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Paolo Mantegazza
Un giorno a Madera

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    • 5 - Reliquie di William e di Emma
      • 4 - William a Emma - Londra, 15 gennaio 18...
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4 - William a Emma - Londra, 15 gennaio 18...

 

Perché tacete, miss Emma? Perché siete tanto crudele? Siete forse nata in Ispagna? Avete nelle vostre vene il sangue di San Domenico? Uccidetemi per carità in una volta sola; ogni fibra del mio cuore s'anima, ogni sentimento piange; tutte le facoltà dell'anima mia non sono che dolore; tutto quel che sono, tutto quel che penso, non è che dolore.

Non avrei mai creduto che l'uomo potesse soffrire tanto e non stancarsi nel dolore. Aveva ragione Byron di dire che il dolore è mezza della sua immortalità. La fame si sazia, la gioia si sazia, il lavoro si stanca, il pensiero riposa; dorme l'ambizione, dorme l'avarizia, dorme il genio: ma il dolore non dorme, non posa, no, si sazia di sé stesso, ma come la fenice della favola antica si rinnovella dalle proprie ceneri; e quando i nervi non bastano più a tanto tormento, il dolore cambia di forma e rimane più crudele e sempre nuova la tortura.

Dopo l'ira che morde, sento lo strazio che m'adunghia, dopo lo strazio la disperazione, dopo la disperazione l'amarezza, dopo l'amarezza lo sconforto, e poi di nuovo lo strazio e la tortura, il vampiro che mi sugge il sangue dal cuore, lo sgomento d'un sogno spaventoso; e sempre un abisso di dolore senza fondo, senza confini, nero, eterno, gelato, inesorabile.

Ah! miss Emma, chi ha osato ridere della religione non ha mai sofferto.

E voi siete il carnefice di tanta tortura; e voi sola in questo mondo che mi intendete, potete capire quanto sia il mio dolore. Voi non fate patire in me un uomo solo, ma due generazioni di uomini... voi lo sapete. In me l'amore ha riunito due razze, due destini, due mondi.

Mia madre era italiana, il padre mio inglese; erano due nature che più lontane, più diverse la natura non fece mai; e l'amore, il più potente degli alchimisti, fu chiamato a fare il miracolo di riunirli in uno solo; ed io sento in me due nature, due mondi di pensieri, di sensazioni, di gioie e di dolori. Sento in me ad ogni tratto il Vesuvio e la nebbia di Londra; e voi sorridendo mi avete più d'una volta chiamato vulcano o nebbia, secondo che in me parlava l'italiano o l'inglese.

Giammai io ho sentito come in questi giorni che cosa voglia dire essere un uomo doppio. I sensi caldi, la fantasia ardente, m'accendono colla celerità del lampo; sento che in me Mongibello e Vesuvio divampano in una volta sola e mi guardo e mi tocco, credendo che tanta fiamma consumi il mio corpo gracile e sottile, e soffro e godo e sento come i figli di quella terra che diede Dante e Leonardo, Macchiavelli e i Borgia; ma i sensi non mi divorano, ma la fantasia non mi consuma: nel mio cratere non ho mai veduto la cenere, ma sempre il fuoco ardente. Io mi sento un uomo d'amianto che è sempre fra le fiamme e mai si consuma. In mezzo al delirio, l'uomo inglese non muore; ed io mi osservo, ed io numero i palpiti del mio cuore, ed io sforzo la volontà perché spenga il fuoco; e l'uomo d'azione e l'uomo del senso insieme respirano, insieme combattono e soffrono insieme.

E dopo il delirio, quando l'uomo del mezzogiorno consumato dalle fiamme dorme e riposa, l'inglese sorge più fresco, più attivo, più eccentrico che mai, e rinnovella la passione e fa risorgere il dolore.

