Ah
misero don Flavio! nel fiore dell'età,
Difforme,
contraffatto, perduto ha la beltà?
Ed
io con tale sposo, degno di scherni e risa,
Sarò
con mia vergogna dal popolo derisa?
Doleami
dello sposo che primo il ciel mi ha dato,
Perché
soverchiamente parevami attempato.
Era
però nel viso giocondo e maestoso;
Or
che dirò di questi orribile, mostruoso?
Ah,
nel pensar soltanto di tollerar tal vista,
Il
cuor si raccapriccia, l'immagine m'attrista.
Ma
che di me direbbe lo sposo sventurato,
Se
fosse in tal evento da sposa abbandonato?
Questo
sarebbe accrescer afflizione all'afflitto,
E
pormi una vergogna, un'onta ed un delitto.
Oh,
se venisse il Conte a consigliarmi almeno,
Trarmi
saprebbe, io spero, ogni malìa dal seno.
Il
messo non ritorna, che a me venir l'invita:
Chi
sa che non mi chiami troppo importuna e ardita?
Però
vuò lusingarmi ch'ei venga, e al mio periglio
Provvido
mi offerisca la norma ed il consiglio.
So
ben ch'egli vicino, giovine, vago e umano,
Orribile
più molto può rendermi il lontano.
Ma
tanto nel discorrere è saggio ed è prudente,
Che
condurrammi al meglio, ancor che sia presente.
Temo
la taccia nera di sconoscente, ingrata
Temo
col sposo informe vedermi accompagnata.
So
qual piacer si prova mirando un vago oggetto;
Pavento
di don Flavio orribile l'aspetto.
Vorrei
colla virtude far forza, e superarmi;
Ma tremo di me stessa, però vuò consigliarmi.
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