Carlo Goldoni
Il cavaliere giocondo

ATTO QUINTO

SCENA OTTAVA

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SCENA OTTAVA

 

Fabio con Lisaura, e detti.

 

FAB.

Signore, eccola qui.

CAV.

Ah, ci siete venuta!

LIS.

Gianfranco, soccorretemi.

GIAN.

Siete già conosciuta.

LIS.

Son femmina onorata.

CAV.

Ben bene, si vedrà.

MAD.

Gianfranco v'ha sposata?

LIS.

Un mi sposerà.

MAD.

Qua, signor Cavaliere, ci va del vostro onore.

Se vedonsi da voi partir con mal odore.

Per rimediare in parte a simile insolenza,

Fate che si maritino alla vostra presenza.

CAV.

Presto alla mia presenza si faccia il matrimonio,

Il mio mastro di casa serva di testimonio.

MAD.

Cosa avete in contrario?

GIAN.

Per me ne son contento.

Finora per Lisaura soffrii qualche tormento.

Ella non mi voleva...

LIS.

Perché speravo ancora,

Sposata a un cavaliere, di diventar signora.

Or che don Alessandro m'ha detto i suoi pensieri,

Gianfranco, se mi vuole, lo sposo volentieri.

GIAN.

Sì, cara, eccomi qui.

MAD.

Presto la man si dia;

Sposatevi d'accordo, e tosto andate via.

GIAN.

Sposarci senza dote è un po' la cosa dura.

CAV.

Non bastavi le doppie aver nella cintura?

GIAN.

Signor, son poveruomo.

LIS.

Io sono un'infelice.

MAD.

Cavalier, principiate, sarovvi imitatrice:

Fate lor qualche dono, che sia degno di voi.

Anch'io farò lo stesso, e partiran dipoi.

CAV.

Mastro di casa, a loro si diano dieci lire.

MAD.

Capperi, da mangiare lor date e da vestire!

Eccovi cento scudi.

CAV.

Lor datene altri cento. (a Fabio.)

Siete così contenti?

GIAN.

signor, son contento.

MAD.

Via; sposatevi presto.

GIAN.

Ecco, signora sì.

Siamo marito e moglie.

MAD.

Or partite di qui.

Ma subito si parta.

GIAN.

Si parte in sul momento.

Signor, io vi domando umil compatimento.

Servavi ciò d'avviso, che sonvi tra i viandanti

Degli uomini dabbene, e ancora dei birbanti.

E dall'inganno nostro cavatene tal frutto,

Che a chi cammina il mondo non s'ha da creder tutto;

Che l'esser generoso a un cavalier conviene,

Ma chi riceve in casa, dee pria conoscer bene.

Perché fra il lungo stuolo di tanti viaggiatori,

Vi sono i vagabondi, vi sono gl'impostori;

E se tale son stato, almeno io mi consolo,

Che ne conosco tanti, e che non son io solo. (parte.)

LIS.

Ora ch'è mio marito, non lo sarà più certo;

Di farlo galantuomo aver io voglio il merto.

Poiché per sperienza ho appreso anch'io da tanti,

Che sempre è lacrimoso il fine dei birbanti. (parte.)

CAV.

Voi, presto, i cento scudi andatele a contare. (a Fabio.)

FAB.

Essi alla barba vostra li andranno a scialacquare. (parte.)

CAV.

Sentite? Io li regalo, e mi diranno il matto.

MAD.

È sempre bene il bene, e quel ch'è fatto, è fatto.

 

 

 


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