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Il contino Florindo, il cameriere e detti.
FLOR. Servitor di lor signori.
OTT. Oh bravo, nipote. Presto, in tavola. (al Cameriere)
BEAT. Dove siete stato sinora? (a Florindo)
OTT. Eh, che le madri prudenti non domandano queste cose. È stato dalla sposa. Animo, signori, favoriscano. Levate le spade, i cappelli; libertà, libertà. Via, signori, vadano. Maledette le cerimonie. Non ancora? Chi ha fame, vada, chi non ha fame, resti. Damine, andiamo. (dà il braccio a Clarice ed a Eleonora, e partono)
BEAT. Dove sei stato, disgraziato? (a Florindo)
BEAT. Dopo pranzo ci parleremo. (parte)
FLOR. Mia madre non mi gode; vengo a star con mio zio. (parte)
DOTT. Dunque anderò io. (facendo le cerimonie con Pantalone)
LEL. Con sua buona grazia, tocca a me.
DOTT. Dice bene, perché è più affamato degli altri.
LEL. Dottor ignorante. (parte)
DOTT. Che dite, Pantalone amatissimo, di questo parassito insolente?
PANT. Mi digo che un cavalier de bon gusto nol l’averia da sopportar.
DOTT. Il conte lo soffre, perché credo se ne serva nelle sue occorrenze.
DOTT. Quando viene l’occasione, codesti scrocconi fanno di tutto un poco. (parte)
PANT. Ma! questa xe la zente che gh’ha fortuna. Buffoni e batti canaffio6. (parte)