Carlo Goldoni
Buovo d'Antona

ATTO SECONDO

SCENA TREDICESIMA Bosco corto con sedili d'erbe. Buovo, poi Menichina e poi Striglia

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SCENA TREDICESIMA

Bosco corto con sedili d'erbe.

Buovo, poi Menichina e poi Striglia

 

BUO.

Come un cane arrabbiato

Vado fremendo in questa parte e quella

Senza trovar riposo. Ah donna ingrata,

Ah femmina spietata!

Dopo tante promesse e giuramenti,

Tradirmi e abbandonarmi,

Donarti in preda al mio rivale indegno?

Ah, non resisto più, fremo di sdegno.

MEN.

Bovino mio diletto!

BUO.

Amore maledetto,

Tu me l'hai ben ficcata!

MEN.

E tu sospiri ancor per quell'ingrata?

BUO.

Per pietà, Menichina,

Non tormentarmi più.

MEN.

Per pietà, Buovo,

Non mi far più penar. A chi t'adora

Dona tu pure amor. Caro Bovino,

Dammi una dolce occhiata:

Mira la grazia e il brio,

Mira gli occhi brillanti

Sebben molli di pianto.

Ma tu non m'odi, ed io mi struggo intanto.

BUO.

Mi struggo anch'io di rabbia e di veleno.

Son peggior d'una vipera,

Peggior d'un basilisco. Io spiro fuoco

Dalla bocca, dagli occhi, ed un ardente

Mongibello ho nel sen.

Drusiana ingrata!

MEN.

Un ingrato tu sei

Anche peggior di lei.

Spasimo, moro,

Piango, ti priego, e tu più duro assai

D'un sasso, d'una incudine, mi sprezzi,

E mi lasci languir?

BUO.

Oh che tormento!

Sentimi, Menichina.

Adesso io sono

Agitato di molto:

Ritorna un'altra volta, e allor t'ascolto.

MEN.

Crudelaccio, m'inganni.

BUO.

Non t'inganno, lo giuro.

MEN.

Vado, ma dammi prima un'occhiatina.

BUO.

Eccola. Vanne.

MEN.

Un'altra.

BUO.

Oh, tu sei pure ingorda! Oh che pazienza!

Ti ho già guardato: addio.

MEN.

(Fingerò di partir). Vado.

BUO.

Ma presto.

MEN.

Ti lascio. Oimè! che gran tormento è questo. (parte)

BUO.

Se fossi in libertà. Ma troppo è fitto

Il dardo al cor. Drusiana ingrata, io peno,

Io per te moro, oimè!

Par che non possa

Più sostenermi in piè. Manco, vacillo.

Dove son? che risolvo? Ah, voi per poco,

Solitudini amene,

Voi, taciturni orrori,

Qualche triegua donate a' miei furori. (Si getta a sedere)

 

Il soave mormorio

Di quel rio,

Lo spirar de' venticelli,

Il cantar de' vaghi augelli,

Par che inviti l'alma oppressa

Dolcemente a riposar.

MEN.

Dormi, o caro, al mormorio

Di quel rio;

E il soffiar de' venticelli,

E il cantar de' vaghi augelli,

Deh ti faccia, o mio tesoro,

Dolcemente riposar.

 

Ma gente vien. È Striglia.

STR.

Ehi, Menichina,

In tali circostanze

Perché Buovo sen dorme?

MEN.

Oh, tu non sai

Come è fuori di sé!

STR.

Basta, conviene

Tosto svegliarlo. Buovo.

BUO.

Cosa c'è, cosa c'è?

STR.

Del bello e buono:

Di dormir non è tempo. All'armi, all'armi.

Parlai con più di dieci

Capi di queste ville, e tutti sono

Pronti ad ogni occasione

A far per voi una sollevazione.

MEN.

Anch'io mi comprometto

Sollevar della gente.

Ho anch'io più d'un parente,

Ho delle amiche e degli amici anch'io

Che faranno in tal caso a modo mio.

STR.

Ma convien pria distruggere

Della supposta morte

La favola che abbiamo

Per ripiego inventato.

MEN.

Convien farvi veder risuscitato.

BUO.

Facile ciò sarà; ch'io vivo sono,

Lo vedran colla prova.

 

 

 


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