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OTT. (Serrarmi la porta in faccia?) (da sé)
LEAN. Chi è questo? (a Florindo)
LEAN. Ehi. (al Caffettiere) Questo signore chi è?
CAFF. È un forestiere. È un uomo dotto, che parla bene.
CAFF. Almeno ho sentito dirlo.
LEAN. Fategli leggere questo sonetto, così come la cosa venisse da voi, senza dirgli che sono io.
LEAN. Voglio sentire che cosa dice. (a Florindo)
FLOR. Bene, bene. Accomodatevi.
CAFF. Eccola servita. (gli porta il caffè) Se vuol divertirsi, gli darò una bella composizione.
OTT. Lasciate vedere. (prende il sonetto, e legge) Sonetto di Leandro Zucconi. Sì, sì, di quell'asino di Leandro: ne ho veduti degli altri. (legge piano)
LEAN. Avete sentito? (a Florindo)
FLOR. Vi vuol prudenza. (a Leandro) (Meglio è ch'io parta). (da sé, e parte)
LEAN. (Pagherei uno scudo a non esser qui. Me ne anderei, ma non vorrei perdere il mio sonetto). (da sé)
OTT. Che bestia! Oh che ignorantaccio! Si può far peggio? (legge piano)
OTT. Avete sentito questo sonetto?
OTT. Si è mai intesa una simile bestialità?
LEAN. Eppure...
OTT. Basta dire che sia di quel somaraccio di Leandro Zucconi.
LEAN. (Or ora gli metto le mani addosso). (da sé)