Carlo Goldoni
L'adulatore

ATTO TERZO

SCENA ULTIMA

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SCENA ULTIMA

 

Il bargello e detti.

 

BARG. Eccomi qui ai comandi di V. E.

SANC. Scarcerate subito don Filiberto, ed assicuratevi di don Sigismondo.

BARG. Sarà ubbidita. Perdoni, Eccellenza, se sapesse quante ingiustizie ha fatte fare don Sigismondo!

SANC. Davvero?

BARG. Io stesso che, per mia disgrazia, vivo delle disgrazie degli altri, mi sentiva inorridire. (parte)

SANC. Se ha fatto inorridire un birro, convien dire che abbia fatte delle grandi ribalderie.

ELV. Signore, il cielo vi rimeriti della vostra pietà.

SANC. È giusto. Vo’ che sappia la Corte, ch’io faccio giustizia.

ELV. Saprà tutto il mondo, che un ministro infedele vi ha ingannato. Volo ad abbracciare il povero mio consorte. Sarà egli a’ vostri piedi. Io vi ringrazio intanto; prego il cielo vi benedica, e lo prego di cuore che voi difenda, e tutti gli eguali vostri, dai perfidi adulatori, i quali colle loro menzogne rovinano spesse volte gli uomini più illibati e più saggi. (parte coi gabellieri)

SANC. Confesso la verità. Mi vergogno d’avermi lasciato acciecare da un adulatore sfacciato. Conosco la mia debolezza; temo i pericoli dell’avvenire, e risolvo di voler rinunziare il governo. Manderò a Napoli don Sigismondo, legato e processato, com’egli merita, e sarà dalla Regia Corte punito, a misura de’ suoi misfatti.

CON. La risoluzione è in tutto degna di voi.

SANC. Voi, Conte, nell’agitazioni nelle quali mi trovo, datemi almeno la consolazione di veder sposa mia figlia. Porgetele immediatamente la mano.

CON. Eccomi pronto, s’ella vi acconsente.

ISAB. Non vorrei che andasse in collera la signora madre.

LUIG. Sposati pure, già che il cielo così destina. (Conte ingrato, stolido, sconoscente!) (da sé)

CON. Porgetemi la cara mano. (ad Isabella)

ISAB. Eccola. (gli la mano)

CON. Ora sono contento.

ISAB. (Io giubilo dall’allegrezza).

SANC. Dov’è Brighella? Dove sono i poveri servitori? Trovateli, li voglio pagare, li voglio rimettere.

LUIG. Or toccherà a voi a pensare a provvedermi i due cavalli per il tiro a sei. (a don Sancio)

SANC. Perché?

LUIG. Perché ho dato sessanta doppie al segretario, ed egli me le ha mangiate.

SANC. Donde aveste le sessanta doppie?

LUIG. Dal cassiere della Comunità.

SANC. Oh me meschino! Sono assassinato da tutti.

PANT. Eccellenza, son qua, se la comanda, ecco le cento doppie.

SANC. Signor Pantalone, tenete il vostro denaro, io non voglio altri impegni. Voglio rinunziare il governo, onde riserbatevi ad informare il mio successore; e voi, signora donna Aspasia, signora imitatrice del mio buon segretario...

ASP. Basta così. Intendo quel che dir mi volete. Il fine del segretario m’illumina. Io correggerò i miei difetti, pensate voi a correggere i vostri. (parte)

PANT. Donca no la vol...

SANC. È finita. Non ne voglio saper altro. Confesso che non ho abilità per distinguere i buoni ministri dagli adulatori, onde è meglio che mi ritiri, e lasci fare a chi sa. Fissiamo sugli accidenti veduti, e concludiamo che il peggiore scellerato del mondo è il perfido Adulatore.

 

Fine della Commedia.


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