Carlo Goldoni
Il conte Caramella

ATTO SECONDO

SCENA SESTA   Camera con nascondiglio.   Ghitta e Cecco

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SCENA SESTA

 

Camera con nascondiglio.

 

Ghitta e Cecco

 

GHI.

Cecco mio, vuò narrarti una novella.

Sappi che nella stanza

In cui poc’anzi ci trovammo uniti,

Con un uomo parlai più di mezz’ora.

CEC.

E chi era costui?

GHI.

Non lo conosco.

CEC.

Eh, lo conoscerai.

GHI.

No, te lo giuro,

Perché parlato abbiam sempre all’oscuro.

CEC.

Come? all’oscuro con un uom parlare?

GHI.

E ben, che male c’è?

Non ho al buio parlato anche con te?

CEC.

Ma io sono il tuo sposo.

GHI.

E non potrebbe

Esserlo anche quell’altro?

CEC.

Oh, questa è bella!

Quanti sposi vorresti?

GHI.

Che so io!

Non s’appaga d’un solo il genio mio.

CEC.

Ma sai tu che sia sposo?

GHI.

Oh che domande!

Certo, lo so. Lo sposo è un giovinetto

Che va per suo diletto

Amoreggiando le fanciulle intorno;

E se ne può cambiar più d’uno il giorno.

CEC.

Eh t’inganni; codesto

È amante, e non è sposo.

GHI.

Ma lo sposo

Non deve essere amante?

CEC.

Sì, senza dubbio alcuno.

GHI.

Dunque sposo ed amante egli è tutt’uno.

CEC.

Sarà come tu vuoi. Ma dimmi, o Ghitta,

Che ti disse quell’uom così all’oscuro?

GHI.

Mi volea tanto bene.

CEC.

Tu il lasciasti parlare?

GHI.

Oh, io non so la gente disgustare.

CEC.

Dunque, se ti venisse

A pregare qualcun, cuor non avresti

Di dirgli: signor no?

GHI.

Oh, io la gente disgustar non so.

CEC.

Ghitta, quand’è così, ti do il buon giorno:

Tu non fai più per me.

GHI.

Per qual ragione?

CEC.

Perché troppo dell’uomo hai compassione.

GHI.

Se crudele mi vuoi, crudel sarò.

Giuro non parlerò mai più d’amore;

Ma tu non mi privar del tuo bel core.

CEC.

Via, se così farai,

Il mio ben tu sarai. Dammi la mano.

GHI.

Vanne da me lontano.

CEC.

Mi discacci?

Quest’è la prova del tuo amor fedele?

GHI.

Per piacerti, son io teco crudele.

CEC.

Con gli altri esser dei cruda,

Ma non però con me.

GHI.

Oh questa è bella affé!

Perché fare dovrei tal differenza?

Questa, Cecco, sarebbe un’insolenza.

CEC.

Ma io sono il tuo sposo.

GHI.

E quello ancor della passata

Credo che su due piè m’abbia sposata.

CEC.

Sposata? E cosa ha detto? E come fu?

GHI.

Ha detto anch’egli quel che hai detto tu.

CEC.

Ghitta mia, ti saluto.

GHI.

E dove vai?

CEC.

Ti lascio e vado via,

Ch’io non ti voglio amare in compagnia.

GHI.

Ma io, perché ho paura a restar sola,

Voglio più d’un amante.

Così quando uno parte, l’altro resta;

E una buona ragion mi sembra questa.

 

Bella cosa, il provo, il so,

È l’aver più d’un amante

Che m’aiuti a vendemmiar,

Ad arar ed a cantar:

«Va bizzarro, va morello,

Va chiarello, va , viò».

E poi la festa alla villana

Far la gagliarda, far la furlana,

Con questo e quello, con chi mi vuò.

Tocchela, suonela, la chitarrina:

Da contadina ballare saprò. (parte)

 

 

 


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