Carlo Goldoni
La buona famiglia

ATTO TERZO

SCENA QUINDICESIMA

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SCENA QUINDICESIMA

 

Fabrizio colle gioje, e detti.

 

FABR. Eccovi servito, signore. Queste sono le gioje datemi dal signor Raimondo.

ANS. Mi avete portato altro?

FABR. Che altro vi doveva portare?

ANS. Che altro? Quello che voi solo dar mi potete; e nell'età in cui sono, mi abbisogna assai più del pane. Caro figlio, la pace, la tranquillità, l'amore.

FABR. Cose tutte, che dal canto mio ho procurato sempre di custodire in casa gelosamente; e la mia mala fortuna me le rapisce.

ANS. No, non è vero...

COST. Se son io la vostra mala fortuna, spero che il cielo ve ne libererà quanto prima.

ANS. Non occorre che così diciate... (a Costanza)

FABR. Avreste voi cuore d'abbandonarmi?

ANS. No, non è possibile. (a Fabrizio)

COST. Farà ch'io vi abbandoni la morte, che non mi pare da me lontana.

ANS. Via, dico.

FABR. Può essere ch'io vi prevenga.

ANS. Sei pazzo?

COST. Son certa però, che il mio cuore non ha niente da rimproverarmi.

ANS. Verissimo, che tu sia benedetta.

FABR. Né vi sarà chi possa imputare a me un pensiero d'infedeltà.

ANS. Metterei per te le mani nel fuoco.

COST. I miei difetti meritano molto peggio.

ANS. Quai difetti?

FABR. Per i miei, per i miei si patisce.

ANS. Agnello. (a Fabrizio) Colomba. (a Costanza) Anime belle, innocenti, non vi affliggete più!

COST. Ah! (sospirando)

FABR. Pazienza! (sospirando)

ANS. Non mi fate piangere, per carità.

 

 

 


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