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Madama: Per quanto io veggo, non siete quello che marita vostra sorella.
Dalancour: (imbarazzato) La marita mio zio.
Madama: Ve n'ha egli parlato vostro zio? Vi ha chiesto il vostro consenso?
Dalancour: Il mio consenso? (un po' riscaldato) Non avete veduto Dorval? Non me l'ha egli detto? Non si chiama ciò un chiedere il mio consenso?
Madama: (un po' vivamente) Sì, questa è una gentilezza per parte del signor Dorval; ma vostro zio non vi ha detto nulla?
Dalancour: (imbarazzato) Ciò vuol dire che...
Madama: Ciò vuol dire ch'egli non ci conta uno zero.
Dalancour: (riscaldato) Ma voi prendete tutto in cattiva part : ciò è terribile; voi siete insopportabile.
Madama: Io insopportabile! (un po' afflitta) Voi mi trovate insopportabile! (con molta tenerezza) Ahi marito mio, questa è la prima volta che vi è uscita di bocca un'espressione simile. Fa d'uopo che abbiate dei gran dispiaceri per dimenticarvi a tal segno del vostro dovere.
Dalancour: (Ah! pur troppo dice il vero!) (con trasporto a Madama) Mia cara moglie, vi chieggo perdono di tutto cuore. Ma voi conoscete mio zio: volete che noi l'irritiamo maggiormente? Volete che io pregiudichi mia sorella? Il partito è buono, non c'è nulla da dire. Mio zio lo ha scelto, tanto meglio; ecco un imbarazzo di meno per voi e per me.
Madama: Andiamo innanzi; mi piace che voi prendiate la cosa in buona parte; vi lodo e v'ammiro. Ma permettetemi di far un riflesso. Chi si prenderà il pensiero de' preparativi necessarj per una giovane che si fa sposa? Se ne incaricherà vostro zio? Sarebbe ciò conveniente, sarebbe onesto?
Dalancour: Avete ragione. Ma ci resta ancora del tempo. Ne parleremo.
Madama: Uditemi. Voi lo sapete, io amo Angelica. Questa ingrata non meriterebbe ch'io mi prendessi verun pensiero di lei; ma finalmente è vostra sorella...
Dalancour: Come! voi chiamate mia sorella un'ingrata! Perché?
Madama: Per ora non ne parliamo. Io le chiederò a quattro occhi una spiegazione, e poi...
Dalancour: No; voglio saperlo.
Madama: Abbiate pazienza, mio caro marito.
Dalancour: (con molto calore) No; vi dico che voglio saperlo.
Madama: Poiché volete così, fa d'uopo l'appagarvi.
Dalancour: (da sé) (Cielo! tremo sempre.)
Madama: Io la credo troppo del partito di vostro zio.
Dalancour: Perché?
Madama: Ella ebbe a dire a me, a me stessa, che i vostri affari erano in disordine, e che...
Dalancour: I miei affari in disordine? Lo credete voi?
Madama: No: ma mi ha parlato in maniera da farmi credere ch'ella sospetta ch'io ne sia stata la cagione, o per lo meno che io vi abbia contribuito.
Dalancour: Voi? Ella sospetta di voi? (ancora più riscaldato)
Madama: Non vi adirate, mio caro marito. Io vedo bene ch'essa non ha il suo buon giudizio.
Dalancour: (con passione) Mia cara moglie!
Madama: Non vi affliggete. Per me, credetemi, non ci penso più. Tutto viene da lui; vostro zio è la cagione di tutto.
Dalancour: Eh! no: mio zio non è di cattivo cuore!
Madama: Non è egli di cattivo cuore! Cielo! Che v'ha di peggio al mondo di lui? Anche poco fa non mi ha fatto vedere?... ma gli perdono.
Lacchè: (a Dalancour) Signore, fu recata per voi questa lettera.
Dalancour: Dammela. (agitato prende la lettera)
Dalancour: (mentre agitato apre la lettera) Vediamo. Questo è carattere del mio procuratore.
Dalancour: Lasciatemi per un momento. (egli si ritira in disparte, legge piano, e mostra dispiacere)
Madama: (da sé) (Vi sarebbe forse qualche disgrazia?)
Dalancour: (dopo aver letto) (Io sono perduto.)
Madama: (da sé) (Il cuore mi palpita.)
Dalancour: (Mia povera moglie! che sarà di lei?... Come potrò dirglielo?... Ah! non ho coraggio.)
Madama: (piangendo) Mio caro Dalancour, ditemi: che c'è? Fidatevi di vostra moglie; non sono io la miglior amica che abbiate?
Dalancour: (le dà la lettera, e parte) Prendete. Leggete.... Questo è il mio stato.