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ARG. Il padrone è un uomo che facilmente si dà alla malinconia. Bisogna tenerlo divertito; e colle barzellette può essere che mi riesca di fargli fare di quelle cose, che pensandovi sopra con serietà forse forse non le farebbe.
PANT. Arzentina, no faremo gnente. (con un foglio in mano)
PANT. Perché mi ste parole toscane le me fa rabbia, e no le posso imparar.
ARG. Fate torto a voi stesso, signore, a parlar così. Le vostre figliuole parlano pure toscano.
PANT. Elle le xe stae arlevae da mio fradello a Livorno, e per quello le toscaneggia. Ma mi, ve torno a dir, sti slinci e squinci no i posso dir.
ARG. Io che sono nata toscana, sentite pure che qualche volta mi adatto a parlar veneziano.
PANT. Vu sè vu; mi son mi; e no ghe ne voggio saver.
ARG. Vorrei veder anche questa.
PANT. No gh'è altro. Tolè la vostra parte.
ARG. Sì, ho sempre detto che per me non movereste un passo, non aprireste né meno la bocca. Bene, saprò ancor io regolarmi.
PANT. In sta sorte de cosse...
ARG. E poi dirà che mi vuol bene.
PANT. Lo vederè, se ve voggio ben.
ARG. Se mi volete bene, avete da far quella parte.
ARG. Ed io voglio che la facciate.
ARG. Sì, lo voglio.
PANT. Stimo assae, sto dir voglio.
ARG. Lo voglio, e posso dire lo voglio
PANT. Con che fondamento patrona, diseu sto voglio?
ARG. Sapete chi sono io? (altera)
ARG. Sono... la vostra cara Argentina.
PANT. E per questo?...
ARG. E per questo, il mio caro padrone, il papà mio caro, mi farà questo piacere: farà quella bella particina. Reciterà nella commedia, e darà questo piacere alla sua cara Argentina.
PANT. So, desgraziada, che ti me pol. Sì che farò tutto quel che ti vol. Sì, baronzella, parlerò toscano, arabo, turco; e in tutti i lenguazi de sto mondo te dirò sempre che te voggio ben. (parte)