Sento come un italiano, agisco come un inglese; e se il moto perpetuo esiste, e se il dolore eterno non è un sogno, in me io trovo il moto perpetuo e l'eterno dolore. La natura che ha dato i vulcani all'Italia le ha dato la brezza profumata dei boschi d'aranci, la natura che ha dato al tropico la gelosia dell'Arabo e la voluttà del serraglio, gli ha dato ancora i lunghi sonni e i beati sbadigli; ma io ho il vulcano e la nebbia; ho l'intensità e l'estensione del dolore. Perché mai l'amore si permette questi scherzi crudeli? Saldare insieme l'orso bianco ed il tigre, il pino e la rosa, il ghiaccio e il fuoco? Mentre io soffro di un dolore senza nome che dovrebbe spegnersi nel pianto che non ha parole, nel delirio che non ha pensieri; la volontà dell'inglese vuol dominare il dolore, vuol dargli forme di pensiero elevato, vuol cambiare la tortura in un'arte, vuole nelle viscere palpitanti e straziate cercare il bello. Emma, Emma, voi capivate tutto questo, avreste potuto educarmi, voi avreste saputo trovare il segreto di ordinare tutte queste forze, sicché io non fossi un paradosso vivente, ma un uomo utile e buono.

Emma, perché vuoi uccidere te stessa, perché vuoi farti suicida? Voi lo sentite: non è superbia la mia. Le nostre anime sono saldate insieme, i nostri cuori battono in uno stesso tempo, il fiato dell'anima vostra cerca il mio; uccidendo William, voi date morte a voi stessa. Perché volete morire, voi, così giovane, così bella, così cara? Perché volete far morire due creature che, messe vicine, sarebbero tanto felici, che benedirebbero l'ora in cui son nate, e il padre e la madre, e il Creatore che li aveva fatti l'un per l'altro? Qual'è la parola, qual'è il segreto che spiega questo orrendo misfatto?

Io divento superstizioso; mi par di sentirmi nella grotta fredda e umida di una sibilla che non vedo, mi par di sentirmi i brividi e di attendere da una parola magica la sentenza del mio destino. Esiste dunque il fato; esiste dunque l'incubo e la strega e la magìa e l'arcano, l'inesorabile silenzio del tempio e la parola che uccide senza giudizio? Esiste dunque la spada invisibile del destino che piomba sul capo senza diritto e senza ragione, che fa sogghignare il cinico, che fa bestemmiare contro la vita, contro la provvidenza, contro Dio?

Perché non divento pazzo? Perché non posso morire? Ma fossi l'ultimo, il più povero, il più infelice, il più spregevole degli uomini, sono un uomo anch'io e voi, donna, dovete porgere la mano a chi soffre tanto. Accarezzate un'ultima volta la vostra vittima prima di consegnarla al laccio del carnefice; siatele cortese d'una parola sola.

Io non vi domando l'amore, non vi domando la pietà, vi domando l'elemosina di una parola. Rispondete all'ultima lettera. Son tre giorni che io vi ho scritto; capite voi, Emma, che cosa voglia dire tre giorni? Tre giorni e tre notti; settantadue ore, dopo aver letto un pezzo di carta firmato da voi e che mi diceva che non potevate essere mia.

Le leggi moderne permettono ancora la pena di morte, ma il condannato si sente leggere la propria sentenza; egli conosce perché lo si ammazza. Dovrei io esser trattato peggio di un assassino, peggio di un parricida? Son tre giorni che avete ricevuto la mia lettera e avete voi saputo tacere tre giorni? Non siete voi dunque una donna... non siete voi neppure un uomo? Voi siete morta di certo, non potete esser viva. sapendo che, a pochi passi da voi, che dinanzi alla vostra casa, intorno alle mura del vostro giardino, si agita uno spirito che è vostro, che è parte di voi stessa, che muore di gelo, che batte i denti per il freddo e a cui nessuno apre la porta per riscaldarlo. Voi siete morta di certo, miss Emma.

Io sono vile, io sono vile; io vi domando per pietà, in nome di vostro padre che nominate sempre e che io odio come odio voi, come tutti gli uomini, come tutto l'universo... in nome di vostro padre una parola...

 

 




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