Carlo Goldoni
La castalda

ATTO SECONDO

SCENA NONA

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SCENA NONA

 

Pantalone e Lelio

 

PANT. Caro sior Lelio, la prego de lassar le cerimonie da banda, e le parole studiae: la me diga el so sentimento chiaro, schietto, alla bona, se la vol che l’intenda, e se la vol che ghe responda a proposito.

LEL. Dirò dunque, brevemente e chiarissimamente parlando...

PANT. Via, da bravo.

LEL. Che siccome gli effetti simpatici dell’attrazione operano negl’individui umani...

PANT. Tornemo da capo.

LEL. Così la magnetica possanza delle amorose pupille della nipote hanno attratto gli effluvi dell’acceso mio cuore.

PANT. Mo che diavolo de parlar xe questo!

LEL. Onde...

PANT. Onde...

LEL. Quantunque sia il merito mio a quello della nipote vostra eterogeneo...

PANT. Eterogeneo...

LEL. Mi consolo e mi animo con il poeta

Che ogni disuguaglianza amore uguaglia.

PANT. Ala finio?

LEL. No, signore, ho principiato appena.

PANT. Avanti che la se inoltra nel discorso, vorla che ghe diga mi do parole?

LEL. Le ascolterò con quel piacere con cui si odono le melodie più sonore.

PANT. Ho capio quel che la me vol dir.

LEL. Effetto della vostra perspicacissima mente.

PANT. Ghe piase mia nezza Rosaura?

LEL. Come alle api la fresca rosa.

PANT. Che intenzion mo ghala sul proposito de sta riosa?

LEL. Coglierla vorrei sul mattino; levandola dal giardino vostro per trapiantarla nel mio.

PANT. Ho inteso tutto. Ma co sta sorte de termini no se tratta un affar serio de sta natura. Parlemose schietto. Sior Lelio, burleu o diseu da senno?

LEL. Parlo del miglior senno ch’io m’abbia.

PANT. Mia nezza ve piase?

LEL. La preferisco a Diana, a Venere ed alle Grazie istesse.

PANT. Che intenzion ghaveu sora de ela?

LEL. Se una propizia stella...

PANT. Lassemo star le stelle e la luna, parlè sul sodo; la voleu per muggier?

LEL. Ecco il punto, ove tendono le linee dei miei desideri.

PANT. (E no gh’è remedio, che el voggia lassar sti strambotti). (da sé)

LEL. Voi scrutatore degli animi innamorati...

PANT. Alle curte, sior Lelio. Mia nezza no gh’ha altro che siemile ducati de dota.

LEL. Perdonate. Vostra nipote ne ha assai di più.

PANT. No xe vero. No la gh’ha de più; tanto ha avù so , e tanto ghe dago a ela.

LEL. Oltre la dote materna...

PANT. Ve digo che no la gh’ha altro.

LEL. Ed io asserisco di sì.

PANT. Voleu saver più de mi?

LEL. Il zio non può privarla di quel tesoro ch’ella possiede.

PANT. Del mio son paron mi; e ve torno a dir, no la gh’ha de più de siemile ducati.

LEL. Ed io sostengo ch’ella ne ha trentamila.

PANT. Come?

LEL. Eccovi l’aritmetica dimostrazione. Diecimila il bel labbro, diecimila il suo bellissimo cuore.

PANT. Ve contenteu de sta dota?

LEL. Son contentissimo.

PANT. Anca senza i siemile in contanti?

LEL. Questi non li calcolo un zero.

PANT. Co l’è cussì, ve la dago coi trentamile.

LEL. Aggiungete: altri diecimila le porporine sue guancie.

PANT. La gh’ha anca una bella man; quanto voleu che la calcolemo?

LEL. Un tesoro.

PANT. Sì, un tesoro. Co la ve comoda, la xe vostra.

LEL. Verba ligant homines.

PANT. Per mi son contentissimo. Sentirò se Rosaura xe contenta anca ela.

LEL. Ella lo desidera, siccome la vite aspira avviticchiarsi all’olmo.

PANT. Come lo saveu?

LEL. Me lo assicurarono le di lei voci.

PANT. Avè parlà con ela?

LEL. Oui, monsieur.

PANT. E la xe contenta?

LEL. Contentissima.

PANT. Diseu dasseno?

LEL. Lo giuro sulla purezza dell’onor mio.

PANT. Quando ghaveu parlà?

LEL. Poc’anzi. Teste domina Beatrice.

PANT. Me consolo infinitamente.

LEL. La esultazione vostra produce la giubbilazione dell’animo mio.

PANT. Sior Lelio, fazzo stima del vostro carattere; ma vorria che lassessi sto modo de parlar stravagante.

LEL. Mi lascierò da voi condurre qual navicella errante dal suo prudente piloto.

PANT. Parlerò con mia nezza.

LEL. Colla cinosura de miei pensieri.

PANT. Co mia nezza, ve digo...

LEL. Coll’oroscopo delle mie fortune amorose.

PANT. Con quel che volè.

LEL. Ed io anderò frattanto a porger voti a Cupido, che faccia volare rapidamente il tempo, e faccia splendere nel terzo cielo la bella stella di Venere, pronuba dei nostri fortunati imenei.

PANT. Mo dove diavolo troveu sti spropositazzi!

LEL. Deh, mio amorosissimo suocero, non li chiamate con questo nome. Io, vedete, io ho sfiorato con un faticosissimo studio i più bei fiori del secolo oltrepassato.

PANT. E per questo...

LEL. E per tanto

Men vo dall’idol mio...

Intendami chi può, che m’intend’io. (parte)

 

 

 


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