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LEL. Signore, eccomi a ricevere il premio delle amorose mie pene. Sono sei ore e più ch’io ardo d’amore: è tempo ormai che mi concediate ristoro.
PANT. Xe sie ore che sè innamorà? Ve par assae? Mi xe più de sie anni che suspiro, e ancuo spero de consolarme.
LEL. Consolate me ancora, per quanto vi è caro il favore del Dio bendato.
PANT. Adesso manderemo a chiamar la putta, e sentiremo da ela.
LEL. Non c’è bisogno di mandarla a chiamare. Propizia sorte l’ha qui condotta.
LEL. Avete voi le traveggole? Eccola la bella rosa vermiglia...
LEL. Questa qui, sì signore. Io non sapeva che avesse nome Castalda.
COR. (Va benissimo per Rosaura). (da sé)
PANT. Xelo matto sto sior? Cossa diselo? (a Corallina)
COR. Signore, è corso un equivoco. Egli mi ha preso per vostra nipote.
PANT. E vu avè lassà correr? (a Corallina)
COR. Ringraziate la signora Beatrice. Ella è l’autrice di sì bella scena. Ella per l’appunto, che vi ha condotti in casa due giovani, per involarvi e la nipote e la serva.
BEAT. Uno scherzo non mette in essere cosa alcuna.
PANT. Ma de sti scherzi in casa mia no se ghe ne farà più, patrona. Ala sentìo, sior Lelio? Questa no la xe mia nezza, la xe stada fin adesso la mia castalda, che vuol dir la custode, la direttrice, o sia la fattora de sti mii loghi de villa.
LEL. Non so che dire. Spiacemi il cambiamento del grado; ma io non posso cambiar amore. La sposerò quantunque.
PANT. No la la sposerà comunque.
BEAT. Caro signor Lelio, la vuol per sé il signor Pantalone.
COR. Eccola la di lui nipote. Favorite, signora Rosaura; venite innanzi.