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Donna Eularia, poi il servitore e il paggio.
EUL. Costei m’intenerisce; ma è necessario che se ne vada, e vadano tutti quelli che qualche cosa possono aver traspirato del caso occorso: principalmente quell’impertinente del paggio, il quale dice delle parole che mi fanno tremare. Costui non si vede. Non sarà ancora levato. Chi è di là? Vi è nessuno?
SERV. Illustrissima sì.
EUL. Ti ha detto che devi partire?
SERV. Farò tutto quello che ella comanda.
EUL. Hai da aver nulla di salario?
SERV. Illustrissima no, anzi sono pagato per tutto il mese.
EUL. Non importa. Tieni questo zecchino e va, che il cielo ti benedica.
SERV. Grazie alla bontà di V.S. illustrissima. Per dirle il vero, vado volentieri a veder il mio paese.
EUL. Ho piacere. Anselmo vi farà il benservito.
SERV. Anderò a riverire il padrone.
EUL. Non importa; glielo dirò io.
SERV. (Se non importa, ho piacere. A parlar con lui ho avuto sempre soggezione). (da sé)
EUL. Ecco il paggio; andate, preparate la vostra roba.
SERV. Illustrissima, perdoni...
EUL. Via, via. Il cielo vi dia del bene.
SERV. Bacio la mano a V.S. illustrissima. (parte)
EUL. Volesse il cielo che se ne andassero, prima che si levasse don Roberto dal letto.
PAGG. (Viene mortificato, senza parlare)
EUL. Venite qui.
EUL. Ditemi, volete andare da vostro padre?
EUL. Anderete volentieri al vostro paese?
EUL. Non v’importa lasciar questa casa?
EUL. Non v’importa andar via da me?
EUL. Siete in collera, perché vi ho dato uno schiaffo?
EUL. Via, tenete questo zecchino.
PAGG. (Lo prende senza parlare)
EUL. Portatelo a vostra madre.
PAGG. Oh, a cavallo, a cavallo. Evviva, anderò a cavallo.
PAGG. Signora no, signora no. So andar a cavallo.