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COR. (Eccolo qui quel suggettaccio). (da sé)
OTT. Signora Corallina, la riverisco.
COR. Serva sua divotissima. (con ironia caricata)
OTT. Padrona mia sguaiatissima.
COR. È un signore molto grazioso vossignoria.
COR. Eh, io non sono né bella, né graziosa, né spiritosa.
OTT. Ho tanto rispetto per lei, che non ardisco di darle contro.
COR. Ma con tutto questo, ho più denari in tasca che lei.
OTT. Oh senz'altro. Fra il salario, gli avanzi di tavola, le chiavi della dispensa, quelle della cantina, qualche ambasciata, qualche viglietto amoroso, chi ha spirito fa denari.
COR. Come! Io una ladra? Io una mezzana? Mi maraviglio di voi. Sono una fanciulla onorata.
OTT. Ditemi la verità, che cosa frutta più? La dispensa, la cantina, o l'acciarino? (fa il cenno di batter l'acciarino)
COR. Cos'è questo battere l'acciarino? Con questa impertinenza offendete me, offendete la mia padrona.
OTT. Ambasciate amorose a lei non ne avete mai fatte?
OTT. La vostra padrona è tanto sincera, che non le darebbe l'animo di dir così.
COR. Sentite che impertinenza!
OTT. Ma quando sarà mia moglie, vossignoria averà finito.
COR. Si fanno dunque queste nozze?
OTT. Si fanno, non si fanno... Dico che se la signora Beatrice fosse mia moglie, le ambasciate sarebbero finite.
COR. Eh sì, queste nozze si faranno senz'altro.
COR. Perché dice il proverbio, che le donne si attaccano sempre al peggio.
OTT. Ella ha fatto così, quando ha preso voi per cameriera.
COR. Povera padrona! se ne accorgerà.
OTT. Non vi è pericolo che si accorga di niente.
COR. No, perché?
OTT. Non si è mai accorta d'avere una temeraria per serva.
COR. È vero, è vero; non si accorge nemmeno d'avere alla sua tavola uno scroccone.
OTT. Si accorgerà bene quando tu averai la testa in due pezzi.
COR. Può essere che veda voi senza un occhio.
OTT. Corallina! (minacciandola)
COR. Oh, la signora Prudenza voi non la conoscete.
OTT. Sì, è vero, non sono stato prudente quando ho trattata voi da principio con troppa cortesia, con troppa confidenza. Dice bene il proverbio: chi lava la testa all'asino, perde il ranno e il sapone.
COR. È vero, la mia padrona ha fatto così con voi.
OTT. Tu di questo pane ne mangerai poco più.
COR. Se io non mangerò di questo, non me ne mancherà altrove. Ma voi, se la padrona vi dà lo sbratto, anderete a far la birba.
OTT. Povera sciocca! Io ho il signor Pantalone de' Bisognosi, che mi dà casa e tavola, e quanto voglio.
COR. Io non vi credo una maladetta.
OTT. A me non importa che tu lo creda o no.
COR. Gli è che non lo crede nemmen la padrona.
OTT. Sei una sciocca, ella lo crede, e lo sa di certo.
COR. Se lo credesse, non anderebbe ella in persona dal signor Pantalone per assicurarsene.
OTT. Vuol andar dal signor Pantalone?
OTT. Quando?
OTT. (Diavolo! A far che?) (da sé)
COR. (Oh, come è restato brutto!) (da sé) Avete paura che si scoprano le vostre bugie, eh!
OTT. Sei un'impertinente. Io non son capace di dir bugie.
COR. Basta. La padrona non vi crede.
OTT. (Non vorrei ch'ella dicesse averle io confidato la fuga della signora Rosaura; ma non averà sì poca prudenza). (da sé)
COR. Certamente vi è qualche imbroglio.
OTT. Presto, presto. Anderò prima di lei. (vuol partire)
OTT. Giuro al cielo, ti romperò la testa.
COR. Se ardirete toccarmi, povero voi.
COR. Scroccone, insolente. (fugge sia)
OTT. Eh, corpo di bacco. (le corre dietro col bastone, glielo tira, e rompe lo specchio di dentro)