Carlo Goldoni
L'adulatore

ATTO SECONDO

SCENA DICIANNOVESIMA

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SCENA DICIANNOVESIMA

 

Donna Elvira e detti.

 

ELV. Con permissione: si può passare? (di dentro)

LUIG. Chi è di ? Non c’è nessuno?

ELV. Compatitemi, non c’è nessuno. (esce)

LUIG. Se venite per i pizzi...

ELV. Eh, signora mia, non vengo per i pizzi, vengo per il povero mio marito, e darei per esso non solo le venti braccia di pizzo, ma tutto quello che ho a questo mondo.

LUIG. Che cosa gli è succeduto di male?

ELV. Egli è in carcere, e non so il perché.

SIG. Oh cieli! Che sento? Vostro marito in carcere?

ELV. Don Sigismondo, fingete voi non saperlo?

SIG. Io non so nulla. Stupisco altamente di questa terribile novità.

ELV. L’ordine chi l’ha dato della sua carcerazione?

SIG. Io non so nulla.

ELV. Andrò io dal signor Governatore; saprà egli dirmi la cagione di un tale insulto.

SIG. Anderò io, signora, io anderò per voi.

ELV. No, non v’incomodate. Donna Luigia, per carità, vi supplico, vi scongiuro colle lagrime agli occhi, impetratemi dal vostro consorte almeno di potergli parlare.

LUIG. Volentieri lo farò.

SIG. Signora, Sua Eccellenza è impedito.

LUIG. O impedito, o non impedito, quando io voglio, non vi sono impedimenti.

SIG. Bel cuore magnanimo e generoso della mia padrona! Vada, vada, parli per donna Elvira. (Che già non farà nulla senza di me). (da sé)

LUIG. (Guardate, come piangente ancora è bianca e rossa; ed io, quando ho qualche passione, subito impallidisco. Ho invidia a questi buoni temperamenti). (da sé) Ora vado, e vi servo. (parte)

 

 

 


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