Carlo Goldoni
Il cavaliere di spirito

ATTO PRIMO

SCENA SECONDA   Don Claudio poi Donna Florida.

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SCENA SECONDA

 

Don Claudio poi Donna Florida.

 

CLA.

Che dirà donna Florida di me, che a suo dispetto

A sorprenderla venni perfin nel proprio tetto?

A soffrir mi preparo ogn'onta, ogni minaccia:

Son disperato alfine, non so quel ch'io mi faccia.

FLO.

Qui don Claudio?

CLA.

Signora, vi domando perdono:

Lo so che non conviene, lo so che ardito io sono;

Ma quell'amor che ancora m'arde crudele il seno,

Mi ha strascinato a forza; deh compatite almeno.

FLO.

Ma che destino è il mio? Dalla città m'involo

Per contemplar coll'alma l'immagine di un solo,

Per togliermi alle insidie d'altri novelli oggetti;

E fin nel mio ritiro mi assalgono gli affetti?

CLA.

Eh, che temer, signora, di me potete mai?

Senza periglio vostro finora io vi adorai;

E se nella cittade invan piango e sospiro,

Sorte miglior non spero in mezzo ad un ritiro.

Che alteri non v'è dubbio del vostro cuore i moti;

Usa abbastanza siete a disprezzar miei voti.

FLO.

Eppur voi v'ingannaste finora in vostro danno,

E foste voi medesmo cagion del vostro affanno.

Debole son pur troppo, il simular non giova,

Se la mia debolezza voi conosceste a prova.

Don Flavio ad onta mia mi vinse in pochi istanti

Con quell'ardir che giova al labbro degli amanti,

Voi di rispetti pieno, timido amante e saggio,

Forse il mio cor perdeste, mancandovi il coraggio.

No, non vi fo il gran torto di credervi men degno

D'amor, né mai ebb'io gli affetti vostri a sdegno.

Ma tollerate un vero, che tardi a voi confesso:

La vostra timidezza fe' il peggio di voi stesso.

CLA.

Dunque doveva ardito sprezzar gli ordini vostri?

FLO.

Eh, son donna... Sapete quai sieno i riti nostri?

Vogliamo esser servite talor senza speranza,

Mostriam d'avere a sdegno l'ardire e la baldanza;

Ma a chi nel duolo indura, a chi pietà non chiede,

Donna arrossisce in volto nell'offerir mercede.

CLA.

Ma non diceste: io voglio di libertade il dono?

FLO.

Credere chi il poteva in giovane qual sono?

CLA.

Dunque voi m'ingannaste.

FLO.

No, v'ingannò il timore,

D'amor tristo compagno per conquistarsi un cuore.

CLA.

Non mi vedeste, ingrata, quasi di duol morire?

FLO.

Morte amor non richiede.

CLA.

Ma che richiede?

FLO.

Ardire.

CLA.

Dunque se ardir fa d'uopo negli amorosi azzardi,

Chiedovi ardito e franco...

FLO.

No, mio signore, è tardi.

Quel che poteva un tempo lecito ardir chiamarsi,

Ora che d'altri io sono, temerità può farsi;

Ed io, che nell'arrendermi un potea esser grata

Diverrei mancatrice, ad altri ora legata.

CLA.

Flavio non ebbe ancora la man, pegno d'amore.

FLO.

È ver, la man non ebbe, ma gli ho donato il cuore.

CLA.

Dite che non l'ardire di lui vi rese amante,

Che ciò non basterebbe a rendervi costante;

Ma che di me più vago, ma che di me più degno,

Valse gli affetti vostri a mettere in impegno.

FLO.

Se col suo volto il vostro a confrontar mi metto,

Ambi vi trovo degni d'amore e di rispetto.

Se i meriti d'entrambi considerare io voglio,

Trovo le virtù eguali, pari stimarvi io soglio;

Ma quel che più coraggio ebbe a parlar di lui,

Mi fe' più da vicino vedere i merti sui.

La stima amor divenne, l'amore indi mi ha spinto:

Ambi in me combatteste, ma il coraggioso ha vinto.

CLA.

sorgerà più mai della speranza un lampo,

Che possa il mio rivale cedermi un giorno il campo?

FLO.

Dell'avvenire in noi troppo è l'evento incerto.

CLA.

Perder non vo per questo della costanza il merto.

Della viltà mi pento, che mi ha finor tradito;

Sarò, quanto fui timido, in avvenire ardito.

FLO.

E perché il nuovo ardire meco non opri insano,

Don Claudio, dal mio tetto andatene lontano.

CLA.

Ma che da me temete, a non curarmi avvezza?

FLO.

Temo, ve lo confesso, del cuor la debolezza.

Lungi dal nuovo amante, sposo mio non ancora,

Temo la nuova impresa di un'alma che mi adora.

Itene da me lungi; toglietemi al periglio.

Itene, vel comando, se poco è il mio consiglio.

CLA.

Barbara, sì v'intendo, l'abbandonarmi è poco,

Se ancor gli affanni miei voi non prendete a gioco.

Partirò, a un tal comando resistere non deggio.

Ah, son nell'obbedirvi, ah sì, son vile, il veggio.

Dovrei, qual m'insegnaste, esser d'ardito affetto,

Ma pur d'un amor vero è figlio il mio rispetto.

Faccia di me la sorte quel che può farmi irata.

Vi amo crudele ancora. Vi amerò sempre... ingrata. (parte)

 

 

 


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