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   FLO. 
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   Lo
  so che il torto è mio, so che a ragion si duole 
  Don
  Flavio, ma piegarsi la femmina non suole. 
  Non
  so come facessi stamane a chieder scusa. 
  Suo
  danno, se persiste, suo danno se si abusa. 
  Ora
  per me è finita, sua sposa più non sono 
  Se
  non mi viene ei stesso a chiedere perdono. 
  In
  libertà mi ha posto; di ciò vuò profittarmi, 
  E
  se mi vuole il Conte, a lui saprò donarmi. 
  Stanca
  di viver sola, vuò prender nuovo stato; 
  Sarò
  sposa di Flavio, se veggolo umiliato. 
  Quando
  no, vada pure ove il destin lo chiama: 
  Sarò di chi mi merita sarò di chi mi brama. 
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   GAN. 
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   Eccomi di ritorno. Don Flavio ho ritrovato. 
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   FLO. 
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   Che vi disse don Flavio? 
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   GAN. 
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   Mi pare un disperato. 
  Ha
  veduto don Claudio passar per una strada, 
  E vuol che donna Florida gli mandi la sua spada. 
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   FLO. 
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   Negargliela
  per ora mi par miglior consiglio. 
  Se non ha l'armi al fianco, eviterà il periglio. 
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   GAN. 
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   Certo
  il pensiere è giusto. Da ciò vedo, signora, 
  Che siete assai prudente, e che l'amate ancora. 
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   FLO. 
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   Confesso,
  che per lui serbo ancor dell'affetto. 
  Di me non gli parlaste? 
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   GAN. 
   | 
  
   Gli parlai. 
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   FLO. 
   | 
  
   Cosa ha detto? 
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   GAN. 
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   Ha detto... Veramente è aspra l'ambasciata. 
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   FLO. 
   | 
  
   Dite liberamente. 
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   GAN. 
   | 
  
   Vi chiamò cruda, ingrata, 
  Mancatrice,
  infedele, e disse apertamente, 
  Che a ritornar da voi disposto non si sente. 
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   FLO. 
   | 
  
   Gandolfo,
  nella stanza dove ho testé pranzato, 
  La spada
  troverete, che a voi ha ricercato. 
  Portatela
  al furente, e senza altre parole 
  Ditegli che la prenda, e faccia quel che vuole. 
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   GAN. 
   | 
  
   Volete che cimenti?... 
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   FLO. 
   | 
  
   Non più, non replicate, 
  In
  nome dell'ingrata, la spada a lui recate. 
  Ditegli
  che l'infida... Ma no, non dite niente. 
  Portategli il suo ferro. Suo danno, se si pente. 
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   GAN. 
   | 
  
   In
  braccio al suo periglio volete abbandonarlo? 
  È crudeltà... 
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   FLO. 
   | 
  
   Tacete. 
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   GAN. 
   | 
  
   Sì signora. Non parlo. 
  Vado a portar la spada... (in atto di partire) 
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   FLO. 
   | 
  
   Fermatevi. 
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   GAN. 
   | 
  
   Son qui. 
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   FLO. 
   | 
  
   (Mai più confusa e incerta mi ritrovai così). (da sé) 
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   GAN. 
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   (Combatte
  amore e sdegno della padrona in cuore. 
  Scommetterei la testa, che vincerà l'amore). (da sé) 
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   FLO. 
   | 
  
   Ite
  a casa del Conte, dite che favorisca 
  Venire ad onorarmi, e che non differisca. 
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   GAN. 
   | 
  
   Ho da portar la spada? 
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   FLO. 
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   L'ho da mandar? non so. 
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   GAN. 
   | 
  
   Se il mio parer valesse, io vi direi di no. 
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   FLO. 
   | 
  
   Perché
  chiamarmi infida? Perché quel labbro audace 
  Continua
  ad insultarmi, chiamandomi mendace? 
  Rigetta
  le mie scuse, al mio dolor non bada, 
  Ricusa di vedermi? Portategli la spada. 
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   GAN. 
   | 
  
   Vedrete
  che anche il Conte, ch'è un uom di tanto sale, 
  Dirà che a rimandargliela avete fatto male. 
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   FLO. 
   | 
  
   Presto; che venga il Conte, più non mi trattenete. 
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   GAN. 
   | 
  
   Ho da portar la spada? 
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   FLO. 
   | 
  
   Per ora sospendete. 
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   GAN. 
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   Vo
  subito dal Conte. Brava la mia padrona! 
  Siete stizzosa un poco. Ma poi siete anche buona. (parte) 
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