. che prima di curarmi, mi faceva morire sotto le montagne gelate della sua sterile erudizione, io non vedeva posto alcuno per una medicina che fosse scienza e conforto, che non fossefanatismonegazione di tutto.

Mio caro William, io m'ingannava. Fra i due poli del fuoco e del gelo esiste un largo campo per la medicina, vi sono uomini che curano le malattie e che non rassomigliano punto né al dottor T. né al dottor B.

Questa cara scoperta doveva farla nell'ultima parte del mio viaggio medico, nella mia visita al dottor Haug.

Sono andata quast'oggi da lui e me ne sono ritornata a casa tutta rinfrancata e serena, come se avessi fatto una gita nel campo e ne avessi riportato un fascio di erbe e di fiori, di ramoscelli sempre verdi e di muschio vellutato. Oh, che caro amico è il dottor Haug...

Prima di arrivare al suo studio, io aveva già simpatia per lui, perché, ascendendo le scale e attraversando la sua anticamera, le sue sale, aveva già scoperto a primo colpo d'occhio che egli ama le cose belle, e sopratutto ama la natura, di cui aveva fatto prigioniera in casa sua quanta parte aveva potuto.

Sulla scala c'erano dei pini grandissimi imprigionati in grossi vasi di terra, e mi pareva impossibile che vi potessero vivere sani e robusti, e la terra in cui erano piantati non era nuda, ma coperta di erbe e di muschi come se ne trovano nella Scozia. Ogni pianta aveva il suo tappeto verde, aveva la sua famigliuola di pianticelle minori che pareva le tenessero compagnia. Nell'anticamera, nelle sale, dappertutto vi eran fiori e fra essi si sentiva bisbigliare alcuni uccelletti ch'io non vedeva. Quel che vedeva erano statue; copie delle più belle opere di scultura della Grecia antica e dell'Italia moderna. Le divine forme dell'uomo, della donna, del bambino, erano ritratte per ogni parte in marmo, in alabastro e sulla tela. Nello studio, sullo scrittoio, vi era una Venere dei Medici in alabastro, messa fra due pianticelle d'alloro e di mirto, e parevano tutte quelle belle cose sepolte in un mondo di libri d'ogni grandezza e d'ogni colore. Quanto era poetica quella confusione sublime di cose! La Venere dei Medici, due alberetti sempre verdi e le opere dell'ingegno! La natura, l'arte, la scienza, si trovavano in quello spazio ristretto, vicinissime l'una all'altra, sembravano confondersi e quel medico doveva sentirsi profondamente commosso quando sedeva al lavoro in quel posto.

Fermai la mia attenzione sul mirto e sull'alloro. Quelle pianticelle eleganti non erano trovate a caso: esse erano state scelte da un gusto squisito. Non son esse le piante sacre all'amore e alla gloria?

Stava appunto fabbricandomi un idillio su quelle due belle prigioniere del dottor Haug... quando sentii i suoi passi che si andavano avvicinando nel corridoio. Sentii pure la voce e lo schiamazzo di un bambino, sentii il fruscio di una veste di seta, alcune parole che non capii ma che non potevano essere che d'uomo a donna, parole d'amore. Quanto amavo quel medico, prima ancora di averlo veduto...

Un momento dopo io era seduta accanto a lui... non mi aveva parlato; mi aveva solo salutato col capo, e poi mi aveva sorriso e mi sorrideva ancora. Era un sorriso continuo, ma che variava di minuto in minuto, era un sorriso che era una domanda, un incoraggiamento, una speranza. Il dottor Haug... mi diceva un mondo di cose e senza parole...

Come mi sentii subito espansiva!

Eppure parlai poco, perché egli capiva subito tutto e col suo eterno sorriso, che era così eloquente, mi faceva interrompere il discorso e saltar cose noiose e lunghe; ed io, facendo la triste e ormai nauseosa storia dei miei dolori, mi sentiva talmente sorretta da quell'uomo che mi attraeva tutta quanta colla sua benevolenza e la sua attenzione, che parlando di tristissime cose, non sentivadoloregioia...

Ti dirò una cosa sola del dottor Haug... Mentre stava parlando, ad un tratto mi sorprendo nel trovarlo molto giovane, troppo giovane per un medico tanto celebre: e questo pensiero importuno m'interrompe il filo del discorso e poi... obbedendo al solito alla mia prima emozione, gli dico:

- Mi perdoni, è il dottor Haug...

- Per servirvi, signora -; e poi cambiando il suo sorriso in una vera risata a mezza voce, mi dice:

- E perché ne dubitate?

- Ma, mi perdoni: vedendola tanto giovane aveva creduto ch'ella potesse essere un supplente del dottor Haug...

Qui il dottore si mise a ridere e con una compiacenza grandissima: e poi distaccò una fogliolina di mirto che andò schiacciando fra le sue dita e odorando con una voluttà singolare, quasi affettata.

Quest'uomo non è anglosassone certo, né britannico, è una goccia di sangue romano smarrita fra le nebbie dell'Inghilterra. Ha i capelli neri e folti, la fronte alta, il naso aquilino, la pelle bruna, la fisonomia affaticata dallo studio, la faccia mobilissima, qualche volta presa da leggera convulsione.

Lesse con molta attenzione la diagnosi del mio male fatta da medici che prima di lui mi avevano veduta, mi fece alcune domande, appoggiò il suo capo per pochi momenti al mio petto e poi subito subito quasi per non lasciarmi un minuto solo d'angoscia, prima ancora di sedersi, prima ancora di racconciarsi la sua folta capigliatura scomposta dall'ascoltazione, mi disse in furia:

- Oh la cosa non è grave, non è punto grave; voi guarirete: guarirete di certo.

