Carlo Goldoni
La cameriera brillante

ATTO PRIMO

SCENA DECIMA

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SCENA DECIMA

 

Argentina e detti.

 

ARG. Signori miei, che cos'è questo strepito? Questo è un fare all'amore all'usanza de' gatti.

CLAR. Già vi mancava la dottoressa, che venisse un poco a seccarmi.

ARG. Basta ch'io non secchi il signor Florindo.

CLAR. Come sarebbe a dire?

ARG. Perché, se ha d'ammogliarsi, non è dover che si secchi.

CLAR. Tu non parli, se non dici delle impertinenze.

ARG. Che cosa dice il signor Florindo? Questo matrimonio quando si fa?

FLOR. Per quel che sento, non si farà più.

ARG. No? Perché mai? Il signor Pantalone lo desidera, e s'ha da fare.

CLAR. Il signor Florindo vuol per moglie una contadina.

FLOR. Io non dico di volere una contadina; ma una donna che faccia tutto quello che piace a me.

ARG. Questa è una cosa giusta. La moglie s'ha da uniformare al marito.

CLAR. Sì, quando il marito non è di una stravaganza e di un gusto depravato, come il signor Florindo.

ARG. Per esempio, signor Florindo, come vorrebbe ella che si contenesse la di lei sposa?

FLOR. Alla buona. Senza ricci, senza tuppè, senza polvere sul capo.

ARG. Così spettinata, arruffata.

FLOR. Come si leva dal letto.

ARG. Benissimo; con innocenza; senza artifici. La signora Clarice starà benissimo.

CLAR. Pare a te, scioccarella, ch'io volessi andare così?

ARG. Perdoni, signora. (a Clarice) Favorisca, come vorrebbe che andasse vestita? (a Florindo).

FLOR. Positiva; senza cerchio, senza trine; né argento, né oro, né seta.

ARG. Vestita di mezza lana.

FLOR. Per l'appunto.

ARG. In verità la signora Clarice con questa semplicità parerebbe una stella.

CLAR. Tu ti burli di me, sfacciatella?.

ARG. Compatisca. (a Clarice) Circa alla conversazione signore? (a Florindo).

FLOR. La conversazione l'ha da far con me, e al più al più coi miei contadini.

ARG. Al più al più qualche merendina sotto d'un albero.

FLOR. Mi contento.

ARG. Ballare qualche furlana al suono di un cembalo.

FLOR. Via, qualche volta.

ARG. La signora Clarice...

CLAR. La signora Clarice è stanca di soffrirti. E voi, se non avete altra miglior convenienza, non fate conto di me. (a Florindo)

FLOR. Pazienza, se non averò voi, ne troverò un'altra.

CLAR. No, non la ritroverete.

. Eh sì, signora, la troverà.

FLOR. La troverò.

CLAR. Ci gioco la testa che non la ritrova.

ARG. Giochiamo uno scudo che la ritroverà.

CLAR. Chi vuoi tu che lo prenda?

ARG. Lo prenderò io, signora.

FLOR. Eccola, l'ho trovata.

CLAR. Non potete sperar altro che una vil serva.

FLOR. Per me vi dico che tutte le donne son donne.

ARG. Sente, signora? Tutte siamo donne.

CLAR. Non vi è differenza dalla padrona alla serva?

ARG. Io sto a quel che dice il signor Florindo.

CLAR. E tu, indegna, lo prenderesti?

ARG. Lo prenderei, per liberar lei dal pericolo d'andar vestita di lana.

CLAR. Sei una temeraria. Il tuo ardire s'avanza a troppo. Metterti in confronto di una mia pari? No, non lo sposerai. Mio padre ha avuta per me la parola da lui. Odio le sue stravaganze, ma non soffrirò che mi faccia un affronto. Tu sei una pettegola. Florindo è un pazzo. Ma giuro al cielo, io son chi sono. (parte)

FLOR. Ridi, Argentina, che l'è da ridere. Ehi, hai tu detto da vero?

ARG. Perché no?

FLOR. Sai dove sto di casa. Se vieni da me, in due parole ti sbrigo. (parte)

ARG. Non lo prenderei se mi facesse padrona di tutto il suo. Ma ho piacere a far disperare la signora Clarice. Ella non può veder me, ed io non posso soffrir lei. In questa parte andiamo d'accordo. Mi preme all'incontro la signora Flaminia, e la servirò come va. Mi preme poi me medesima, e non perderò di vista l'interesse mio. Io l'intendo così. Rider di tutti, burlar quando posso. Farmi amar da chi voglio; e far crepar dalla rabbia chi non mi vuol bene. (parte)



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