Già da parecchi giorni, mio William, io mi sentiva languida e oppressa: ogni
movimento mi dava pena e l'ozio non mi riposava.
Passava le ore alla mia finestra, quasi sdraiata sul seggiolone e leggeva e
rileggeva le tue lettere; mia primissima gioia quando sono lieta, mio unico
conforto quando sono triste. Fra l'una e l'altra lettera, guardava fisso il
mare, questo eterno compagno della meditazione e il mio occhio, per lente
oscillazioni, passava senza saperlo dalla scena della vita presente e vicina
all'ultima linea sfumata e incerta dell'avvenire. Prima il porto solcato dalle
bianche vele, rotto dai remi numerosi, increspato dalle mille onde che io
potevo distinguere e numerare: la vita in azione col suo chiasso, coi suoi
mille movimenti, coi suoi contorni netti e recisi. Più in là il mare era
azzurro e senza rumori: una vela lontana si perdeva in quell'orizzonte più
sereno, e pareva un'ala di uccello marino. Là era la vita del pensiero, che
attinge ancora la lena dall'azione, ma che già si solleva nei campi
dell'infinito, non più confini precisi, non più chiasso; ma il fluido eterno che
mai non posa e sempre si muove. E poi giù, nel fondo, l'occhio faceva ancora un
passo e si trovava di nuovo in un mare grigio che si perdeva fra le nebbie
dell'orizzonte: là né il chiasso che distrae, né il sereno che riposa od eleva,
ma un quadro incerto e sconfinato, ma l'infinito deserto del mistero, entro cui
l'uomo si smarrisce e si confonde. Era in quella parte del quadro che il mio
pensiero triste e vagabondo amava meglio perdersi e divagare. Ora la linea
bigia rimaneva immota, ed ora, sollevandosi lenta lenta in fiocchi di fumo,
pareva plasmare una terra lontana, la terra delle eterne speranze, e dei sogni
senza fine: quella terra di nubi che tante volte strappò un grido di gioia ai
compagni disperati di Colombo.
Là in quell'abisso di deserti nebbiosi, nessun colore, nessuna forma; ma il
caos infinito da cui Dio trasse l'ordine e l'uomo la poesia; là un'eternità di
movimento, là un'onda che, eternamente eguale a sé stessa, alimenta il
crostaceo microscopico e la balena gigante; che eternamente impassibile copre e
lambe le ossa di un pescecane morto decrepito e le reliquie di due sposi che,
naufraghi e moribondi, si strinsero in un ultimo amplesso e lasciarono le loro
ossa intrecciate sul piano dell'arena profonda. Là un bigio immenso che non
rallegra, che non riposa, ma che affascina l'uomo perché egli lo desidera
sempre senza mai abbracciarlo, perché sempre lo studia senza mai intenderlo;
che affascina l'uomo perché rimane eternamente vergine innanzi alle sue braccia
innamorate.
Dopo aver passato più giorni a questo modo, senza aver fiato a far altro,
ricordai le tue parole, o William, ricordai che l'ozio è una delle colpe
maggiori; e fattami forte, coraggiosa in un momento, chiesi a mia zia che mi
accompagnasse ad una gita a Machico. Aveva udito parlare vagamente di una
triste storia avvenuta in quel luogo, uno dei più pittoreschi dell'isola: e
voleva farvi un triste pellegrinaggio. La mia buona zia, felicissima di vedermi
uscire da quel letargo mortale in cui era piombata, disse subito allegramente
di sì: fece sellare una buona mula per lei e apprestare un'amàca da viaggio per
me. Ti ho già scritto altre volte che questo modo di viaggiare così comune in
quest'isola, mi ripugna assai, perché ad ogni movimento penso che due uomini si
affaticano e sudano per me, e mi domando subito: - Perché mai Dio ha fatto gli
uomini di modo che una metà abbia a servir l'altra?
La zia calma alquanto i miei scrupoli, mostrandomi i due bruni e robusti
arrieiros; pei quali la tua Emma sottile e smilza sarebbe stata più leggera
d'una canna.
Si va a Machico per una valle tutta verde e tutta ridente, e le fanno
cornice basalti neri, acuti, profondamente lacerati come merli d'un antico
castello che si confondono coi crepacci serpentini aperti dal tempo nelle sue
pareti. I campi di Madera così piccoli e ridenti e tranquilli in mezzo a quella
natura di neri giganti mi sembrano nidi d'usignuoli sospesi al cratere d'uno
spento vulcano. Fra quelle masse rozze, ciclopiche di roccie, alza il capo più
alto il Picco Castanho.
Il moto oscillante e lento dell'amàca mi cullava per modo che di quando in
quando io sonnecchiava e allora sognava di essere imbalsamata in un'amàca del
Perù, fra due palme ove due neri avvoltoi venivano a cantarmi l'inno funebre,
appoggiati simmetricamente con una gamba sola sulle due corde della mia amàca.
