Carlo Goldoni
Un curioso accidente

ATTO SECONDO

SCENA OTTAVA   Monsieur Filiberto, poi Monsieur de la Cotterie

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SCENA OTTAVA

 

Monsieur Filiberto, poi Monsieur de la Cotterie

 

FIL. Villano, zotico, senza civiltà, impertinente. (passeggiando)

COTT. (Le altercazioni seguite mi lusingano che gli abbia data la negativa).

FIL. (Non son chi sono, s'io non te la faccio vedere).

COTT. Signore... (a Filiberto)

FIL. Burbero, animalaccio...

COTT. Viene a me il complimento?

FIL. Perdonatemi. La collera fa travedere.

COTT. Con chi siete voi adirato?

FIL. Con quell'indiscreto di monsieur Riccardo.

COTT. E che sì, che egli non acconsente al maritaggio di sua figliuola?

FIL. (Mi dispiace di dover dare al povero tenente questo nuovo travaglio).

COTT. (Sia ringraziato il cielo! La fortuna vuole aiutarmi).

FIL. Figliuolo mio, non fate che la bile vi guasti il sangue.

COTT. Ditemi il vero. Ha egli ricusato il partito?

FIL. Gli uomini di mondo hanno da essere preparati a tutto.

COTT. Io sono impaziente di sapere la verità.

FIL. (Oh! se gliela dico, mi muore qui).

COTT. (Questa è una seccatura insoffribile).

FIL. (Eppure conviene che egli lo sappia).

COTT. Signore, con vostra buona licenza. (in atto di partire)

FIL. Fermatevi. (Non vorrei che si andasse ad affogar per disperazione).

COTT. Ci vuol tanto a dirmi quel che vi ha detto?

FIL. Non vi alterate, figliuolo, non vi disperate per questo, che se un padre avido, presontuoso, ignorante, nega di collocare decentemente la figlia, ci può esser modo di averla a dispetto suo.

COTT. No, signore. Quando il padre non acconsente, non è giusto che io persista a volerla.

FIL. E che pensereste di fare?

COTT. Andarmene di qua lontano e sagrificare gli affetti miei all'onestà, al dovere ed alla quiete comune.

FIL. Ed avreste cuore di abbandonare una fanciulla che vi ama? Di lasciarla in preda alla disperazione per attendere quanto prima la trista nuova della sua infermità, o della sua morte?

COTT. Ah! monsieur Filiberto, voi mi uccidete, così parlando. Se conosceste il peso di queste vostre parole, vi guardereste bene dal pronunciarle.

FIL. Le mie parole tendono al vostro bene, alla vostra pace, alla vostra felicità.

COTT. Ah! no, dite piuttosto alla mia confusione, alla perdita della mia vita.

FIL. Mi maraviglio, che un uomo di spirito come voi, sia così poco capace di darsi animo.

COTT. Se sapeste il mio caso, non parlereste così.

FIL. Lo so benissimo; ma io non lo prendo per disperato. La fanciulla vi ama, voi l'amate teneramente. Sarebbe questo il primo matrimonio, che stabilito si fosse fra due giovani onesti, senza il consenso del padre?

COTT. Approvereste voi ch'io sposassi la figlia, senza il consentimento del genitore?

FIL. Sì, nel caso in cui siamo, esaminando le circostanze, l'approverei. Se il padre è ricco, voi siete nobile; voi onorate la sua famiglia colla nobiltà, egli accomoda gl'interessi vostri colla sua dote.

COTT. Ma! signore, come potrei io sperare la dote sposandola in cotal modo? Il padre irritato negherà di darle verun soccorso.

FIL. Quando è fatta, è fatta. Egli non ha che un'unica figlia. Gli durerà la collera qualche giorno, e poi farà ancor egli come hanno fatto tanti altri. Vi accetterà per genero, e forse forse vi farà padrone di casa.

COTT. Tutto questo potrei sperare?

FIL. Sì, ma vi vuol coraggio.

COTT. Del coraggio non me ne manca. La difficoltà sta nei mezzi.

FIL. I mezzi non son difficili. Sentite quel che mi suggerisce il pensiere. Madamigella Costanza dev'essere ancora dalla di lei zia. Fate quel ch'io vi dico, sagrificate il pranzo per oggi, ch'io pure in grazia vostra farò lo stesso. Andatela a trovare. Se ella vi ama davvero, fate che si disponga a dimostrarvelo con i fatti. Se può sperare la zia favorevole che implori la di lei protezione, e se vi acconsente, sposatela.

COTT. E se il genitore sdegnato minacciasse la mia libertà?

FIL. Conducetela in Francia con voi.

COTT. Con quai provvedimenti? con qual danaro?

FIL. Aspettate. (va ad aprire un burò)

COTT. (Oh cieli! Ei non s'avvede che mi anima ad una intrapresa, il di cui danno potria cadere sopra di lui medesimo).

FIL. Tenete, eccovi cento ghinee in danaro, ed eccovene quattrocento in due cedole. Cinquecento ghinee possono essere sufficienti per qualche tempo. Accettatele dall'amor mio. Penserò io a farmele restituire dal padre della fanciulla.

COTT. Signore, io sono pieno di confusione...

FIL. Che confusione? Mi maraviglio di voi. Vi vuol spirito, vi vuol coraggio. Andate tosto, e non perdete i momenti invano. Io intanto andrò ad osservare gli andamenti di monsieur Riccardo, e se potrò temere ch'ei venga a sorprendervi, troverò persone che lo tratterranno. Avvisatemi di quel che accade, o in persona, o con un viglietto. Caro amico, mi pare di vedervi già consolato. Giubbilo per parte vostra. Addio. La fortuna vi sia propizia. (Non vedo l'ora di veder fremere, di vedere a disperarsi Riccardo). (va a chiudere il burò)

COTT. (Mi il consiglio, e mi i danari per eseguirlo? Che risolvo, che penso? Prendasi la fortuna per i capelli, e non si dolga che di se stesso, che meditando l'altrui cordoglio, procaccia a se medesimo la derisione). (parte)

 

 

 


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