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Lelio e Pasqualino, Arlecchino con tabarro e spada, e detti.
MEN. Velo qua sto cagadonao. (verso Lelio)
LEL. Si può? Si può? (cerca di bere)
ARL. Comandele favorir? (fa lo stesso)
MEN. Schiavo, siori. (vuol partire)
MEN. Co gh’è colù, mi me la bato. (accenna Lelio)
LEL. Che signor padre garbato! Voi partite per causa mia, ed io appunto veniva in traccia di voi.
MEN. Mi no son vostro pare. Andelo a cercar vostro padre.
ARL. Al dì d’ancuo l’è un poco dificile a trovar so padre.
LEL. Donna Pasqua mia madre mi ha dichiarato per vostro figlio, e voi, per sottrarvi dall’obbligo di mantenermi, non mi volete riconoscere.
MEN. Dona Pasqua, bona memoria, xe stada una dona mata. No gh’ho mai credesto, no ghe credo, e vu, sior, no ve cognosso per gnente.
ARL. Come? No le volì recognosser per fio? (a Menego)
MEN. Mi ve digo del missier no.
ARL. Nol ve vol recognosser per fio? (a Lelio)
LEL. Ora non è tempo di facezie. Messer Menico, o padre, o non padre, voi mi avete da mantenere. Per causa di vostra moglie non son più figlio di Pantalone. Voi siete stato cheto, dunque lo avete accordato. Avete rinunziato a Pantalone Pasqualino, dunque dovete riconoscer me per vostro figlio. Io non ho mestiere, io non ho con che vivere, voi ci dovete pensare.
ARL. Sior sì, vu n’avè da dar da magnar, da bever, da zogar e da mantegnir la machina. (a Menego)
MEN. E mi no ve vogio dar gnanca l’aqua da lavarve le man.
LEL. Se non me ne volete dar per amore, me ne darete per forza.
ARL. Sangue de mi, se no me ne darè, se ne toremo.
MEN. Coss’è sto per forza: coss’è ste bulae? Se no gh’averè giudizio, ve darò un fraco de legnae.
ARL. Obligatissimo a le so grazie.
LEL. A me legnate? Giuro al cielo, se non mi volete conoscer per figlio, non vi conoscerò per padre, e vi leverò dal mondo.
ARL. Bravo, cussì me piase; sior sì, ve leveremo dal mondo.
MEN. Mi, sior, no gh’ho paura de bruti musi.
PASQUAL. (Oimei! Qua se taca barufa! Me despiase d’esser in compagnia). (da sé)
LEL. Amici, non mi abbandonate. (a Pasqualino ed Arlecchino)
ARL. Fideve de mi, e no ve dubitè.
MEN. Fradei, no me lassè. (ai barcaruoli)
NANE Pugna pro patria, e traditor chi fugge.
TITA Sarò qual mi vorrai, scudier o scudo.
LEL. Alle corte. Mi volete dar dei denari, sì o no? (a Menego)
MEN. Anca mi a le curte. No ve vogio dar gnente.
LEL. Siete un cane, un assassino del vostro sangue.
MEN. A mi?
TITA Qua no se alza la ose, patron.
LEL. Che pretendete da me? Bricconi quanti siete. Pasqualino, Arlecchino, pronti.
NANE Coss’è sti briconi? Sier peruca de stopa.
TITA Parlè megio, sier mandria.
LEL. Eh, giuro al cielo. (alza il bastone contro i barcaruoli)
NANE Indrio, sier cagadonao. (caccia mano a un stilo)
TITA Via, che te sbuso. (sfodera un pugnale)
LEL. V’ammazzerò quanti siete. (mette mano alla spada. Pasqualino e Arlecchino fuggono. Siegue zuffa tra Lelio e Nane e Tita; Menego vorrebbe dividerli, ma non s’arrischia; finalmente Nane dà una stilettata in petto a Lelio, il quale barcollando va a morire dentro la scena.)
MEN. (Si mostra confuso senza parlare, e parte)