Carlo Goldoni
De gustibus non est disputandum

ATTO TERZO

SCENA QUARTA   Celindo, poi don Pacchione

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SCENA QUARTA

 

Celindo, poi don Pacchione

 

CEL.

Alfin si placherà, placato io sono.

Ogni onta le perdono... Ma qual onta?

Ella non m'ha sprezzato.

Artimisia l'ha detto, ed ha scherzato.

È ver che siamo in villa,

Che di tutto si può prendersi gioco,

Ma Artimisia, per dirla, eccede un poco.

PACC.

Amico, allegramente.

CEL.

Allegri, se si può.

PACC.

Allegri, che stassera io mangerò.

CEL.

D'esser avvelenato

Non avete paura?

PACC.

No, Artimisia mel dice, e m'assicura.

CEL.

Ed io credo che mai

Vi sia stato per voi cotal periglio.

Scherza Artimisia, e noi pone in scompiglio.

PACC.

Sia com'esser si voglia,

Stassera mangerò; questo mi basta.

Se giunger posso a lavorar coi denti,

I perigli mi scordo ed i tormenti.

CEL.

Già la sera s'avanza;

Nella vicina stanza

S'imbandisce la mensa, e manca poco

A consolarvi affatto.

PACC.

Artimisia da me voluto ha un patto.

CEL.

E quale?

PACC.

Pria che giunga

L'ora d'andare a cena,

Vuol ch'io abbia la pena

Di stare a tavolino

Col gioco a trattenere Ramerino.

CEL.

Che bizzarro pensier!

PACC.

Dice che a tutti

Vuol dar soddisfazione:

Contenta di ciascun vuol la passione.

Obbedirla anche in ciò da me si deve;

Ma farò una partita breve breve.

CEL.

Voi amate Artimisia, e non sapete

Ch'ella del cavalier...

PACC.

Pazzo il meschino.

CEL.

Non credo che lo sia, ma se tal fosse,

È certa la ragione

Che Artimisia di tutto è la cagione.

 

Ah, sono pur tanti

Que' miseri amanti

Che vivono in pene

Fra l'aspre catene,

Ed han, per mercede

D'amore e di fede,

Tormenti e rigor.

Resister non puote

A leggedura:

Lo spirto si scuote,

La mente s'oscura.

Si cangia in deliri

L'ardor de' sospiri

D'un misero cor. (parte)

 

 

 


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