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ARG. Eccole qui. Taroccano. Due sorelle sole, giovani, ricche, garbate, non si possono fra di loro vedere.
FLA. Che ne dici, Argentina? Sempre così.
CLAR. Tu come c'entri a venir a fare la correttrice? Sta da quella che sei. La cameriera non si ha da prendere tanta libertà colle sue padrone.
ARG. Perdoni, signora, perdoni. Non credo d'averla offesa.
FLA. Lasciala stare, Argentina. Conosci il suo stravagante temperamento.
ARG. Peccato, in verità, ch'ella sia così stravagante!
CLAR. Temeraria! Io stravagante?
ARG. Compatisca: è una parola questa, ch'io non so che cosa voglia dire. L'ho replicata, perché l'ha detta la signora Flaminia. Parlo anch'io come i pappagalli.
CLAR. È peccato ch'io sia stravagante?
ARG. Se mi sapessi spiegare, vorrei pur farmi intendere. È peccato che una signora così bella, così graziosa... Se dico degli spropositi, mi corregga.
CLAR. Tu parli in una maniera che non si capisce.
ARG. Effetto della mia ignoranza. Ma io vorrei vedere che le mie padrone si amassero, si rispettassero, vivessero un poco in pace.
FLA. Questo è quello che vorrei anch'io.
CLAR. È impossibile, impossibilissimo.
ARG. Ma perché mai?
CLAR. Perché sono una stravagante, non è vero?
ARG. Tutto quello ch'ella comanda.
CLAR. Io comando che tu stia zitta e che mi porti rispetto.
ARG. La non comanda altro? Faccia conto ch'io l'abbia bell'e servita. Signora Flaminia, ho da darle una buona nuova.
ARG. È arrivato il signor Ottavio.
CLAR. Il signor Ottavio è venuto?
ARG. Perdoni, io non l'ho detto a lei.
ARG. Non ancora.
CLAR. Che cosa è venuto a fare il signor Ottavio?
ARG. L'ho veduto dalla finestra, mi ha chiamata in istrada... (a Flaminia)
CLAR. A me non si risponde? (ad Argentina)
ARG. Oh signora, so il mio dovere. Quando mi comandano di star zitta, non parlo. (a Clarice) Son discesa per sentire che voleva da me. (a Flaminia)
CLAR. (Costei mi vuol far venire la mosca al naso). (da sé)
FLA. E così, Argentina mia, che cosa ti ha detto?
ARG. Senta. Con sua licenza. (a Clarice, tirando Flaminia da parte)
CLAR. Come! non posso sentire io?
CLAR. Perché?
ARG. Perché ha dette certe cose che a lei non possono dar piacere. Se gliele dicessi, mancherei al rispetto. So il mio dovere. (a Clarice) E così, signora mia... (a Flaminia)
CLAR. Parla: voglio sapere che cosa ha detto di me.
ARG. Ma se mi ha comandato di tacere.
ARG. Taci, parla; voglio, non voglio: e poi non vorrà che le si dica che è stravagante.
ARG. Tutto quello che comanda la mia padrona. (a Clarice) E così, come le diceva... (a Flaminia)
FLA. (Mi fa quasi venir da ridere). (da sé)
CLAR. (Maledetta, non la posso soffrire). (da sé)
ARG. (Senta. Il signor Ottavio vuol fare una visita al signor padrone. Spero, mi disse, ch'un uomo della mia sorte sarà ben accolto dal signor Pantalone...) (piano a Flaminia)
CLAR. Vuoi tu ch'io senta, o vuoi che ti dica quello che meriti? (ad Argentina)
ARG. Io gli ho risposto... (come sopra, non badando a Clarice)
CLAR. Che impertinenza è la tua? (ad Argentina)
FLA. Via, contentala quella signora. Di' forte, ch'io non ci penso.
ARG. Ma poi, se parlerò forte, mi dirà che stia zitta.
CLAR. Tu devi obbedire, fraschetta.
ARG. Obbedirò. Disse il signor Ottavio: verrei a fare una visita alla signora Flaminia; ma non posso soffrire quell'umore stravagante della signora Clarice.
CLAR. A me questo? Io stravagante?
ARG. L'ha detto il signor Ottavio.
ARG. Ecco qui: parla; non più; sta zitta.
CLAR. Se mio padre non ti caccia di questa casa, nascerà qualche precipizio.
ARG. Certamente si seccherà...
CLAR. Che cosa?
CLAR. Non ti posso soffrire. Vado ora da mio padre a dirgli liberamente che non ti voglio.
ARG. E così, tornando al nostro proposito... (a Flaminia)
ARG. Sappia che il signor Ottavio... (a Flaminia)
ARG. Mi comandi... (a Clarice)
CLAR. (Se più l'ascolto, se più mi fermo, la bile mi fa crepare assolutamente). (da sé, e parte)