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COL. Signora, perdoni se l’ho fatta aspettare. Era ancora sul primo sonno.
EUL. Colombina carissima, in poche parole vi dirò che cosa voglio. Pigliate subito le vostre robe e preparatevi a partire. Fra un’ora al più monterete in calesse e anderete al vostro paese.
COL. Come, signora! Mi cacciate così? Ho io fatto in casa vostra qualche mala azione?
EUL. No, anzi farò un benservito a voi e a vostro fratello, che vi renderà ragione per tutto dove anderete.
COL. Licenziate anche mio fratello?
EUL. Sì, anche lui. Non vi lascierei andar sola.
COL. Ma perché mai licenziarmi, signora padrona, così su due piedi? Vi serviva con tanto genio. Era tanto contenta, e voi mi avete detto che eravate contenta di me. In verità, non posso contenermi di non piangere.
EUL. Via, sei una buona figliuola; il cielo ti provvederà. Tieni questi quattro zecchini, godili per memoria di me. Il calesse sarà pagato.
COL. Il cielo ve ne renda il merito. Ma perché mai mi mandate via?
EUL. Ti dirò, cara Colombina: un impegno, in cui son corsa inavvedutamente, mi obbliga a dover prendere un’altra cameriera. Abbi pazienza, non ti mancherà da servire.
COL. Quand’è così, potrei trovar da servire in questa città.
EUL. No; ti voglio rimandar da tua madre.
COL. Almeno datemi due o tre giorni di tempo.
EUL. Vi è l’occasione del calesse con pochi denari. Io non ti voglio pagare una vettura apposta.
COL. Avete ragione. Partirò. Cara signora padrona, vi domando perdono, se vi avessi mal servito, se avessi detto qualche parola...
EUL. Io non mi lamento di te, ma ti avverto per tuo bene di gastigar la lingua, di pensar bene prima che tu parli e di non trescare colla gioventù.
COL. Datemi licenza che io vi baci la mano. (piangendo)
COL. Pazienza.
COL. Signora sì. Pazienza. (piangendo)
EUL. Il cielo ti benedica e ti dia fortuna.
COL. (Ella mi manda via per le parole che ho dette al paggio). (da sé, parte)