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Il segretario e detto; poi il cameriere, che parte e viene più volte.
SEGR. Obbedisco. (siede e scrive)
OTT. Madama. (detta) Sempre care mi sono le vostre lettere, ma più d’ogni altra cara mi riuscì quella de’ 10 corrente, poiché dandomi voi in essa un comando mi avete assicurato che fate qualche conto della mia servitù. Senz’altro voi sarete obbedita. Alle tenere espressioni vostre corrispondo col più sensibile aggradimento. Dieci anni sono, mi avrebbero fatto prender le poste per esser a portata d’udirle più da vicino; ma se verrete a Napoli, come mi lusingate di voler fare, i vostri begli occhi mi daranno il vigore della più fervida età, e stupirete voi stessa de’ prodigi della vostra bellezza. Conservatemi quella porzione di grazia che avete sagrificata per me; mentre fra il numero de’ vostri adoratori io mi vanto di essere con perfetta sincerità.
Vostro leale amico e serv. obbligatiss. |
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(si sottoscrive) |
Piegate la lettera. A Madame-Madame la Comtesse Belvisi. À Rome.
CAM. Illustrissimo, vi è il medico che vorrebbe riverirla.
OTT. Dite al signor dottore, che resterà a pranzo con noi. Fatelo passare nell’altre stanze. (Cameriere parte) Il medico lo vedo più volentieri quando son sano, che quando sono ammalato.
SEGR. Perché, illustrissimo signore?
OTT. Perché, quando son sano, lo ricevo come un amico, e quando sono ammalato, lo considero come un nemico.
SEGR. Il signor dottore ha tutta la premura per la salute di V.S. illustrissima.
OTT. Non posso credere che mi desideri sano, poiché egli ricava più profitto dalle mie malattie che dalla mia salute. Avete fatte le tre lettere che vi ho ordinato?
SEGR. Eccole.
SEGR. (Il mio padrone è adorabile, ma sa troppo, e mi pone nello scrivere in una gran soggezione). (da sé)
OTT. Più laconico, più laconico. (leggendo)
SEGR. (Dir tutto in poco non è così facile).
OTT. Questi superlativi sono caricature. (legge) Oibò, queste parole affettate non voglio che si usino. Scrivete in buon italiano, senza cercar lo stile cruschevole.
CAM. Illustrissimo, è il conte Lelio.
OTT. Ditegli che è arrivato mio nipote, che oggi resterà a pranzo con noi. Se si vuol trattenere, conducetelo nella galleria. (Cameriere parte) Segretario, questi termini di tanta umiliazione lasciateli da parte. (leggendo)
SEGR. Sono i termini dei quali si serve ella parlando.
OTT. Parlando è un conto, scrivendo è un altro. Verba volant, scripta manent. Regolatevi. Questa lettera la rifaremo insieme.
SEGR. Perdoni, illustrissimo signore.
OTT. Sì, vi compatisco. Con un poco di tempo mi servirete mirabilmente.
CAM. Illustrissimo, la baronessa Clarice.
OTT. Oh brava! Fate l’ambasciata alla contessa mia cognata. Pregatela dispensarmi per ora, sarò a chiederle scusa. (Cameriere vuol partire) Dite alla contessa Beatrice, che vi mando io: se non la riceve, avvisatemi. (Cameriere parte) Caro segretario, a un gentiluomo di provincia date del padron colendissimo? (leggendo)
SEGR. Cogli altri cavalieri ho costumato così.
OTT. Alla francese, alla francese. Monsieur.
CAM. Il signor Pantalone de’ Bisognosi. (al Conte)
OTT. Vi son altri in anticamera?
CAM. Vi è il sarto e il tapezziere.
OTT. Mandateli dal maestro di casa. Il signor Pantalone fatelo passare per l’altro appartamento, e introducetelo per di qua.
OTT. La contessa ha ricevuta la baronessa?
CAM. L’ha ricevuta coi denti stretti. (parte)
OTT. Già non allarga i denti, se non quando dice male del prossimo. Segretario, rifate la prima lettera, e poi questa sera ci rivedremo.
SEGR. E a quest’altra, Monsieur?
OTT. Qualche vezzo, qualche parola brillante.
OTT. Avete mai fatto all’amore?
SEGR. Illustrissimo no.
OTT. Sarete sempre di poco spirito.
SEGR. Io dubito, se m’innamorassi, che diventerei peggio.
OTT. Altro è innamorarsi, altro è far all’amore.
SEGR. Perdoni, non rilevo questa differenza.
OTT. Né io vi voglio fare il maestro.
SEGR. (In verità, che da un tal padrone vi è da imparar qualche cosa). (da sé, parte)
OTT. Il mio segretario non è tagliato sul gusto del gran mondo; ma non importa, pel mio servizio è meglio così.