E quasi avesse compito la parte più importante e più difficile del suo compito, si sedette comodamente sulla sua seggiola, ripigliando fiato, mentre spogliava l'alberetto d'alloro d'una fogliolina e la sottoponeva alla stessa opera di distruzione e allo stesso lento e voluttuoso fiutare, come aveva fatto un momento prima col mirto.

- Sì, mia buona signora, voi guarirete e presto. Questa è la parte più importante di quanto ho da dirvi: perché appoggiandovi nella fede sicura della vostra guarigione, voi dovete tranquillamente e allegramente attendere a conquistarla. Voi mi avete l'aria di avere in voi stessa molta forza di volontà, di possedere molti di quei tesori morali che non si comperano col denaro, che pur troppo non si imparano nei libri, ma che fanno risparmiare a noi stessi e agli altri molti dolori. Incominciate a togliere subito dalla vostra malattia tutta quella parte di male che viene dalla paura, dalla trepidazione, dall'angoscia del domani. E poi, e poi, anzi subito, andate a Madera; a Madera, e in nessun altro luogo... Ho ricevuto anche questa mattina una lettera di una mia cliente che è a Funchal da cinque mesi, e che mi ha consolato assai.

Sputava sangue ogni giorno; ogni sera aveva la sua febbricella; dimagrava a vista d'occhio; ed ora non ha più febbre, non più sputo sanguigno; mi dice di aver ingrassato. Essa è felice di essersi recata a Madera.

Conosco già molti esempi eloquentissimi di guarigioni di malattie di petto ben più gravi della vostra, ottenute con un soggiorno più o meno prolungato in quel paradiso di fiori che si chiama l'isola di Madera.

Quando vi decidiate di andarvi, vi darò per iscritto i miei consigli, perché da voi sola abbiate a curarvi a Funchal... vi aggiungerò una lettera di raccomandazione per un distinto medico inglese, mio amico.

Oh! a proposito, non andate sola a Madera. Voi non potreste guarire... Noi uomini siamo abbastanza egoisti, per bastare a noi stessi; l'acre amore della vita basta a tenerci compagnia, a tenerci luogo di tutto; ma voi altre, figlie d'Eva, quando siete sole morite di spleen anche sotto il cielo incantato di Funchal... Dio vi ha fatte per tener compagnia all'uomo; voi non potete mai godere della felicità se non accompagnate... -

Il dottor Haug... col sorriso, col gesto diceva ancor più che colla parola, e quando potremo vederci, io a voce mi studierò di ripeterti tutto il nostro dialogo carissimo e soavissimo. Egli mi aveva ispirato col suo discorso tanta confidenza, che, in ultimo, osai consultarlo sulla parte più delicata del problema...

Arrossendo più d'una volta, gli domandai se dopoché fossi guarita io avrei potuto senza scrupoli, senza paura, dar la mano di sposa e divenir madre, senza il pericolo di aver figli malati di petto...

Il sorriso sparve improvvisamente, ma per un solo minuto secondo dal volto del dottor Haug... e vi ritornò subito dopo, ma più severo, né più mai poté riprendere quella cordiale giovialità che mi aveva tanto confortato fino a quel momento.

Io che seguiva colla curiosità più tenace, colla simpatia più affettuosa ogni movimento di quell'uomo vidi la nuvoletta che aveva coperto per un istante il sole della sua letizia: mi accorsi subito che la mia domanda aveva risvegliato in lui tristi ricordi.

- Oh, perché no? Quando la guarigione fosse ben assicurata, quando voi aveste riacquistata la vostra robustezza, certo potreste divenir madre. Dovete avere un cuore ben caldo di sentimenti generosi per avermi fatta questa domanda... Tutti quelli che hanno il vostro male, che son celibi, che son giovani ancora, dovrebbero dirigerla al loro medico; ma la dimenticano sempre...

E sospirò ancora una volta, ma più profondamente di prima e colla mano si coprì l'ampia fronte...

- L'uomo è molto egoista, non si occupa quasi mai dei nascituri. Conosco molti che prima di morire, vogliono avere una famiglia, vogliono con uno stolto orgoglio dimostrare a sé stessi e al mondo che possono esser padri, che possono diventar madri... E muoiono vittime dello stolto esperimento, lasciando ai figliuoli la triste eredità del dolore e della malattia.

Il dottor Haug... pareva parlasse a sé stesso e non mi guardava più in volto; ma appena ebbe abbassato gli occhi sopra di me, si accorse che quelle sue parole erano colpi di pugnale contro di me; se ne pentì, ruppe bruscamente il filo delle sue parole, e continuò con diverso accento.

- In ogni modo, ora non è il caso di parlar di questo. Di certo non pensateoggidomani a prender marito... Sarebbe una follia. Occupatevi di guarire, vogliate guarire e guarirete.

Mi alzai commossa e decisi di andarmene a Madera, e vi andrò.

Non ti scrivo più una parola. Ci siam imposti otto giorni di esilio l'un dall'altro; e presto l'esilio sarà finito. Ed io allora ti comparirò dinanzi superba d'aver fatto per amor tuo un grande sacrifizio e ti dirò ad alta voce: La tua Emma è disposta a partire per Madera; la tua Emma è disposta a non vederti più per mesi ed anni, perché ti vuol obbedire in tutto e per sempre, perché la tua Emma non vive che per te e fuori dell'amor tuo non sa vedere che la disperazione e la morte.

Addio, mio William: il mio calvario è conquistato. I tre oracoli della scienza britannica son consultati. La tua volontà è stata adempiuta.

 

 




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