CONTES.
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Elà, servi ignoranti,
Precedetemi
entrambi, ed inchinati
Fate spalliera
alla padrona vostra.
Dammi
braccio, Gazzetta.
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GAZZ.
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Ai so comandi,
Lustrissima, son pronto.
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CONTES.
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Eh dimmi, dimmi;
Vedesti tu
quel cavalier lombardo,
Come fissò
nelle mie luci il guardo?
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GAZZ.
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Se l'ho visto! el
pareva
Gatto maimon, che fa la cazza al sorze.
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CONTES.
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E quel giovin mercante,
Quanto gli
occhi fissò nel mio sembiante!
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GAZZ.
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El stava là, come una barca in secco.
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CONTES.
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Ma vi vuol altro! Un mercantuccio
amante
Non è per
me; non è per il mio grado
Un cavalier di nobiltà mezzana:
Io nacqui
dama, e morirò sovrana.
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GAZZ.
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Certo, se fusse un re, alla mia patrona
Mi el scettro ghe darave e la corona.
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CONTES.
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Quanto rider
mi fanno
Certe donne
plebee, che voglion farla
Da signore
di rango!
Si vede ch'io non son nata nel fango.
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GAZZ.
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Eh, se vede in effetto
Che l'è nata tra l'oro e tra el
zibetto.
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CONTES.
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Guarda, se
non m'inganno: ah sì, gli è desso;
È il marchesin mio caro.
Oh questo sì
ch'è degno
Dell'amor
mio. Vanta fra' suoi maggiori,
Ricchi
d'immense entrate,
Seicento e
più persone titolate.
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GAZZ.
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Schienza! Co l'è cussì, la compatisso.
So el mio dover al par di chi se sia.
Dago liogo alla sorte, e vago
via. (parte)
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