L'acre saliva mi scendeva intanto giù per la gola, e un colpo dure e secco di
tosse veniva a svegliarmi improvvisamente, ed io, spaventata, cercava gli
avvoltoi e non vedevo dinnanzi a me che la caramuza ridicola del mio arrieiro
che mi scacciava d'improvviso i tristi pensieri. Era Arlecchino che veniva col
suo bastone a scacciare dalla scena un direttore di pompe funebri.
Saltai lesta dall'amàca appena giunti a Machico, e mi sentii ben diversa da
quando era partita da Funchal. Poche ore di moto, e un soffio d'aria diversa da
quella che soglio respirare, mi cambian d'un tratto e mi sento un'altra donna.
Machico è un povero, è un poverissimo villaggio; ma sembra venirti incontro
sorridendo e vorresti subito collocarvi un romanzo e un'elegia, e l'elegia ve
la trovai senza bisogno d'inventarla. Dopo aver ammirata la spiaggia larga ed
estesa e la piccola fortezza che sta sul mare e che chiamano desembarcadouro,
andai alla chiesa, e là mi si narrò dal sagrestano questa semplice storia:
In un anno del 1300, non si sa quale, una piccola nave giunse
dall'Inghilterra su questa spiaggia e sbarcò un uomo e una donna, due
bellissimi giovani inglesi, condannati a vivere e a morire nell'Isola di
Madera. Si chiamavano Machim ed Anna. Si ignora qual delitto avessero commesso
quei giovani, ma di certo il peccato deve essere stato ben lieve o il giudice
molto pietoso, dacché furon puniti col dover vivere e col morire insieme in un
luogo di paradiso.
A pochi passi dalla spiaggia si innalzava un cedro antico quanto l'isola,
una vera foresta, una cupola di nera verdura, un labirinto di rami e di foglie
che filtrava il sole e rompeva l'urlo delle procelle.
Nel suo seno ospitale, il caldo dell'estate diveniva languido tepore,
l'aquilone dell'inverno una fresca brezza. Là i due amanti reietti
dall'Inghilterra si fecero una capanna, il loro nido d'amore, e là vissero
felici, chi sa quanti anni e senza figliuoli. La tradizione dice che essi non
si muovessero mai da Machico. Senza figliuoli, senza amici, senza nemici, non
ebbero altro tempio che la volta sempre verde del loro cedro; non ebbero altro
orizzonte che l'orizzonte sempre azzurro del mare; non ebbero altro amore che
il loro amore.
Anna morì prima di Machim, e Machim la seppellì sotto quel cedro; ne tagliò
un ramo e con esso scolpì una croce, la più bella che mai si fosse veduta.
Piantò la croce, ne fece un'altra perfettamente eguale, e scavò accanto alla
prima fossa un'altra fossa. Appena l'ebbe finita morì. Nessuno dei vicini udì
una parola escire dalle labbra di Machim dopo la morte di Anna. Un mattino lo
trovarono morto, steso al suolo, colle braccia avvinghiate intorno alla croce
che lo copriva. Convenne distaccarlo a forza, e lo si seppellì accanto alla
compagna.
Per molti e molti anni quel cedro fu creduto sacro all'amore, gli amanti
traditi andavano a piangervi la loro sventura; gli amanti sventurati andavano
ad implorarvi la gioia di essere amati; forse ancora gli amanti felici vi
andavano a mormorare parole di amore felice. I venti sussurravano sempre
dolcemente fra i rami del cedro, e le onde del mare mormoravano soavemente ai
piedi di quelle croci.
Un giorno il governatore Tristâo Vaz Teixeira, quello stesso che insieme a
Zarco colonizzò Madera, con una scure crudele stramazzò quel cedro, e vi trovò
tanto legno da farne una chiesa; e fu edificata appunto sulla tomba dei due
amanti inglesi. Il tempio del Signore si innalzò sopra un tempio d'amore, e una
santa poesia si appoggiò sopra un'altra poesia tutta tenerezza. Di Machim e di
Anna, dopo cinque secoli, rimangono due reliquie. Rimane il nome di Machico
dato ad un povero villaggio; rimane un frammento della croce che Machim aveva
scolpita per la tomba di Anna, e che il sagrestano mostra al viaggiatore
pellegrino.
Caro William, ho baciato quel pezzo di cedro e ho domandato a me stessa, se
anche noi, quando saremo morti, non saremo messi l'uno accanto all'altro.
Il moto dell'amàca mi aveva stancato e il mare era tranquillo come lo
specchio d'un lago. A Machico si prese un guscio, si giunse a Canical: poche
capanne e una chiesa più brutta e più triste delle capanne; si visitò la
cappella di Nossa Senhora da Piedade e si ritornò per mare a Funchal.
Il mio letargo s'era cambiato in una soave e tranquilla malinconia; il mio
respiro era più libero ed io era contenta di aver scoperto una gemma di poesia,
perché la poteva mandare al mio William.
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