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CON. Faccio riverenza alla signora donna Eularia. Amico, vi sono schiavo. (lo salutano)
ROB. Caro Conte, è molto tempo che non vi lasciate vedere. Lo dicevamo appunto stamane con donna Eularia. Il conte Astolfo non si degna più, non favorisce più.
CON. Sono molto tenuto alla generosa memoria, che si degna avere di me una dama di tanto merito.
ROB. Chi è di là? Un’altra sedia. (il Paggio la mette vicino a donna Eularia) Qui, qui, accomodatevi. (al Conte, e destramente scosta la sedia da donna Eularia)
CON. Riceverò le vostre grazie. (siedono)
MAR. (Questo servire in due non mi piace). (da sé)
ROB. Amici, vi sono schiavo, vado per i fatti miei. Donna Eularia, a rivederci. (Ora ch’è in compagnia di due, la lascio più volentieri). (da sé e parte)
MAR. Conte, che vuol dire che ieri sera non vi siete lasciato vedere alla conversazione?
CON. Avevo un affar di premura e sono restato in casa.
MAR. Oh, ieri sera dominava lo spirito casalingo. Anche donna Eularia è restata in casa.
EUL. Sì, ci sono stata volentierissimo, e in avvenire mi volete veder poco alla conversazione.
MAR. Conte, sentite? Donna Eularia si lascerà veder poco alla conversazione.
CON. Se ci date il permesso, verremo a tenervi compagnia in casa.
EUL. In casa mia sapete ch’io non faccio conversazione.
CON. Una veglia di due o di tre persone non si chiama conversazione.
MAR. Di due o tre! Sì, è meglio di due, che di tre. Donna Eularia, che ama la solitudine, starà meglio con uno che con due. Il signor Conte sarà la sua compagnia.
EUL. Il signor conte non vorrà perder il suo tempo in una camera piena di malinconia.
CON. Dove ci siete voi, signora, il tempo è sempre bene impiegato.
MAR. Non è per tutti la grazia di donna Eularia.
EUL. È vero, non è per tutti, anzi non è per nessuno.
MAR. Il Conte non può dir così.
EUL. Il Conte può dire tutto quello che potete dir voi.
MAR. Conte, difendete voi le vostre ragioni. Sentite? Donna Eularia vi mette al par di me nel possesso della sua grazia. Tocca a voi sostenere il privilegio che avete di possederla al disopra di tutti gli altri.
CON. Anzi toccherebbe a voi a difendere la ragione dell’anzianità, poiché l’avete servita prima d’ogni altro.
MAR. Questi privilegi del tempo non vagliono sul cuor di una dama, che può dispor di se stessa.
EUL. Signori miei, ve la discorrete fra di voi, come se io non avessi ad aver parte in questo vostro ragionamento.
MAR. Questo è quello che dico io. Voi siete quella che può decidere, e che ha deciso.
CON. Marchese, voi mi fate insuperbire.
EUL. Marchese, voi mi formalizzate.
MAR. Quando si tocca sul vivo, la parte si risente.
EUL. Orsù, tronchiamo questo ragionamento.
CON. Sì, discorriamo di cose allegre.
MAR. Per discorrere di cose allegre, conviene aver l’animo contento, come avete voi, che possederete il cuore di donna Eularia.
EUL. Il mio cuore l’ho disposto una volta. Egli è di don Roberto, e vi giuro che non gliene usurpo una menoma parte.
MAR. Oh, altro è il cuor di moglie, e altro è quello di donna.
CON. Credete voi che le donne abbiano due cuori?
MAR. Sì, tre, quattro.
CON. Dunque donna Eularia ne può avere uno anche per voi.
EUL. Eh signori, che maniera di parlare è questa? Con chi credete voi di discorrere? Le dame si servono, ma si rispettano; dirò meglio, si favoriscono, e non si oltraggiano. Una dama che ha il suo marito, non può ammettere niente di più, oltre una discreta, onesta e nobile servitù. Il mondo presente accorda che possa essere una moglie onesta servita più da un che dall’altro, ma non presume che il servente aspiri all’acquisto del cuore. Io farei volentieri di meno di questa critica accostumanza, e mi augurerei aver un marito geloso, il quale me la vietasse. Ma don Roberto è cavaliere che sa vivere e sa conversare. Soffre volentieri che due amici suoi favoriscano la di lui moglie, ma non gli cade in pensiero che si abbiano a piccare di preferenza, in una cosa che non deve oltrepassare i limiti della cavalleria. Se a me riesce scoprire qualche cosa di più, saprò regolarmi, signori miei, saprò regolarmi, e per evitare l’avanzamento delle vostre ridicole pretensioni, troverò la maniera di congedarvi, senza disturbare la pace di mio marito. Mi può mancare il talento e lo spirito per comparir disinvolta in una conversazione, ma non la necessaria prudenza per tutelare il decoro della mia famiglia, e far pentire chi che sia d’aver temerariamente giudicato di me.
CON. Signora, io non so d’avermi meritato un sì pungente rimprovero.
EUL. Lo applichi a se stesso chi più lo merita.
MAR. Via, via, lo merito io, ma non abbiate pena di ciò. Perché non abbiano a molestarvi le nostre gare, sarò pronto a cedere e a ritirarmi.